martedì 24 giugno 2025

Il cinema iraniano alla guerra: i film della "Difesa Sacra"

Nel panorama internazionale, il cinema iraniano è noto principalmente per i suoi film d'autore riflessivi e antispettacolari firmati Kiarostami, Panahi, o Farhadi. Tuttavia, al di là dei circuiti festivalieri mondiali, esiste un vasto repertorio cinematografico interno, profondamente radicato nel contesto politico e religioso post-rivoluzionario: il cinema della "Difesa Sacra", un genere egemonico in patria, lautamente finanziato dallo stato e premiato nei festival locali, ma poco studiato all’estero. Ne ha scritto di recente Kaveh Abbasian, regista e docente di cinema e media presso l’Università del Kent (Regno Unito) nel suo saggio “The War Must Go On: The Three Phases of Iranian Sacred Defence Cinema” incluso in "The I.B. Tauris Handbook of Iranian Cinema" (2024), a cura di Michelle Langford, Zahra Khosroshahi e Maryam Ghorbankarimi. Abbasian offre un'articolata genealogia di questo filone, suddividendolo in tre fasi principali: idealismo apocalittico, malinconia post-apocalittica e nazionalismo roboante.

Con l’ascesa della Repubblica Islamica nel 1979, il cinema iraniano è bollato da Khomeini come “centro di corruzione” importata dall’Occidente. Nonostante ciò, il cinema non viene bandito, ma riorientato in chiave educativa e religiosa. La guerra "imposta" dall'Iraq (1980–1988) fornisce il terreno ideale per promuovere una nuova estetica islamica. Inizialmente, film popolari di registi dell’era Pahlavi come "The Imperilled" (Iraj Ghaderi, 1982) e "The Eagles" (Samuel Khachikian, 1985) sono censurati o considerati non rispettosi dei valori islamici. La vera genesi del cinema della Difesa Sacra si sviluppa così in ambito televisivo, con documentari prodotti dal regista militante Morteza Avini, figura chiave della prima fase del genere.


The Eagles (1985)


Avini incarna la visione teologico-rivoluzionaria della prima fase. Per lui, la guerra non è solo un conflitto militare, ma l’inizio di una rivoluzione escatologica che porterà al ritorno del Mahdi, il salvatore nascosto dell’Islam sciita. Nei suoi film, i martiri non sono semplici caduti ma annunciatori della fine dei tempi. Questo cinema è intriso di fede, sacrificio e misticismo, e Avini ne è sia teorico che artefice.

Accanto ad Avini, emergono altri registi chiave. Rasoul Mollagholipour è il cineasta di finzione più prolifico di questa prima faseI suoi primi quattro film, tutti realizzati durante la guerra – "Neynava" (1983) , "A Boat to the Shore" (1986) , "Flight at Night" (1987) e "Horizon" (1989) – incarnano le tendenze ideologiche del periodo. Mollagholipour si concentra sui volontari e i loro sacrifici , rendendo il martirio dei personaggi centrali per le trameI suoi film abbondano di simboli sciiti, dall'uso di bandiere con scritte religiose a rituali eseguiti prima delle operazioni militari. L'autore dedica un considerevole spazio agli iracheni, raffigurandoli come figure assolutamente malvagie, in netto contrasto con gli eroici personaggi iraniani.

Il 1988 vede Khomeini "bere il calice del veleno", ossia accettare il cessate il fuoco. Per gli islamisti idealisti come Avini, la fine della guerra non è motivo di celebrazione, ma di dolore, sconfitta, risentimento. Anche il cinema si trasforma. I registi iniziano a riflettere sulle cicatrici della guerra più che sul suo eroismo. Ebrahim Hatamikia, che aveva appreso gran parte del suo mestiere durante la guerra e la collaborazione con Avini, realizza film come "The Scout" (1989) e "The Immigrant" (1990) che, sebbene metaforicamente, ritraggono personaggi che si sentono abbandonati in un ambiente inospitale. "From Karkheh to Rhein" (1993) si concentra sulla difficile situazione dei veterani di guerra iraniani dopo il conflitto, in particolare sul protagonista Saeed, un cieco a causa di attacchi chimici iracheni, che non riesce ad accettare il mondo post-bellico. "The Scent of Joseph's Shirt" (1995) presenta un personaggio che rifiuta di accettare la morte del figlio in guerra, e rappresenta un attaccamento malinconico agli ideali della guerra

