La rivista Film-e emrooz ha intervistato Enzo Staiola, che da bambino fu interprete di Ladri di biciclette, un film amatissimo anche in Iran e che ha influenzato generazioni di cineasti persiani.
lunedì 25 dicembre 2023
Enzo Staiola sul cinema iraniano
Ali Asgari ha riavuto il passaporto
mercoledì 29 novembre 2023
HAFT SAL Sette anni di Cinema iraniano blog
giovedì 2 novembre 2023
Quando Mehrjui tornò dalla Francia
Ne ha parlato a Radio Farda il produttore di "Banu"
Qui la traduzione automatica:
Mohammad Mehdi Dadgo, uno degli ex direttori della Farabi Cinema Foundation e uno dei
più noti produttori di cinema iraniano dopo la rivoluzione, afferma di aver avuto una conversazione con i direttori senior del Ministero dell'orientamento della Repubblica islamica dell'Iran per il film di Dariush Mehrjooi tornare in paese.
In un'intervista al settimanale "Sahneh" di Radiofarda, Dadgo ha espresso per la prima volta i dettagli delle trattative che portarono al ritorno nel Paese del celebre regista del cinema iraniano a metà degli anni '60.
Dariush Mehrjoui lasciò l'Iran con la sua famiglia e si stabilì in Francia nella primavera del 1360, dopo che il film "Il cortile della scuola Adl Afaq" fu bandito. Stava cercando di dedicarsi al cinema in Francia e insieme a Gholamhossein Saedi, scrittore e drammaturgo, ha scritto diverse sceneggiature da realizzare in Francia. Nello stesso periodo ha realizzato anche il film documentario "Journey to Rambo's Land" in Francia.
Prima della rivoluzione, Mohammad Mehdi Dadgou era uno dei direttori del dipartimento finanziario della televisione nazionale iraniana. Dopo la rivoluzione, ha diretto la produzione della serie "Hazardestan" diretta da Ali Hatami. Con la fondazione della Fondazione Farabi Cinema, diventa per diversi anni direttore di produzione di questa istituzione cinematografica e, allo stesso tempo, gode della fiducia di diversi registi vicini alla corrente intellettuale. Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, ha prodotto nel suo ufficio diversi film importanti dell'epoca, tra cui "Lady" di Dariush Mehrjooi.
Mohammad Mahdi Dadgo con Mohammad Beheshti, il personaggio principale della serie "Hazardistan"
Mohammad Mahdi Dadgo con Mohammad Beheshti, il personaggio principale della serie "Hazardistan"
Nella carriera cinematografica di Dariush Mehrjooi, un eminente e importante regista ucciso nella sua casa il 22 Mehr all'età di 84 anni, il film "Lady" occupa un posto speciale; Un film ancora controverso e che può essere rivisto per il suo tema, la qualità del pagamento finale, nonché il suo destino tumultuoso dalla produzione alla detenzione di diversi anni.
Questo film è la storia di una donna di classe benestante e che ha familiarità con i libri, la storia e la poesia, che, disillusa e affranta dall'infedeltà del marito, rende consapevolmente la sua nobile casa sicura per i poveri, gli indigenti e gli "oppressi"; Persone che gradualmente distruggono la casa.
Mohammad Mehdi Dadgou e Majid Modaresi sono stati i produttori del film "Bano".
Il signor Dadgo menziona le sue azioni per il ritorno di Dariush Mehrjoui nell'importante ruolo di Ezzatullah Nazami, un noto e defunto attore di arti dello spettacolo, e dice che nel 1361, durante la produzione del film "Haji Washington" in Italia, Ezzatullah Nazami, l'attore principale di questo film, si è recato in Germania prima di altri Kord, per far visita a suo figlio.
Secondo Mohammad Mehdi Dadgou, durante questo viaggio, il signor Tazami è riuscito a incontrare un certo numero di cineasti iraniani che vivono in Europa, tra cui Sohrab Shahid Thalath, Dariush Mehrjooi e Hoshang Baharlou.
Mohammad Mahdi Dadgou dice che per Ezzatullah Tazami, che è entrato seriamente nel cinema attraverso il film "Cow" e Dariush Mehrjoui, era molto importante che Mehrjoui non fosse una "persona festaiola" e inattiva e tornasse.
Ma il signor Dadgou dice che Dariush Mehrjoui ha resistito al ritorno a causa di ciò che ha visto e sentito sulle condizioni in Iran. Il signor Dadgo afferma che Dariush Mehrjoui ha subito danni mentali e lavorativi a causa della confisca del film "Backyard of Afaq School" e che non voleva tornare a causa delle notizie che aveva sentito e delle conversazioni delle persone intorno a lui e di altri, ma finalmente è arrivato.
