Il film sequenza per sequenza
I titoli di testa scorrono sull’immagine della porta socchiusa di una classe. Si sentono dei passi ed entra il maestro, che subito rimprovera gli alunni scalmanati, controlla i loro compiti e zittisce coloro che parlano senza essere interrogati. Uno dei bambini, Nematzadeh, si prende una sgridata per non aver scritto i compiti sul quaderno; il maestro gli strappa i fogli e il bimbo scoppia a piangere. Entra un ritardatario, accolto dal puntuale rimbrotto. Nematzadeh non ha il quaderno perché l’ha lasciato a casa di suo cugino, che è anche un suo compagno di classe e che prontamente glielo restituisce.
I bambini escono di corsa da scuola, Nematzadeh cade per terra e il suo amico Ahmad lo aiuta ad alzarsi. Quando quest’ultimo arriva a casa, gli altri fanciulli gli dicono di uscire, ma lui rifiuta, dicendo di dovere fare i compiti. Sua madre è alle prese con il neonato che ha in braccio e non fa altro che rivolgersi ad Ahmad con ordini perentori. Intanto, suo cugino sta finendo i compiti, mentre Ahmad deve ancora incominciare. Sta per farlo quando si accorge di aver preso per sbaglio il quaderno di Nematzadeh. Lo dice alla madre, che però pensa sia una scusa per andare a giocare anziché studiare. Inoltre l’amico abita troppo lontano e la madre è inflessibile. Convinta che comunque Ahmad non stia studiando, lo manda a comprare il pane. Ahmad, senza farsi vedere, prende il quaderno di Nematzadeh e esce di corsa.
Percorrendo una strada a zig-zag giunge in cima a una collina, mentre suo nonno lo osserva. Superato un bosco, raggiunge le prime abitazioni di un paese limitrofo e domanda, invano, del suo amico. Una donna gli chiede di lanciarle un panno che le è caduto da un balcone, ma è troppo pesante e Ahmad ci riesce solo a fatica. Incrocia poi un altro suo amico, che però non conosce di preciso la strada per la casa di Nematzadeh, né può accompagnarlo, impegnato com’è nell’aiutare i suoi genitori a trasportare del latte. Anche un vecchio non lo aiuta. Del resto, senza conoscere non solo l’indirizzo preciso, ma neanche il quartiere, non è facile ottenere indicazioni. Ahmad crede di riconoscere i pantaloni di Nematzadeh tra alcuni panni stessi. Una vecchia malata prova a fatica ad aiutarlo, ma presto desiste. Alcune donne che stanno raccogliendo acqua da una fontana, gli dicono che la casa lì vicino è di Ahmadi, il cugino di Nematzadeh, che però è appena andato col padre a Qoker (il paese di Ahmad); si riesce ancora a vederlo in lontananza.
Ahmad corre indietro per raggiungerlo, passa davanti a suo nonno, che gli chiede cosa ci facesse a Poshteh e gli ordina di andargli a comprare le sigarette. In realtà non ne ha bisogno, glielo ha chiesto solo per educarlo, poiché non può permettersi di farsi ripetere un comando tre volte. Come suo padre gli dava le botte ogni due settimane – racconta al suo vicino di sedia - anche lui farebbe così con suo nipote, persino se si comportasse bene.
La macchina da presa ha ormai abbandonato Ahmad e si sofferma su alcuni artigiani di mezza età che trattano con un anziano il costo della riparazione di una porta. Torna Ahmad, che non ha trovato le sigarette. L’artigiano gli chiede un foglio, Ahmad gli dice che il quaderno non è suo e l’uomo glielo sottrae con l’imposizione, anche se non con la forza. Tra gli uomini c’è un signor Nematzadeh, Ahmad gli chiede se sia il padre del suo amico, ma questi non risponde, monta sul suo asino e se ne va, mentre Ahmad lo segue lungo la strada a zig-zag, poi nel bosco, fino a Poshteh. Rischia di perderlo di vista, ma poi nota l’asino legato all’esterno di un’abitazione, mentre l’uomo lo raggiunge, seguito da un bambino che trasporta un’anta. Il Nematzadeh che Ahmad ha trovato non è però Mohamed Reza, ma un omonimo, che può soltanto dargli un suggerimento su dove possa essere il suo amico.
Ormai è buio e Ahmad si aggira invano per Poshteh. Da dietro una porta si sente il rumore di una fresa; un uomo si affaccia, rivelando che l’indirizzo è sbagliato, ma dicendo di conoscere Nematzadeh: suo padre, un suo cliente di vecchia data è stato lì poco fa. Per la prima volta qualcuno si offre di accompagnare il nostro eroe, sciorinandogli le proprie miserie lavorative e familiari. Ecco che gli indica l’abitazione esatta, mentre egli si ferma a riposare. Ahmad però non bussa neanche, preoccupato di tornare a casa al più presto per evitare le legnate di suo padre; tra l’altro l’uomo è anziano e procede molto lentamente. Alla fine non ce la fa più e il bambino procede di corsa da solo, rallentato dagli abbai minacciosi dei cani.