Avini, prima della sua morte nel 1993 a causa di una mina antiuomo, è particolarmente critico nei confronti degli intellettuali laici che considera occidentalizzati e completamente distaccati dagli ideali della rivoluzione e della Sacra Difesa. Le sue critiche si estendono a registi come Abbas Kiarostami, che accusa di fare film per i festival occidentali. Hatamikia condivide questo approccio ostile, che raggiunge il culmine nel suo film "The Glass Agency" (1998). Il film presenta un personaggio che simboleggia Kiarostami e il suo tipo di intellettuale, dipinto come un codardo.


Una tendenza significativa di questa seconda fase è la critica sociale. "The Marriage of the Blessed" (1989) di Mohsen Makhmalbaf mostra un combattente iraniano che non riesce ad adattarsi alla vita civile dopo essere stato dimesso da un ospedale psichiatrico.

Anche i film post-bellici di Mollagholipour, come "Journey to Chazzabeh" (1996) e "Heeva" (1999), esplorano personaggi che vivono nel passato e non riescono a liberarsi dei loro ideali di guerraSimilmente, in "Sheida" (1999) di Kamal Tabrizi, il protagonista, un combattente idealista che ha temporaneamente perso la vista, fatica ad accettare la fine della guerra, e la sua preoccupazione per il passato è romanticizzata e lodata.





Il numero complessivo di film sulla Sacra Difesa inizia a diminuire dopo il 2000, con l'emergere anche di alcuni film considerati, in parte, anti-bellici, come "Gilaneh"  di Rakhshan Banietemad, che rompe con l’epica per mostrare il dolore quotidiano di una madre nel prendersi cura del figlio disabile, vittima del conflitto. Questa fase segna anche l'ingresso di prospettive femminili e una maggiore introspezione. 

Negli anni recenti, con l’avvento di nuove guerre (come quella in Siria) e la minaccia dell’ISIS, si apre una terza fase. Qui il cinema della Difesa Sacra abbraccia estetiche hollywoodiane, effetti speciali e toni epici per giustificare l’intervento militare iraniano all’estero. Figure come Hatamikia si riconvertono in registi di azione, esportando il messaggio ideologico della Repubblica Islamica in un contesto internazionale. Secondo Abbasian, questo cinema diventa uno strumento sofisticato di propaganda antioccidentale, camuffato da produzione mainstream ad alto budget. L'obiettivo è rendere la propaganda più attraente per le giovani generazioni che non hanno vissuto la rivoluzione e la guerra e che non sono necessariamente interessate a una narrazione esclusivamente islamica. A partire dal 2011 è lo stesso corpo dei Guardiani dell Rivoluzione (IRGC) a produrre direttamente i film tramite le neonata organizzazione Owj Arts and Media.

Film di Mohammad Hossein Mahdavian, come "Standing in the Dust" (2016), "Midday Adventures" (2017) e "Midday Adventures: Trace of Blood" (2019), insieme ai lavori di Narges Abyar ("Breath", 2016; "When the Moon Was Full", 2019), Bahram Tavakoli ("The Lost Strait", 2018) e Mehdi Jafari ("23 People", 2019), sono esempi della nuova ondata. Questi registi producono film con trame complesse e un uso più elaborato degli storyboard e della pre-produzione, simili a quelli criticati dagli autori della prima ora.

Un esempio emblematico è "Lottery" (Mahdavian, 2018), che, pur non essendo un film di guerra, incarna l'aspetto sciovinista di questa faseLa storia, ispirata al filmfarsi, il cinema commerciale dei tempi dello scià, ruota attorno a una giovane coppia che sogna di vincere la lotteria della green card e trasferirsi negli Stati UnitiQuando la ragazza scompare e si scopre che è morta a Dubai, il ragazzo si vendicaIl film glorifica così la violenza, necessaria per salvare l'Iran e le sue donne.




Ma è ancora Hatamikia l'esponente di punta della fase, con "Che" (2014), su una battaglia risalente al 1979 contro la guerriglia curda, "Bodyguard" (2016), ispirato alla figura del generale Soleimani e "Damascus Time" (2018), sulle attività dell'Iran in Siria.