Un'intervista con Mohammad Mehdi Dadgou su Dariush Mehrjooi INCORPORARE CONDIVIDERE
Un'intervista con Mohammad Mehdi Dadgou su Dariush Mehrjooi
di Radio Farda
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Mohammad Mahdi Dadgou racconta che durante la produzione del film "Kamaal-ul-Molk", Ezzatollah Tazami gli ha dato il numero di telefono di Dariush Mehrjooi in Francia e lui (Dadgou) lo ha chiamato più volte dall'Iran. Riferendosi alla fondazione della Fondazione Farabi e, secondo lui, "alla serietà della questione del cinema", il signor Dadgo sottolinea che lo abbiamo convinto a tornare promettendogli di collaborare alla produzione del prossimo film di Dariush Mehrjooi in Iran.
Dariush Mehrjoui dietro le quinte del film "The Tenants"
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Quando Dariush Mehrjoui era a Parigi, Ahmad Hamon lo era
Alla domanda se avesse ricevuto garanzie dai funzionari della Repubblica islamica dell'Iran per il ritorno di Dariush Mehrjoui in Iran senza problemi, Mohammad Mahdi Dadgou ha risposto che non è stata data alcuna garanzia. Ma conferma che insieme a Ezzatullah Tazami, ha avuto un incontro e una discussione su questo argomento con Mohammad Beheshti, all'epoca amministratore delegato della Farabi Cinema Foundation.
Conferma inoltre che Fakhreddin Anwar, all'epoca vice del Ministero dell'orientamento della Repubblica islamica dell'Iran, era a conoscenza di questo problema e acconsentì al ritorno di Dariush Mehrjooi. Il signor Dadgou afferma di aver trasferito queste trattative e l'approvazione delle autorità cinematografiche a Dariush Mehrjoui.
Dariush Mehrjoui al centro del film "The Tenants"
Dariush Mehrjoui al centro del film "The Tenants"
Mohammad Mehdi Dadgou, che all'epoca era uno dei direttori di produzione della Fondazione Farabi, ricorda che a quel tempo, a metà degli anni '60, il potere dei registi del Ministero dell'Orientamento era molto elevato, e lo stesso potere causò nonostante la grande pressione riuscirono a far uscire il film "The Tenants" e riuscirono a proiettarlo.
Ricorda che al momento del rilascio della licenza per il film "The Tenants", c'erano molte pressioni, "interpretazioni" e "interpretazioni" per impedire la proiezione di questo film dal campo dell'arte e da altri centri, ma a causa di Grazie al potere della direzione del cinema in quel periodo, il film venne finalmente distribuito nelle sale.
Descrivendo il processo di produzione dei film "Shirk" e "Hamon", Mohammad Mehdi Dadgou dice riguardo alla produzione del film "Lady" che Dariush Mehrjooi ha avuto l'idea di creare un quartetto incentrato sulle donne, il primo dei quali è stato realizzato nel ufficio che ha avuto con Majid Modaresi chiamato "Kader" il film".
Negli stessi anni, Mr. Dadgo ha prodotto altri film come "Snake's Tooth" di Masoud Kimiaei, "The Last Curtain" di Waroj Karim Masihi e "Naseruddin Shah Actor of Cinema" di Mohsen Makhmalbaf.
Il signor Dadgo dice che le condizioni di produzione del film "Bano" sono andate bene, ma a quel tempo i direttori del Ministero dell'Orientamento erano nella loro posizione più debole. Dice che nella recensione della proiezione del film "Lady" al Fajr Film Festival nel 1370, lo considerarono "contro tutto".
Ricorda che, nonostante il nome del film "Bano" fosse inserito nel catalogo del Fajr Film Festival, i gruppi di revisione del Ministero dell'Orientamento non sono stati in grado di prendere una decisione definitiva sulla proiezione o meno del film, e così esisteva una situazione nello Screening License Council. Alla fine, dopo una proiezione del film nella sala cinematografica speciale del Ministero dell'Orientamento per alcune persone che secondo lui erano "invitate", si è deciso di vietare il film.
A quel tempo, pubblicazioni vicine al leader dell'Islamic Jamuri, come il quotidiano Kihan sotto la direzione di Mehdi Nasiri e Mahnama Surah sotto la direzione di Morteza Avini, espressero forti critiche al Ministero dell'Orientamento e anche alla direzione del cinema. del tempo. Questo fu il periodo in cui Ali Khamenei fece il suo famoso commento sull'“invasione culturale”.
