Alcune domande al regista e all'attrice protagonista di "La testimone - Shahed".
Intervista a cura di Sara Fallah e Claudio Zito
Intervista a cura di Sara Fallah e Claudio Zito
NADER SAEIVAR
1. Ci può raccontare come si è sviluppata la preziosa collaborazione con Jafar Panahi?
Ho conosciuto Jafar Panahi da vicino per la prima volta nel 2016. L’ho incontrato per caso in un caffè, dove era seduto da solo. Mi sono avvicinato e abbiamo iniziato a parlare. Successivamente, gli ho mostrato un cortometraggio che avevo realizzato, e lui ha visitato il mio ufficio. Da lì, la nostra amicizia è cresciuta giorno dopo giorno. La nostra prima collaborazione è stata per il film "Tre volti", girato nel 2017, in cui ho aiutato Panahi nella produzione. Da allora, è sempre stato al mio fianco come mentore e consulente, supportandomi nella scrittura, nella regia e nel montaggio dei miei film. Ho imparato moltissimo da lui, non solo sul cinema, ma anche sulla vita. Il suo coraggio ha ispirato non solo me, ma anche molti altri cineasti iraniani, dimostrando che è possibile resistere all’oppressione, realizzare i propri film e rimanere indipendenti. Per questo credo che il cinema indipendente e underground in Iran debba molto a Jafar Panahi. Non sarebbe un’esagerazione definirlo il padre del cinema di protesta e underground iraniano
2. In "Shahed" che ruolo repressivo hanno la religione, gli affari e la rete di agenti di sicurezza? Nell'intreccio tra queste componenti, ha un peso maggiore quella laica o quella religiosa?
Mai come oggi la teoria darwiniana della 'sopravvivenza del più adatto' è evidente in Iran. I gruppi politici usano ogni mezzo a loro disposizione per garantirsi la sopravvivenza. A volte ricorrono alla forza e alle armi, altre volte fanno un passo indietro per calmare le acque. Tuttavia, negli ultimi 45 anni, hanno sempre sfruttato i sentimenti religiosi della gente, facendo leva sulle promesse di paradiso e sulle minacce di inferno, instillando la paura del peccato e del Giorno del Giudizio per mantenere il controllo. Questa tattica è una caratteristica comune a tutte le religioni. In un certo senso, l’Iran di oggi assomiglia molto all’Europa medievale, con la differenza che persino una figura come Martin Lutero non riuscirebbe a liberare questa nazione dall’arretratezza e dalla stagnazione imposte dalla religione. Non so come sia la situazione in Italia, ma in Iran la religione ha dimostrato di poter facilmente creare un regime dittatoriale, dato che possiede intrinsecamente gli strumenti per attuare pratiche fasciste. Non
importa se si tratti di Islam, Ebraismo, Cristianesimo o di qualsiasi altra religione: ogni fede che definisce una divinità e ti incoraggia ad adorarlo sta cercando di ingannarti e di svuotarti le tasche. Per questo, osservando la giovane generazione, comunemente chiamata Generazione Z, credo che l’Iran sia uno dei più grandi paesi atei del mondo. È una reazione naturale contro la religione che ha avuto luogo in questa generazione.
3. I topi che infestano la casa in cui vive Tarlan, e che vengono combattuti da lei, ma non dal padrone di casa, simboleggiano questi poteri?
In Iran c’è un detto popolare: "I muri hanno topi, e i topi hanno orecchie," che significa che il
governo e i suoi spioni, come i topi, si sono infiltrati persino nelle crepe dei muri delle nostre case.
Faranno tutto il necessario per assicurarsi la sopravvivenza.
4. Ci sono alcuni aspetti che sfuggono allo spettatore non iraniano. Per esempio, l'abbigliamento da musulmani osservanti degli uomini, la scritta "Donna, vita e libertà" che viene cancellata da un muro, le flagellazioni durante Ashura ecc. Pensi che la storia che racconti sia universale, o più specificamente iraniana?
In definitiva, ogni film è meglio compreso nel proprio contesto geografico. Ad esempio, per quanto un film italiano possa essere universale, non potrei mai percepirlo come farebbe un italiano. Gli elementi e l’atmosfera di questo film sono molto più comprensibili agli iraniani, soprattutto a coloro che vivono attualmente in Iran. Persino la disposizione degli oggetti nella casa di Tarlan, le foto sui muri e il design degli interni hanno significati profondi per un pubblico iraniano. Questo è inevitabile.
La rappresentazione della cerimonia dell’Ashura nel film, che commemora il martirio di uno degli imam dello sciismo da oltre 1.400 anni (anche se nella sua forma attuale risale a soli due secoli fa), è simile ai sistemi dell’antica Grecia e Roma. Collegando le persone alla mitologia e attribuendo un’importanza eccessiva a queste storie, distoglie la mente dalle ingiustizie che accadono davanti ai loro occhi. Ogni anno, questa cerimonia diventa un’opportunità per il governo di mettere in scena uno spettacolo mitico in linea con le promesse dell’aldilà, una strategia comune a tutte le religioni. Si approfittano delle vulnerabilità delle persone.
