giovedì 3 novembre 2016

The Lizard, Kamal Tabrizi (2004)

C'è almeno un film iraniano relativamente recente che ha ottenuto una discreta eco senza passare dai principali festival internazionali. Certo, è pur vero che ha sfruttato un'aura di film maledetto e censurato, altro classico - ma meno agevole - viatico per il successo. "The Lizard", conosciuto anche con il titolo originale persiano "Marmoulak", è infatti un film che dileggia il clero della teocrazia iraniana come mai si era visto prima. 









Il colmo è che inizialmente i censori non si accorgono di nulla. La pellicola viene regolarmente distribuita in sala, con vasto riscontro di pubblico. Tempo un mesetto e scatta la messa al bando. Comincia così la seconda vita del film, quella della circolazione clandestina. Fenomeno diffusissimo in Iran, come ben sa chiunque abbia visto "I gatti persiani" o "Taxi Teheran".

La metafora è esplicita fin da subito, Kamal Tabrizi spinge su questo registro. L'inizio in medias res ci mostra un uomo (Parviz Parastui, tra gli attori più acclamati del paese) arrestato, accusato di rapina (ma si proclama innocente) e subito sottoposto a una "dieta spirituale" in un carcere che non è in grado di redimerlo, che anzi gli procura la pena dell'isolamento qualsiasi cosa egli faccia; anche immeritatamente, avendo solo obbedito agli ordini del severissimo direttore. Reza, detto 'Lucertola' per le sue doti di arrampicatore e per il tatuaggio che ha sul braccio (ma sarà anche un ottimo... camaleonte) trova la via della fuga dopo un ricovero in ospedale per una ferita al braccio, che si è procurato in seguito a un tentativo di suicidio (peccato gravissimo!). 

In corsia incontra un mullah, Reza anche lui, che lo introduce alla dottrina ma poi si ritrova derubato di abito ecclesiastico e turbante, usati dalla Lucertola per sgusciare via, così come spicca il volo la colomba che egli aveva liberato dal filo spinato del perimetro della prigione.

 


Tutta l'ottima prima parte, degna dei film giovanili di Mohsen Makhmalbaf, ha un ritmo mozzafiato, con i dialoghi interrotti solo nel momento in cui il protagonista, nei sui abiti nuovi, si trova senza parole... poiché costretto a improvvisare una preghiera dinanzi ai fedeli. Il prosieguo approda a una più classica commedia degli equivoci, zeppa di battute a sfondo teologico (esilarante quella sul comportamento da tenersi quando di guarda un horror).

Il Nostro si immedesima nel ruolo; acquisice pure personalità nella predica, grazie al leitmotiv per cui non c'è un solo sentiero per giungere a Dio, ognuno ha il proprio, compreso il criminale detenuto.
Parallelamente si trova a rispondere a una serie di domande bizzarre da parte dei fedeli e soprattutto degli aspiranti mullah, ad esempio su come organizzare le cinque preghiere giornaliere al Polo Nord, con sei mesi di notte ininterrotta, o a bordo di un'astronave nello spazio.

(La svolta comica si era già intravvista in una tappa della fuga dal carcere: un predicatore televisivo ciancia di Internet e multimedialità; alla ricerca di un mullah più tradizionalista, Reza cambia canale e si imbatte in un discorso sulla ricerca di Dio in "Pulp Fiction". Più avanti la Lucertola parlerà del "fratello" Tarantino, grande regista cristiano.)

Prevedibilmente Reza non riesce a celare la propria indole - dall'attrazione per le donne, all'irascibilità, all'abilità nell'arrampicata, mentre la polizia gli va alle calcagna. Si tradirà predicando di fronte ai suoi ex compagni di cella.

Il soggetto, abbiamo visto, è folgorante. Nel prosieguo non sempre il film riesce a mantenere la medesima originalità, né pari interesse. 
Certo deve essere stato uno shock, per gli spettatori, vedere un evaso nelle vesti di chi guida il paese, ossequiato da tutti. Il mondo a testa in giù: come quello che vede Reza la Lucertola quando prega per la prima volta.








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