A seguito delle pressioni esercitate in quel periodo sul Ministero dell'Orientamento, Mohammad Khatami si dimise dal Ministero dell'Orientamento nel 1371, e i registi che lo accompagnavano lasciarono i loro incarichi un anno dopo.
Bita Farhi in una scena del film "Lady"
Bita Farhi in una scena del film "Lady"
La messa al bando del film "Lady" ha avuto un forte impatto sul percorso e sulle attività dei suoi creatori. Riferendosi a questo punto, Mohammad Mehdi Dadgou afferma che il processo di attività di alcuni attori del film, tra cui Bita Farhi, l'attore principale di questo film, è completamente cambiato e secondo lui "è stato un torto".
Dopo gli eventi del giugno 1976, il divieto del film "Lady" fu revocato e uscì nelle sale a Teheran il 22 ottobre 1977, mentre secondo Dadgou, "il pubblico aveva l'impressione che la versione censurata di questo film fosse rilasciato e per questo non è stato ricevuto".
Esprimendo il suo rammarico per l'omicidio di Dariush Mehrjoei e di sua moglie, Vahida Mohammadifar, in questa intervista con Radiofarda, Mohammad Mehdi Dadgou esprime la sua fiducia che le generazioni future comprenderanno la sofferenza subita dal signor Mehrjoei e che le sue opere rimarranno alte nella storia culturale. dell'Iran.
mercoledì 1 novembre 2023
Intervista a Mohsen Makhmalbaf
mercoledì 25 ottobre 2023
domenica 22 ottobre 2023
sabato 21 ottobre 2023
Omicidio Mehrjui, confessa l'ex giardiniere
La testata Hamshari ha fornito una ricostruzione dell'omicidio di Vahide Mohammadifar e Dariush Mehrjui. Secondo il giornale di Teheran il principale responsabile, reo confesso, sarebbe l'ex giardiniere, licenziato e già arrestato alcuni anni fa per aver rubato un aspirapolvere. Da allora l'uomo reclamava arretrati relativi al suo lavoro per 30 milioni di toman, circa 6.700 euro. Anche suo fratello e altri due uomini sono stati arrestati per il delitto.
domenica 15 ottobre 2023
Assassinati Dariush Mehrjui e Vahideh Mohammadifar
lunedì 2 ottobre 2023
Leila Naghdipari, collaboratrice di Jafar Panahi, è stata scarcerata
venerdì 22 settembre 2023
Quattro registi iraniani in corsa per l'Oscar
martedì 5 settembre 2023
Tatami (Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi, 2023)
venerdì 1 settembre 2023
Anche Ali Asgari messo al bando
Ennesimo caso di restrizioni a un regista iraniano. Questa volta è toccato ad Ali Asgari, cineasta legato all'Italia, poiché ha studiato al DAMS di Roma Tre. Il prossimo ottobre uscirà nelle nostre sale per la prima volta un suo film, distribuito con il titolo di "Kafka a Teheran", che è proprio la pietra dello scandalo. L'opera è co-diretta da Alireza Khatami, che su Facebook ha commentato: "Non ci faremo silenziare".
Di seguito il dettaglio del provvedimento, come riportato da "Variety"
Al regista iraniano Ali Asgari , il cui ultimo film “ Versetti terrestri ” (co-diretto da Alireza Khatami) è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, le autorità iraniane hanno vietato di lasciare il paese e di dirigere film fino a nuovo avviso.
Unico film iraniano presente nella selezione ufficiale di Cannes quest'anno, “Terrestrial Verses” ha ottenuto un caloroso riscontro di critica al festival, dove è stato proiettato nella sezione Un certain Regard, ed è stato venduto da Films Boutique in tutto il mondo. Ma quando Asgari è tornato in Iran dopo la prima, gli è stato confiscato il passaporto dalle autorità locali per impedirgli di partecipare ad altri festival internazionali. Nel tentativo di metterlo a tacere, il regime iraniano ha anche minacciato di mandarlo in prigione, come è successo ad altri registi iraniani schietti. Solo un paio di settimane fa, Saeed Roustae e il suo produttore sono stati condannati a sei mesi di prigione per aver proiettato il loro film “ Leila's Brothers ” allo scorso Cannes e gli è stato anche vietato di fare film.
Aftab mishavad -The Sun Will Rise (Ayat Najafi, 2023)
Il film di apertura delle Giornate degli autori, sezione autonoma della Mostra del Cinema di Venezia, è l’iraniano "Aftab Mishavad," un film sicuramente interessante che merita un discorso approfondito. Siamo a Teheran nell’ottobre 2022, un gruppo teatrale sta provando la commedia greca "Lisistrata" di Aristofane. Durante una scena nella quale i vecchi stanno assaltando l'Acropoli conquistata dalle donne di Atene il gruppo di teatranti apprende di essere circondato dalle forze anti-sommossa che stanno marciando intorno all'edificio per sedare una grande manifestazione. Sono le proteste, quasi una rivolta, iniziate dopo la tragica morte di Mahsa Jina Amini avvenuta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale.