Come nota Abbasian, il cinema della Difesa Sacra è il più grande segreto del cinema iraniano contemporaneo, ignorato dall’Occidente ma centrale nel progetto culturale della Repubblica Islamica. Le sue tre fasi riflettono i mutamenti ideologici della paese e il modo in cui la guerra viene narrata, rivissuta e reinventata per costruire l’identità nazionale. Dai toni mistici di Avini agli effetti digitali dei blockbuster contemporanei, la guerra nel cinema iraniano non finisce mai davvero: the war must go on. Purtroppo non solo al cinema.


giovedì 19 giugno 2025

Panahi non può rientrare in Iran

Dopo anni a non poter uscire dall'Iran, oggi Jafar Panahi non ci può rientrare. Così su Instagram:

"Due settimane fa, su invito di un festival cinematografico [di Sidney], sono partito per un viaggio. Pochi giorni dopo è iniziata la guerra. Da quel momento ho cercato in tutti i modi di tornare a casa, alla mia famiglia, soprattutto a mia madre. La chiusura dei confini aerei e terrestri mi ha praticamente imprigionato fuori dal mio Paese. Fino a ieri ho fatto ogni sforzo per tornare, ma è stato tutto inutile. Continuerò comunque a cercare di rientrare.

Questa situazione per me è profondamente dolorosa e insopportabile; non solo per la lontananza da casa, ma per il senso di impotenza di fronte al dolore di un popolo che ogni giorno è vittima di questa guerra. Quando il destino di una nazione è nelle mani di fanatici e potenze ambiziose, non rimane nulla se non rabbia, dolore e una pesante responsabilità."


mercoledì 18 giugno 2025

Shayda al cinema da 10 luglio

Dopo essere stato presentato alla 76esima edizione del Locarno Film Festival e aver vinto il premio Audience Award al Sundance Film Festival 2023, Shayda, esordio della regista iraniano-australiana Noora Niasari, con protagonista Zar Amir Ebrahimi, già vincitrice del premio per la miglior attrice a Cannes nel 2022 con Holy Spider, sarà distribuito nelle sale italiane dal 10 luglio da Wanted Cinema

Anche Jafar Panahi condanna l'aggressione

Dopo Rasoulof, anche Jafar Panahi specifica meglio la sua posizione, in un commeto comparso in una sua "stories" di Instagram:

"Non ho alcun dubbio su questo punto chiaro e non negoziabile: ho già espresso esplicitamente la mia posizione e la ribadisco ancora una volta: un attacco alla mia patria, l’Iran, non è in alcun modo accettabile. Israele ha violato l’Iran e dovrebbe essere processato in un tribunale internazionale come aggressore di guerra.

Questa posizione non significa in alcun modo ignorare decenni di cattiva gestione, corruzione, oppressione, tirannia e incompetenza del regime della Repubblica Islamica. Questo governo non ha né il potere, né la volontà, né la legittimità per governare il paese o gestire le crisi. Restare sotto questo regime significa continuare il crollo, continuare la repressione e continuare la fuga! L’unica via d’uscita è sciogliere immediatamente questo sistema e avviare un governo democratico e popolare, responsabile.

Con piena enfasi sulla salvaguardia dell’integrità territoriale dell’Iran e del diritto alla sovranità nazionale, chiedo la fine immediata e incondizionata della devastante guerra tra la Repubblica Islamica e il regime israeliano; una guerra che distrugge la vita e i mezzi di sussistenza dei civili da entrambe le parti e che devasta le infrastrutture vitali. Questa guerra rappresenta una minaccia grave per la pace regionale e i valori umani.

Entrambi i regimi dovrebbero essere apertamente condannati per la loro persistenza nella violenza, nella guerra e nella totale indifferenza verso la dignità umana. Attacchi missilistici, bombardamenti di aree residenziali e uccisione mirata di civili sono crimini. Morale, politica e sicurezza non sono scuse per questi crimini. Continuare questo ciclo di sangue e odio non farà altro che aumentare l’instabilità nel mondo e diffondere il disastro.

Chiedo all’ONU e alla comunità internazionale di agire immediatamente, con decisione e senza esitazioni o ritardi, per costringere i due regimi a fermare le azioni militari e l’uccisione di civili. Il silenzio e l’inazione continuata significano complicità nel crimine. Chiaro e forte!