5. Molti personaggi hanno nomi e accento azeri. Anche il tuo film precedente "Namo - The Alien" era ambientato nella tua città Tabriz e recitato nella lingua turca locale. Che legame mantieni con questa minoranza etnica e linguistica?
Essendo madrelingua turco e avendo vissuto per molti anni in regioni turcofone dell’Iran, la lingua e la cultura turca sono profondamente radicate in me. Quando realizzo film in questa lingua e cultura, riesco a comprendere meglio le persone e a rappresentare le loro vite e le loro emozioni in modo più naturale e credibile. I miei due film precedenti sono stati realizzati in turco e girati nella mia città natale. Inizialmente, volevo girare anche questo film in Azerbaigian e in turco. Abbiamo persino provato per quattro mesi con un cast locale in turco.
Tuttavia, ho incontrato diversi ostacoli. In primo luogo, a causa dei miei film underground, ero diventato troppo conosciuto nella mia regione e non potevo più girare film underground lì. In secondo luogo, non sono riuscito a trovare un’attrice disposta a togliersi l’hijab obbligatorio e recitare senza di esso. Di conseguenza, ho deciso di girare a Teheran, dove potevo attirare meno attenzione. Questo mi ha anche permesso di lavorare con attori di lingua persiana incredibilmente talentuosi, come Maryam Boubani.
6. Alla questione di genere si affianca la questione generazionale, che emerge in modo potente nel finale del film. Pensi che le forme di disobbedienza civile adottate dalle giovani siano quelle che si stanno affermando?
Credo che la nuova ondata di lotte delle donne in Iran sia una continuazione degli sforzi delle generazioni precedenti. Sebbene la giovane generazione di oggi possa non esserne consapevole, deve il suo coraggio, almeno inconsciamente, a quelle generazioni. Dopo la rivoluzione del 1978 in Iran, abbiamo avuto una generazione rivoluzionaria di donne che è scesa rapidamente in piazza per rivendicare i propri diritti. Purtroppo, sono state brutalmente represse con il pretesto di aver insultato Dio e l’Islam. La generazione successiva, che chiamo la *generazione intermedia o bruciata*, non ha mai avuto l’opportunità di esprimere le proprie opinioni a causa della guerra e dell’ascesa delle forze repressive.
Tuttavia, la Generazione Z è entrata in scena con una forza senza precedenti. Questa generazione è come una tempesta, e in ogni tempesta, è inevitabile che molte case vengano distrutte.
7. Il figlio di Tarlan, invece, non solo serba rancore verso la madre, ma agisce in maniera opposta e sembra molto distante anche nella statura intellettuale. Hai cercato una netta contrapposizione tra personaggi maschili e femminili?
Per me era importante non rappresentare la protagonista come un’eroina perfetta, perché credo che nella vita reale gli eroi assoluti non esistano. Anche le persone che mostrano qualità sociali o rivoluzionarie ammirevoli spesso hanno difetti e fallimenti personali. Quando tratti i tuoi personaggi come esseri umani piuttosto che come supereroi, devi rappresentare onestamente anche le loro debolezze.
Questo approccio rende il pubblico più propenso a credere alla tua storia. Non c’è dubbio che Tarlan sia una combattente e un’attivista per la giustizia. Ma forse, per la prima volta, si rende conto che la giustizia che cercava nella società non è mai stata praticata nella sua stessa casa. Ha sacrificato i diritti il tempo di suo figlio per perseguire la giustizia sociale. Aveva il diritto di farlo? Il film pone domande piuttosto che offrire risposte. Non vedo suo figlio come un personaggio completamente negativo. È una persona normale che vuole semplicemente rimanere normale. Forse è per compensare queste mancanze che Tarlan accetta la proposta del figlio e va nell'ufficio di Solat.
8. Pensi che ci sia un dialogo a distanza tra il tuo film e "The Seed of the Sacred Fig" di Rasoulof, che affronta temi analoghi ed è anch'esso co-prodotto all'estero?
Io e Mohammad Rasoulof respiriamo la stessa aria. Siamo buoni amici, e lui è stato uno dei consulenti per il mio secondo film. È naturale che condividiamo preoccupazioni comuni. Tuttavia, filtriamo i problemi attraverso prospettive personali. Ad esempio, non ho mai vissuto le sue esperienze: più incarcerazioni, lunghi periodi di detenzione, interrogatori e torture. Questi eventi hanno profondamente influenzato i suoi film, che spesso si concentrano su persone ed eventi che hanno segnato la sua anima. Tuttavia, penso che il mio cinema, come quello di Rasoulof, condivida la preoccupazione di rivelare la
verità, preservare la dignità umana e, in ultima analisi, l’integrità.