È bene ricordare che "Lisistrata" è il primo testo oggi noto che tratti il tema dell'emancipazione femminile, non solo tramite il lamento patetico - a questo avevano già pensato le tragedie, una per tutte la "Medea" di Euripide - ma attraverso una collaborazione tra donne che appaiono consapevoli delle loro possibilità nell'imporre la propria volontà agli uomini. L'intento di Aristofane era rappresentare un 'mondo alla rovescia' dove il comando viene preso da chi di solito è sottomesso, con lo scopo di ottenere non la parità dei sessi (argomento ancora impensabile a quei tempi e in effetti non trattato nellìopera) ma la pace.
La scelta di questa commedia si lega al discorso che il regista iraniano vuole fare per tratteggiare l’Iran attuale. Infatti vediamo che nel film mentre il gruppo teatrale prova lo spettacolo la realtà irrompe prepotente. Il rumore della strada diventa quasi subito assordante e entra nelle prove dello spettacolo. Nella sala prove crescono paura e rabbia, e i giovani iniziano a interrogarsi. Alcuni preferiscono nascondersi, altri, guidati dall'attrice protagonista, vogliono scendere in strada e combattere a fianco delle persone che protestano. Nonostante i disaccordi, una cosa è chiara per tutti: il gruppo non vuole continuare a mettere in scena lo spettacolo durante questo tentativo di rivoluzione. Sono le attrici a prendere le decisioni, si ribaltano i ruoli e il regista viene messo in minoranza. Iniziano tutti a porsi interrogativi importanti: che senso ha fare teatro quando succede tutto ciò in strada? Protestare è più importante di un stupido spettacolo? Perché fare arte quando fuori tutto brucia?
L'ingresso improvviso di quattro sconosciuti dalla strada cambia ancora di più il discorso, trasporta la spaventosa realtà dell'esterno in questo ambiente chiuso e isolato. Il gruppo rimane nella sala prove per tutta la notte, tentando delle improvvisazioni sulla base delle storie che accadono fuori, usando i corpi e le abilità recitative come forme di disobbedienza civile.
Come dicevano inizialmente il film è molto interessante per questo dialogo che viene rappresentato e costruito, "Aftab Mishavad" è strutturato su quattro linee narrative: la commedia "Lisistrata", il documentario sulla creazione dello spettacolo, il dialogo tra attori e il regista, e la strada che prende il sopravvento su tutto il resto.
È bene ricordare che il film è stato girato in totale segretezza, per questa ragione i volti dei protagonisti non ci sono, ovviamente per tutelare l’identità delle persone ma anche per simboleggiare la censura sempre presente nel cinema iraniano. Il film è perciò un susseguirsi di piedi, corpi, nuche, ombre, quasi dei fantasmi che recitano e ragionano dentro questo momento storico così importante nella storia dell'Iran. Non tutto funziona perfettamente, a tratti si percepisce una costruzione eccessiva, ma "Aftab Mishavad" è film che fa pensare moltissimo e ha il merito di raccontare come l’Iran odierno e la sua giovane generazione sono davvero a un punto di non ritorno.
Claudio Casazza
domenica 27 agosto 2023
Panahi sul set di Five di Kiarostami
Dal 'making of' di Five, film sperimentale realizzato da Abbas Kiarostami nel 2003 e dedicato al regista giapponese Ozu.
Fotogramma 1. Jafar Panahi, Kiarostami e l'operatore Seyfolah Samadian nella casa di Panahi sul Mar Caspio, dove quest'ultimo girerà Closed Curtain (2013). Riconoscibile la locandina italiana de Lo specchio.
Fotogramma 2. Panahi sul set del collega.
