“Sono morto come minerale,e come pianta sorto.
Sono morto come pianta
e ancora risorto come animale.
Sono morto come animale
e risorto come uomo.
Perché temere allora di divenire meno
morendo?
Ancora una volta morirò come uomo.
Per risorgere come un angelo perfetto
dalla testa alla punta dei piedi.
Ed ancora quando da angelo soffrirò la dissoluzione
Io muterò in ciò che supera l’umano concetto.”
Metti alla sceneggiatura un importante e affermato scrittore come Gholam-Hossein Saedi, che adatta un suo racconto. Aggiungi un giovane e ambizioso regista (ancora oggi in attività) come Dariush Mehrjui. Poi un grande attore come Ezzatolah Entezami. D'accordo, tutti nomi sconosciuti in Occidente, come poco conosciuto è "The Cow" (circola anche il titolo originale, facile da memorizzare: "Gaav"). Ma stiamo parlando di uno dei due film iraniani più importanti - con il maggiormente noto "The House Is Black" di Forough Farrokhzad - dell'era prerivoluzionaria. E di un capolavoro assoluto della storia del cinema. Vedere per credere.
Cronaca di un amore malato
Se già colpiscono le immagini in negativo dei titoli di testa, lascia il segno ancor più l'incipit: un uomo cosparso di fango viene gettato in acqua e dileggiato da tutti, bambini compresi. Prima sorpresa: è solo lo scemo del villaggio, non è il protagonista.
Quest'ultimo, Mash Hasan, compare nella sequenza successiva assieme alla sua vacca (che è incinta), sulla via del ritorno a casa. Gioca con essa amorevolmente. Un montaggio sincopato, molto libero, e piani ravvicinati sottolineano il divertimento .
Quest'ultimo, Mash Hasan, compare nella sequenza successiva assieme alla sua vacca (che è incinta), sulla via del ritorno a casa. Gioca con essa amorevolmente. Un montaggio sincopato, molto libero, e piani ravvicinati sottolineano il divertimento .
L'idillio è interrotto dalla visione, in lontananza, di tre figuri inquietanti in cima a una collina battuta da un forte vento. Sono boloori (dal paese limitrofo da cui provengono), ladri di bestiame, senza dio.
Al villaggio, il film evidenzia spesso la fede devota dei personaggi, che pregano a voce alta e si abbandonano a nenie religiose. Una di queste ha un verso anticipatore del delirio incombente: "Musulmano il mio cuore stasera è matto". A intonarla è Mash Islam: nome non casuale assegnato al personaggio più saggio e intraprendente del film.
Nella stalla il gioco tra uomo e animale riprende e assume contorni patologici, se è vero che l'uomo si nutre con gioia dello stesso cibo del bovino.
E il dramma sopraggiunge. Mentre Mash Hasan è via, la moglie dà, disperata, la notizia della morte della vacca, piangendo la propria rovina.
Nessun abigeato, dunque: un decesso improvviso. Qualcuno sostiene che siano stati comunque i boloori, altri parlano di punizione divina per i peccati.
Comunque tutto il paese si stringe intorno alla donna. Ma presto sorge un altro problema: cosa dire al protagonista al suo ritorno, per risparmiargli lo shock? Che la vacca è scappata?
Nessun abigeato, dunque: un decesso improvviso. Qualcuno sostiene che siano stati comunque i boloori, altri parlano di punizione divina per i peccati.
Comunque tutto il paese si stringe intorno alla donna. Ma presto sorge un altro problema: cosa dire al protagonista al suo ritorno, per risparmiargli lo shock? Che la vacca è scappata?
La sequenza - magistrale e memorabile - della sepoltura restituisce uno strazio che pare quello del funerale di un martire. "Sciagura", "disgrazia", "calamità" diventano vocaboli ricorrenti nel villaggio.
Lo scemo viene legato per evitare che riveli la verità. Hasan fa ritorno. Appresa la notizia (menzognera) della fuga, diventa letteralmente pazzo. Prima crede di vedere la mucca ancora nella stalla, poi si sostituisce ad essa. "Io non sono Mash Hasan, sono la sua vacca", dice ai paesani. Raggelante la sequenza in cui, in controluce, invoca il padrone affinché la protegga dai ladri.
Le ultime sequenze sono quelle del delirio di Hasan. I paesani sono costretti a legarlo ed arrivano, sotto una pioggia torrenziale, a frustarlo come una bestia. Mash Hasan infine muore. La vita del paese, invece, deve andare avanti, con i suoi rituali.
Fare finta di essere sani
"Professore, questa storia è vera?" Chiedono gli allievi ne "Il cliente" di Asghar Farhadi. L'insegnante risponde: "No, ma in un certo senso sì, le atmosfere e le tipologie di personaggi e le relazioni sono molto, molto vere". "Come si fa a diventare una bestia?" "Con il tempo".
"The Cow" si muove su questo crinale tra realtà e surrealtà. La rottura di un equilibrio precario, su cui si basa una comunità che vive ai limiti della sussistenza, produce conseguenze iperboliche.
Quanto può reggere la spiritualità, sottoposta a così dure prove?
Se Hasan, già bizzarro di suo, ha paradossalmente qualche ragione materiale per impazzire, sono forse sani di mente coloro che vivono seriosamente la quotidiana miseria, senza porsi problemi, ma essendo in preda a paure poco fondate? E che trattano Hasan come una bestia vera nel momento in cui la nuova, immutabile realtà postula la sua immedesimazione nella vacca? Allo spettatore, che vorrà immergersi nel capolavoro, la sentenza.
Curiosità
- La metempsicosi è un tema ampiamente diffuso nella filosofia islamica medievale. Nel racconto di Saedi avviene anche un caso di metamorfosi, espunto nella sceneggiatura del film.
- "The Cow" ottiene il premio FIPRESCI alla Mostra di Venezia del 1971.
- Negli anni 80 la Guida Suprema Ruhollah Khomeini indica "The Cow" come esempio da seguire per chi vuol fare un cinema di qualità. Tradotto: non censurato. Insomma, non tutto il cinema è peccato, nella Repubblica Islamica. Una dichiarazione che dà il la a una nuova generazione di autori, capaci di andare da un lato oltre la propaganda, dall'altro oltre i confini nazionali.