#نه_به_جنگ #نه_به_جمهوری_اسلامی
#NoAllaGuerra #NoAllaRepubblicaIslamica"




martedì 17 giugno 2025

Mohammed Rasoulof condanna anche l'aggressione

Dopo aver firmato con Panahi e altri 5 intellettuali un appello fortemente contestato perché chiedeva il cessate il fuoco senza condannare l'aggressione israeliana, Mohammad Rasoulof ha esplicitato meglio la sua posizione con un post su Instagram:

"Niente, nessuna scusa e nessuna giustificazione possono rendere legittima un'invasione del suolo iraniano.

L'attacco militare di Israele contro l'Iran è un'aggressione palese al nostro territorio, e i responsabili devono essere chiamati a rispondere davanti ai tribunali internazionali.

Tuttavia, la difesa dell'integrità territoriale dell'Iran non significa in alcun modo ignorare quattro decenni di distruzione causati dalla Repubblica Islamica. Questo regime, accumulando corruzione, inefficienza e repressione, non solo si è dimostrato incapace di risolvere le crisi interne e regionali, ma con decisioni che generano crisi ha trascinato la popolazione nel cuore della catastrofe. La Repubblica Islamica è il problema principale.
La sua sopravvivenza equivale al proseguimento della decadenza morale, alla continua repressione delle libertà, e al perpetuarsi del ciclo di violenza, povertà e collasso. L'Iran ha bisogno di superare questa struttura logora e oppressiva.
L’unica via di salvezza è avviare un processo di transizione verso un ordine popolare, responsabile e democratico: un ordine che risponda al popolo, non che lo domini.

Le vere vittime della guerra in corso tra la Repubblica Islamica e il governo israeliano sono le persone: persone che sotto le macerie delle bombe, in mezzo al terrore e tra le rovine, lottano per respirare. Questa guerra deve finire immediatamente, prima che ciò che resta di speranza, vita e futuro venga completamente distrutto.

La Repubblica Islamica e il governo di Israele devono essere esplicitamente condannati per la continuazione della violenza, per l’istigazione alla guerra, per l’umiliazione della dignità umana e per l’uccisione deliberata di civili.
Chiedo alle istituzioni internazionali e a tutte le coscienze sveglie del mondo di agire con decisione, senza indugi né compromessi, per fermare immediatamente gli attacchi militari e porre fine al massacro dei civili."




Messaggio di Asghar Farhadi

In una stories su Instagram, Asghar Farhadi ha scritto:

Iran, resterai tu.
Con tutte le ferite, resterai tu.
Le ferite causate da governanti indegni, da stranieri devastatori, da traditori senza valore.
O terra madre, tu con tutti i dolori nascosti nei petti pazienti
resterai salda e accoglierai con affetto i tuoi figli nel tuo abbraccio.
Tu, per sempre, resterai l’Iran.

lunedì 16 giugno 2025

Bombe da Israele, registi iraniani divisi

Dopo giorni di silenzio dall'inizio della guerra imperialista di Israele all'Iran, voci autorevoli del cinema iraniano iniziano a farsi sentire, rivelando divisioni.

I grandi nomi della dissidenza, Jafar Panahi e l'esule Mohammad Rasoulof, hanno rotto gli indugi firmando un appello congiunto con le premi Nobel per la pace Narges Mohammadi e Shirin Ebadi.

La loro presa di posizione chiede esplicitamente all'Iran la sospensione dell'arricchimento dell'uranio e, in modo radicale, la fine del regime stesso, oltre alla cessazione delle ostilità da entrambe le parti, aggressore e aggredito.

Dall'altro lato, registi che operano più spesso all'interno del perimetro consentito dalle istituzioni, come Nima Javidi (regista di "Melbourne"), hanno utilizzato i social media per esprimere la loro contrarietà alla guerra.

Una voce particolarmente coraggiosa arriva dai registi di "Kafka a Teheran", Ali Asgari e Alireza Khatami.

Pur essendo autori di opere fortemente critiche verso la Repubblica Islamica e le sue contraddizioni, si sono schierati senza esitazione e senza ambiguità contro la guerra e le sue devastazioni fin dai primi momenti.