Intervista a Naderi sul manifesto
Di Donatello Fumarola
Di seguito un estratto
Nel programma di Venezia Classici di quest’anno, verrà presentato il restauro digitale di Saaz dahani (Harmonica, 1973)
Che effetto ti fa ritrovarti con un tuo vecchio film in un concorso dove i tuoi ‘rivali’ sono Allan Dwan, Ozu, Visconti, Tarkovskij…
Mi piace l’idea di essere nello stesso luogo di coloro che mi hanno ispirato sin da quando ero giovane. Mi piace che il mio piccolo film passi sullo stesso schermo in cui magari poche ore prima sono passate le immagini di Ozu. Sono anche curioso di rivedere dopo tanto tempo Harmonica, che è il primo film della trilogia della mia infanzia (Waiting è il secondo, poi c’è Il corridore). Dopo i miei primi tre film girati nei teatri di posa, con grossi budget e grandi attori, decisi di fare qualcosa di diverso, perché non era quello il cinema che volevo continuare a fare. Sono contento di aver avuto la possibilità di lavorare nell’industria cinematografica, però a un certo punto ho cercato la possibilità di fare un film sulle mie esperienze, sull’ambiente in cui sono cresciuto (la strada, il sud dell’Iran), e mi sono messo in discussione come film-maker.
In Harmonica ho avuto la possibilità di lavorare con bambini che non avevano mai visto una camera prima! Sono andato nei luoghi in cui sono cresciuto (Abadan), trovando i bambini nella strada, portandoli al cinema; e mi hanno sorpreso! Dopo questo film mi sono detto di continuare in questa direzione: Waiting e Il corridore hanno approfondito quella necessità che è emersa per la prima volta in questo film. Sono grato a Kanun (l’Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti) di avermi offerto la possibilità di fare questi film, dandomi una straordinaria libertà nel fare quello che volevo, e grazie a loro il film esiste ancora ora. Un’altra delle ragioni per cui ho fatto Harmonica sono i pittori impressionisti, Manet, Monet ma anche Cezanne, Gauguin e Van Gogh. Mi sono detto «come posso fare un film sul mio passato con i colori?». Il colore nel film è fondamentale, ci ho lavorato in modo maniacale, mi ricordo che sulla spiaggia avevamo pulito tutto da segnali moderni, nessuna macchina o moto, volevo il contrasto tra il mio passato e la memoria. Ho ancora il libro sugli impressionisti che usavo come ispirazione per la combinazione dei colori naturali.
Intervista completa
https://ilmanifesto.it/amir-naderi-leta-classica-del-cinema?fbclid=IwAR0vqkdrt60EH8KzNVbYiFL2hd1hkEXGJuFfS7LVYovfW5cgeAYOcoXO8Kw
Addio Golestan
Addio a Ebrahim Golestan. Il padre del cinema iraniano d'autore, regista di Mattone e specchio, è morto il 23 agosto all'età di 100 anni
Roustayi condannato
Il regista di "Leila e i suoi fratelli" Saeed Roustayi e il produttore Javad Noruzbegi sono stati condannati a sei mesi di carcere per propaganda anti-governativa per aver presentato il film al festival di Cannes senza autorizzazione.
Per ora il cineasta e il produttore potranno scontare un ventesimo della pena, circa nove giorni, ma dovranno astenersi dal compiere qualsiasi attività correlata al cinema.
Durante il periodo di cinque anni di sospensione della pena dovranno inoltre superare il corso "Fare cinema preservando gli interessi nazionali ed etici" all'Università della TV statale nella città santa di Qom.
La noritia è stata pubblicata dal giornale Etemad il 14 agosto
sabato 12 agosto 2023
Pardo d'oro a un film iraniano
venerdì 21 luglio 2023
Conversazione con Makhmalbaf su Alias
Sull'inserto de il manifesto, un'intervista di Andrea Inzerillo
Mohsen Makhmalbaf, in mezzo scorre il fiume
[...] Invitato da Italo Spinelli e accompagnato dalla moglie, la regista Marziyeh Meshkini, Makhmalbaf ha presentato in anteprima mondiale alla diciottesima edizione del Sole Luna Doc Film Festival di Palermo Talking With Rivers, il suo ultimo lavoro.
Si potrebbe dire che l’origine di questo nuovo film risieda in un’immagine, l’unica non di finzione: alla notizia del ritorno dei talebani, nell’agosto 2021, le persone accalcate all’aeroporto di Kabul che si aggrappano agli aerei militari americani per provare a scappare dall’Afghanistan.
[...] Bisogna comprendere storicamente questa tragedia per non dimenticare cosa è successo. Come riassumerla in un documentario? Ho deciso di usare le immagini dei film che ho fatto insieme alla mia famiglia negli ultimi vent’anni – dieci film su vari aspetti dell’Afghanistan – per punteggiare il racconto di due uomini che si parlano davanti a un fiume. Perché quando si parla dell’Afghanistan spesso si dimentica cosa è successo prima e cosa dopo, o si attribuisce la responsabilità della tragedia al suo popolo. Non è così: gli afghani facevano una vita normale, ma il colpo di stato sovietico ha cambiato il loro destino. E le potenze occidentali, per vendicare il Vietnam, hanno armato i contadini e li hanno trasformati in combattenti; e quando sovietici e americani hanno lasciato il paese è rimasta la guerra civile, con le armi che gli uni e gli altri avevano fornito. La guerra fredda è responsabile di quel che è successo, sulla pelle degli afghani. Volevo far riferimento a tutto questo raccontando delle storie. Per me era un modo nuovo di raccontare una storia in modo poetico, con due uomini che parlano a un fiume, come se fosse il fiume Helmand che collega Afghanistan e Iran.