MARYAM BOBANI
1. Il suo personaggio è uno dei più belli del cinema iraniano, grazie anche alla sua interpretazione. Tarlan rispecchia anche il suo carattere?
Sì, sento una profonda vicinanza con il personaggio di Tarlan dentro di me. Per questo, in un certo senso, ho vissuto con questo personaggio. Anch’io sono stata coinvolta in questioni politiche e ho seguito da vicino i problemi morali e le vicende spiacevoli che accadono nella società iraniana. Nel limite delle mie capacità, ho cercato di reagire a queste situazioni. Tuttavia, c’è una scena in cui mi sento molto distante da Tarlan: è quella in cui decide di versare una sostanza velenosa nella bevanda di Solat. Personalmente, penso che non arriverei mai a considerare una soluzione del genere nella mia vita, anche se la società in cui vivo non ha mai smesso di esercitare oppressioni e ingiustizie contro le donne.
2. In Occidente si ha spesso un'immagine delle donne iraniane come di vittime indifese, almeno fino a "Donna, vita e libertà". Pensa che le modalità di azione e la tenacia di Tarlan siano invece più comuni di quanto noi possiamo pensare?
Una parte della storia delle donne nel cinema iraniano prima della rivoluzione, legata al tema "Donna, Vita, Libertà," specialmente nel mio caso, consisteva nel mostrare un’immagine reale delle donne della classe sociale più bassa e delle difficili condizioni di vita che affrontavano: una vita dura, povera e piena di discriminazioni insostenibili. Questo in un sistema che nemmeno la classe media comprendeva appieno. Nel corso di questo lavoro, il sistema imponeva anche le sue richieste, completamente fuori dal mio controllo.
Con questi ruoli, volevo dire che una vasta parte delle donne nella nostra società sopporta questa vita disumana. Per poter curare un problema, bisogna prima vederlo, riconoscerlo, capirne l’entità e solo allora, con consapevolezza, analizzarlo e, quando possibile, agire contro di esso.
Accettando questi ruoli, cercavo di portare i personaggi realistici della signora Banietemad (una delle migliori registe del cinema iraniano) davanti a un pubblico più ampio, composto da persone che avevano chiuso gli occhi di fronte alle amare realtà e privazioni di queste donne. Non nego che il governo abbia sfruttato queste rappresentazioni, volendo presentarle come esempi di “buone donne obbedienti e sottomesse” secondo la loro propaganda.
Infine, vorrei sottolineare quanto sia stato difficile tutto questo processo. Quando una sceneggiatura deve superare innumerevoli filtri, l’autore deve combattere con persone ignoranti, prevenute e misogine per far approvare un copione mutilato. Il compito del regista, se ha una visione, è quello di trasformare questo copione frammentato in un’opera coerente e leggibile per il pubblico. Credetemi, è più difficile del teorema di Pitagora!
Anche se i rappresentanti del governo sui social media mi hanno dipinta come un simbolo di sfortuna e miseria nei film e nelle serie TV, non mi dispiace affatto. Alla fine, hanno visto nei miei lavori l’immagine delle loro madri, anche se mi deridono. Gli iraniani hanno un tratto particolare che non so se sia buono o cattivo: riescono a fare battute anche sui loro dolori peggiori.
3. Ha lavorato con registi iraniani importanti come Bahram Beizai, Rakhshan Banietemad, Tahmineh Milani, ma questo è il suo primo film distribuito in Italia, e per molti la sua interpretazione sarà sorprendente. A quali tra le sue esperienze cinematografiche è più affezionata?
Considerando tutto ciò che ho detto, amo tutti i miei ruoli. In caso contrario, non li avrei interpretati. Anche se molti di questi personaggi li ho recitati sotto le pressioni di imposizioni e restrizioni, Tarlan è quello che amo di più. Perché in quel caso ho avuto maggiore libertà creativa. Non si tratta solo della questione del velo!
Tarlan rappresenta la realtà delle donne che, nonostante vivano in un ambiente maschilista, opportunista, oppressivo, violento e pieno di povertà, non cedono alla bassezza e alla malvagità. Sono donne che lottano senza le armi della propaganda dei sistemi oppressivi, i quali cercano in tutti i modi di privarle della fiducia in sé stesse e della consapevolezza. Tarlan, Zara e Ghazal rappresentano generazioni che si sostengono a vicenda, incarnando una crescita evolutiva che ormai nessuna arma può fermare.
Sono felice che il film venga proiettato in Italia e sarò ancora più felice di conoscere le reazioni e i feedback degli spettatori. Ringrazio di cuore il signor Saeivar per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo progetto. Questo lavoro è stato davvero il risultato dello sforzo dell’intero gruppo, in condizioni difficili e impegnative. Ringrazio profondamente tutti coloro che mi hanno aiutata a dare vita a Tarlan!
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