Silenzio assoluto, invece, da tanti registi importanti di film che abbiamo amato 


lunedì 2 giugno 2025

Buonanotte a Teheran - Critical Zone in streaming

"BUONANOTTE A TEHERAN – CRITICAL ZONE", vincitore del Pardo d’Oro al Festival di Locarno, arriva su iwonderfull.it in streaming dal 12 giugno. In anteprima a Biografilm 2025, il film sarà presentato alla presenza del regista Ali Ahmadzade, che incontrerà il pubblico a Bologna durante la 21ª edizione del festival, in programma dal 6 al 16 giugno 




domenica 1 giugno 2025

Leggere Lolita a Teheran (Eran Riklis, 2024)



Si presenta come un’opera necessaria, come un manifesto civile, come un atto di accusa contro l’oppressione religiosa e patriarcale della Repubblica Islamica dell’Iran, e "Leggere Lolita a Teheran", nella versione cinematografica firmata da Eran Riklis, si inserisce effettivamente in questo solco. Eppure, il film fatica a trovare un linguaggio cinematografico davvero incisivo, rifugiandosi spesso in una narrazione ordinata, accessibile, a tratti didascalica. Più che un grido di dolore o un gesto di rottura, il film somiglia a un’elegante esposizione, pensata per essere compresa e accolta da un pubblico occidentale già predisposto all’empatia.

La regia di Riklis, cineasta israeliano già noto per "La sposa siriana" e "Il giardino di limoni" (qui gira in in Italia: produzione Minerva Pictures e Romanont con Rai Cinema), si distingue per il rispetto e l’attenzione con cui tratta la materia, ma appare qui meno coraggioso ed efficace rispetto ai suoi lavori precedenti. Il racconto autobiografico di Azar Nafisi, figura carismatica e complessa, viene restituito con una struttura ordinata, quasi scolastica, che sembra preferire la chiarezza all’ambiguità, la coerenza narrativa alla tensione emotiva. Le tappe della narrazione – introduzione, sviluppo, conclusione – sono nette, accompagnate da capitoli e cronologie che rendono il tutto facilmente leggibile, ma anche meno coinvolgente.

Alcune scelte, come l’uso episodico dei classici letterari ("Lolita", "Gatsby", "Daisy Miller", "Orgoglio e pregiudizio"), che nel libro rappresentavano territori di confronto interiore e tensione culturale, nel film si riducono spesso a simboli evocativi, più decorativi che realmente problematici. È un approccio che semplifica, anziché approfondire, e che rischia di appiattire la complessità del vissuto delle protagoniste. Manca quasi del tutto, malgrado i tentativi in sede di scrittura, quel senso di perdita che caratterizzava un romanzo sì un po' furbo, ma a suo modo epocale e di grande seguito. Le frasi programmatiche che punteggiano la sceneggiatura (“Pensare non è un reato”, “L’Iran non ti lascia”) appaiono troppo scolpite per convincerci della necessità del film in quanto opera di di testimonianza e resistenza.





Golshifteh Farahani è intensa, partecipe, capace di donare al suo personaggio una gravità autentica. Tuttavia, anche la sua interpretazione risente di una messa in scena che tende più a osservare che a penetrare davvero la materia. Il gruppo di ragazze che accompagna la protagonista resta spesso sullo sfondo, come un coro funzionale, poco esplorato nelle sue singole storie. La simultanea presenza dell'altra star della diaspora iraniana legata all'opposizione, Zar Amir Ebrahimi, conferma i sospetti di un prodotto infiocchettato per l'export. 

E se il tema della condizione femminile in Iran merita sempre e comunque di rimanere sotto i riflettori, forse il problema non è tanto ciò che "Leggere Lolita a Teheran" dice, quanto il modo in cui sceglie di dirlo: cercando il consenso più che lo shock, preferendo rassicurare piuttosto che provocare. In un tempo in cui i racconti del dissenso si moltiplicano nei circuiti festivalieri, servirebbe il coraggio di un cinema che non si limita a raccontare l’ingiustizia ma che ne fa esperienza formale. Che sbaglia, che urla, che balbetta. Questo, invece, è un film che non balbetta mai. E che proprio per questo, finisce col dire troppo poco.

Nel cast femminile anche Mina Kavani ("Gli orsi non esistono") e l'italo-iraniana Isabella Nefar.