Iran e Afghanistan erano un unico paese fino al 1746, e la conversazione tra i due uomini che impersonano i due Stati è quasi una conversazione allo specchio. Parlare dell’Afghanistan è un modo per parlare dell’Iran?
Assolutamente, il destino dei due paesi non è poi così diverso e il mio film parla di riconoscimento, del conoscere le radici. La vita è come un fiume, devi conoscere la mappa dei fiumi per capire perché siamo qui, altrimenti fai degli errori. Naturalmente c’è anche il fatto che milioni di rifugiati afghani sono arrivati in Iran senza visto, in fuga dalla fame, e accettavano di lavorare per pochi spicci, come si vede ne Il ciclista (1989), che è una metafora ma racconta anche alcune verità. E i loro bambini non potevano andare a scuola, come si vede in Alfabeto afghano (2002). E avevano perso ogni speranza, come si vede in Viaggio a Kandahar (2001): molte persone si sono suicidate, altre hanno perso le gambe a causa delle mine. Superato il primo approccio, chiedersi le ragioni di questa tragedia significa ragionare sul fatto che per gli afghani, popolo di pastori e agricoltori, la guerra è diventata un lavoro. La vendetta e l’ignoranza sono alla base di tutto. Per ottenere la pace occorre educare e offrire l’opportunità di attività economiche; bisogna aprire università, non mandare soldati. Il risultato di tutti questi anni è stato il disastro, hanno creato l’inferno per gli afghani. Riesci a immaginare che una persona sia disposta ad appendersi a un aereo pur di fuggire dal paese? Morire cadendo dal cielo sembra una prospettiva persino migliore che restare lì.
Mia figlia Hana ha fatto un documentario che si chiama The List, ancora inedito: due mesi prima del ritorno dei talebani al potere ci siamo resi conto che in Afghanistan c’erano molti artisti a rischio di morte, perché avevano scritto libri o fatto film contro i talebani. Abbiamo scritto una lettera a trecento festival cinematografici in tutto il mondo chiedendo di invitare uno o due di questi artisti per salvargli la vita. Il 90% non ha risposto, il 10% ha scritto che purtroppo non c’erano ambasciate o fondi sufficienti. Allora abbiamo bussato a diversi governi e Macron ha accettato di farli uscire, anche se era tardi, perché i talebani avevano accerchiato Kabul e il presidente era scappato. Io e altri amici abbiamo chiamato uno per uno questi artisti e li abbiamo portati da diverse città fino all’aeroporto di Kabul, ma c’era così tanta folla che era impossibile raggiungere l’aereo. Non ho dormito per cinque settimane per gestire questa evacuazione. Dopo un anno siamo riusciti a far uscire 365 di loro ma alcune centinaia sono rimasti lì. Mia figlia intanto riprendeva di nascosto con il suo telefono e ha montato questo film che vogliamo far vedere ai responsabili dei diversi governi. Ci siamo noi nel nostro appartamento che parliamo, telefoniamo, camminiamo e gli artisti afghani ci mandano video di quel che succede in Afghanistan, si vedono i soldati americani uccidere persone nell’aeroporto pur di respingerle, una cosa assurda! Il festival di Busan vuole proiettarlo, non so quale altro festival in Europa. Il film mostra come in Afghanistan si conosca solo la lingua delle armi per controllare la folla, le famiglie, le donne, i bambini.
Negli scorsi mesi il movimento «Donna Vita Libertà» ha rimesso l’Iran al centro dell’attenzione internazionale. Cosa può fare il cinema iraniano per questo movimento?
Credo che la nuova onda del cinema iraniano sia stata una finestra per vedere cosa stava succedendo dopo la rivoluzione del 1979, quando tutto era proibito e il paese era come una prigione. Il primo movimento politico in Iran è stato quindi quello cinematografico, molti film a partire dagli anni Ottanta (si pensi al mio Salaam Cinema del 1995, o ai film di Kiarostami) hanno permesso alle persone di comprendere sé stesse e la loro situazione e per questo sono stati proibiti – tutti i miei libri e film sono ancora proibiti in Iran. Qualche anno fa abbiamo rubato e proiettato a Venezia Nights of Zayandeh Rood (1990), che ha subìto decine di minuti di tagli dalla censura: nel film criticavo la società iraniana e provavo a dire al popolo iraniano che era una parte del problema, perché si era abituato alla violenza. Dopo il movimento cinematografico c’è stato quello degli studenti, con molteplici arresti e uccisioni; poi c’è stato il movimento dei giornalisti durante la presidenza di Khatami; in seguito, il movimento verde contro Ahmadinejad e adesso il movimento delle donne, che è la conseguenza ultima di tutti i movimenti che sono cominciati con quello cinematografico.