Ahmad è rientrato a casa; la madre gli intima di mangiare, mentre il padre è alle prese con una radio. Ma il piccolo non ha fame, è sull’orlo del pianto e vuole assolutamente finire i compiti. Va a farlo nella sua cameretta, mentre sua madre gli mette il piatto vicino. Una folata di vento spalanca la porta, mostrando i panni stesi che svolazzano, raccolti dalla madre, e facendo sentire i latrati dei cani.
In classe: entra il maestro, mentre Ahmad è tra i ritardatari. Non è ancora arrivato quando il docente chiede i compiti, rimproverando chi non li ha svolti o non lo ha fatto correttamente. Nematzadeh apre la cartella e finge di cercare il quaderno; finalmente Ahmad arriva e glielo dà, con i compiti ricopiati. Il docente non si accorge di nulla e dà la sua approvazione per il buon lavoro svolto.
Un’analisi
Inseriti in una struttura circolare, troviamo in “Dov’è la casa del mio amico” alcuni elementi tipici del regista e del cinema del suo Paese. Innanzi tutto la scelta di un bambino come protagonista: la critica all’educazione autoritaria cui i giovani iraniani vengono sottoposti è affrontata ripetutamente da Kiarostami nei suoi film (da “Il viaggiatore” a “Compiti a casa”), sia precedenti che successivi, così come l’incapacità degli adulti di ascoltarli e capirli emerge sempre con chiarezza. I bambini sono costretti, dietro minaccia di punizioni, non solo a non sgarrare nello studio, ma anche a lavorare in casa per aiutare i genitori; Kiarostami, memore di un’infanzia relativamente travagliata e forte dell’esperienza maturata come direttore dell’Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti (conosciuto con la sigla Kanun), è particolarmente sensibile a questo tema.
Il padre di Ahmad è autoritario tanto quanto il maestro, anche se per tutta la prima parte nel film (come in tutto “Il palloncino bianco”, scritto da Kiarostami e diretto da Panahi) non lo si vede: si avverte soltanto la sua presenza minacciosa. Ciononostante, il giovane protagonista, con la sua caparbietà e attraverso azioni reiterate, riesce a ottenere il risultato sperato, malgrado la società svolga il ruolo di vero e proprio antagonista.
Tuttavia, nel percorso di Ahmad, conta più il viaggio in sé, ovvero l’esperienza formativa, che la meta raggiunta.
Tali vicissitudini sono raccontate con uno stile semplice solo in apparenza, in parte sgrammaticato (stando ai parametri occidentali), basato sull’alternanza di inquadrature lunghe e multiprospettiche, con qualche soggettiva e qualche falso raccordo e che verranno ulteriormente depurati nei film successivi del regista, il quale dopo l’enorme successo di pubblico in patria e un premio a Locarno, che lo farà conoscere in Europa e negli Stati Uniti, oserà maggiormente.
Quanto agli aspetti metacinematografici, non sono così assenti come sembrerebbe: si notino infatti la scelta di interporre spesso oggetti (lenzuola stese, un ammasso di rami e foglie, una porta trasportata a mano) tra la macchina da presa e i personaggi filmati, in modo da ostacolare la visione, e il gusto (più evidente nelle opere successive) per le inquadrature di cornici o oggetti affini, come a individuare un secondo piano di visuale.
Curiosità
"Dov’è la casa del
mio amico" contiene l’immagine più celebre del cinema di
Kiarostami: La strada a zig-zag, con in cima un albero. Viene
tracciata ad hoc ed è un rimando al simbolo del serpente,
come raffigurato nel frontespizio di La pelle di zigrino di Balzac.
L’albero, anch’esso collocato appositamente, è invece già
presente in quadri e fotografie realizzati dal regista in anni
precedenti..
Il vento, che spira quasi
come in un film di fantasmi, è nella mente di Kiarostami “la
metafora più vicina all’inquietudine spirituale”
"Dov’è la casa del
mio amico" è il primo film di una trilogia, portata a termine
dopo che i luoghi in cui il film è stato girato, il distretto di
Mazandaran, viene colpito da un violento terremoto.
I discutibili metodi
educativi narrati dal nonno di Ahmad (interpretato da un vecchio del
villaggio, analfabeta), a quanto pare, sono gli stessi usati dal
padre di Kiarostami con lui.
Il film è ispirato a una
poesia di Sohrab Sepehri, cui è dedicato. Essa si intitola Dov’è
la Dimora dell’Amico, con la”Dimora” a indicare la quiete
mistica e “Amico” il Profeta Maometto. I passi che più
interessano per un paragone con l’opera di Kiarostami sono i
seguenti:
Tu andrai fino in fondo al viottolo
Fino al punto in cui spunterà l’adolescenza
Poi ti volgerai verso il fiore della solitudine.
A due passi da quel fiore tu ti arresterai
Ai piedi della fontana da cui sgorgano i miti della terra.
Là tu sarai travolto dalla brezza (..)
Vedrai un bambino arrampicato sulla cima di un esile pino
(…) Allora tu gli domanderai:
Dov’è la Dimora dell’Amico?
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