Negli ultimi quarantaquattro anni l’Occidente ha voluto controllare l’Oriente e lo Shah non ci ha consentito di avere un partito politico; le prigioni erano piene di persone che leggevano libri, ma hanno lasciato i mullah liberi di criticare il comunismo e usato la religione in funzione anticomunista, per fare una sorta di cintura verde attorno all’Unione sovietica. Quando i sovietici sono arrivati in Afghanistan l’Occidente ha creduto che i mullah potessero controllare l’Iran meglio di chiunque altro: il risultato è stato sfavorevole anche agli occidentali.
Adesso gli iraniani sono stanchi di questo potere ignorante e ideologico che ha isolato l’Iran. Le donne subiscono doppiamente la pressione di questo regime: dentro casa e nella società, quindi hanno reagito energicamente. La nostra cultura attraversa una fase di autentico cambiamento, lo si percepisce. Gli iraniani hanno sperimentato l’inferno, ma adesso siamo ottimisti: in questi anni la cultura ha cambiato le persone, la maggior parte delle persone in Iran ha oggi bisogno di libertà e democrazia, di una buona economia. Questo regime finirà.
Cosa anima oggi il tuo cinema?
Da diciotto anni vivo fuori dal mio paese, e mi sono reso conto che le persone sono le stesse ovunque. Un tempo ero concentrato sull’Iran e volevo cambiarne il destino attraverso la cultura. Adesso che ho visitato più di cinquanta paesi e fatto film in più di dieci non sono più iraniano come prima, mi sento cittadino del mondo e sono più preoccupato dal riscaldamento globale, dal tema dei rifugiati, dal potere maschile nel mondo, dalla crisi economica. Penso che oggi il pensiero di Marx sia ancora più significativo, l’uso del computer e del digitale farà perdere il lavoro a 500 milioni di persone nei prossimi dieci anni e questo creerà ulteriori differenze e molte rivoluzioni nel mondo, ci sarà una nuova lotta di classe e nascerà un nuovo comunismo per bilanciare queste differenze. Guardo all’Iran come a una parte dell’umanità, non come alla mia madrepatria. Gli interessi del mio cinema rimangono sempre gli stessi: la politica, la poesia, il racconto, la realtà, la mia immaginazione. Non c’è una grande differenza di approccio tra Pane e fiore (1996) e il mio ultimo film, mi muovo sempre tra la finzione e il documentario, partendo da cose naturalissime fino a giungere al surrealismo.
Esattamente sette anni fa (4 luglio 2016) moriva Abbas Kiarostami, che in «Close Up» ti ha reso omaggio facendo conoscere il tuo cinema agli spettatori di tutto il mondo. Quali sono i registi del cinema iraniano che oggi ti interessano di più?
Quando mi hanno detto che era morto Kiarostami è stato come ricevere una pugnalata al cuore. Non eravamo amici, lui aveva diciotto anni più di me, ma eravamo in pochi a fare film subito dopo la rivoluzione, c’era Amir Naderi, Kiarostami, io e pochi altri. Facevamo parte di una stessa onda, ma con sguardi diversi. I nostri genitori cinematografici sono stati Sohrab Shahid Saless – Kiarostami in particolare ne è stato molto ispirato – che con A Simple Event (1974) ha dato inizio al neorealismo iraniano molti anni prima di noi e Forugh Farrokhzad, una poetessa iraniana che ha fatto un solo documentario, The House is Black (1962): da lei abbiamo imparato come guardare alla sporcizia dal punto di vista della bellezza. The Runner (1984) di Amir Naderi è stato un film importantissimo per i giovani registi iraniani, ma penso anche al suo Acqua, vento, sabbia (1989) che sembra un film di Flaherty. Adesso ci sono molti bravissimi giovani registi, che magari fanno un buon film e poi scompaiono. Il cinema iranian è stato un’ondata: l’onda continua, ma i singoli registi appaiono e scompaiono. In parte questo è dovuto alla crisi economica, in parte alla censura. Per fare cinema hai bisogno di molte cose, ma non basta il desiderio; imparare a fare cinema oggi è facile, ma se hai una passione contenuta rischi di fare un buon film e poi scomparire.
https://ilmanifesto.it/mohsen-makhmalbaf-in-mezzo-scorre-il-fiume/r/D8GhI-0eIM9VpkS0nhBMk?fbclid=IwAR2QupC7ohNNp0Nsw4ETLkC8CzzAj-XhuMO3Uc1srDv5Ndl9xhOsi0LQTfk
giovedì 13 luglio 2023
Close-Up per le nuove generazioni
Volti nascosti dietro le mascherine. Kiarostami (un regista del movimento intellettuale iraniano) realizza un film su Makhmalbaf (che all'epoca era un fanatico religioso).
sabato 1 luglio 2023
Forse non tutti sanno che...
CURIOSITA'
Sui titoli di testa di "Una separazione" (2012) compaiono di sfuggita i documenti d'identità di due personaggi di un film precedente di Asghar Farhadi, inedito in Italia: "Fireworks Wednesday" (2006). Si tratta di Mozhdeh e Morteza, la coppia litigiosa in cui si imbatte la protagonista del film, Rohui. Essendo la prima scena di "Una separazione" ambientata in tribunale, essa suggerisce che i due alla fine hanno divorziato
.
venerdì 5 maggio 2023
Niente giuria a Cannes per Rasoulof
sabato 29 aprile 2023
Panahi è emigrato? L'avvocato smentisce
venerdì 28 aprile 2023
Un comitato segreto per punire Alidoosti, Farhadi e altre celebrità?
Secondo la BBC l'anno scorso l'Iran ha formato un comitato segreto per punire le celebrità che hanno sostenuto le proteste antigovernative. Tra queste le attrici Taraneh Alidoosti e Fatemeh Motamed-Arya e i registi Asghar Farhadi e Manijeh Hekmat.
Qui l'articolo in inglese:
Panahi può uscire dall'Iran
Annullato il divieto di uscire dal paese per Jafar Panahi.
Il regista ha potuto recarsi all'estero per un breve viaggio. Lo ha annunciato la moglie Tahereh Saeedi su Insagram il 25 aprile. "Dopo 14 anni". La condanna è del 2010, ma probabilmente il divieto era anche precedente; gli era stato requisito il passaporto mentre cercava di recarsi a Parigi.
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sabato 22 aprile 2023
Farhadi sul suo futuro in Iran
"Ho sentito ufficiosamente che mi è vietato lavorare in Iran e lasciare il paese".
Lo ha rivelato Asghar Farhadi in un'intervista a Variety. Il regista, che alcuni giorni fa ha tenuto una masterclass a Torino, sta lavorando a un film negli Stati Uniti, al termine del quale vorrebbe tornare in Iran.
Qui l'intervista completa:
https://variety.com/2023/film/global/asghar-farhadi-iran-protests-1235588546/
giovedì 13 aprile 2023
Leggere Lolita da Teheran a Roma (passando per Tel Aviv)
Italia e Israele uniti nel co-produrre l'adattamento del più celebre best sellers critico verso la Repubblica Islamica, "Leggere Lolita a Teheran", di Azar Nafisi.
Il film è in lavorazione e sarà diretto da un regista di valore come l'israeliano Eran Riklis ("La sposa siriana", "Il giardino di limoni").
Qui tutte le informazioni al momento disponibili:
https://filmitalia.org/it/film/156607/
"Per favore vedetelo al cinema"
"Per favore vedetelo al cinema"
È l'appello di Navid Nosrati, uno degli attori di World War III. Come accaduto per Leila e i suoi fratelli, anche questo film è stato diffuso illegalmente in rete prima di completare l'iter autorizzativo per la distribuzione nelle sale iraniane. Ma se per il film di Saeed Roustaee l'ok non è mai arrivato, invece l'ultimo, splendido film di Houman Seyedi - uno dei registi più popolari in patria - uscirà tra un paio di giorni (in Iran, s'intende).
Il pubblico andrà lo stesso nei cinema, nonostante si possa vedere in rete in ottima qualità?
World Word III è stato premiato a Venezia Orizzonti e in diversi altri festival internazionali.
È il primo film iraniano importante a essere stato co-prodotto da una piattaforma di streaming, Namava.
Il leaking della versione pirata pare sia interno, mentre probabilmente Leila ecc. era stato estratto dal DVD francese
giovedì 6 aprile 2023
Leila e i suoi fratelli (Saeed Roustaee, 2022)
Video recensione con Kasra Ghazi Asgari.
ERRATA CORRIGE Segnala Kasra che gli euro per moneta d'oro sono circa 500, non 100
mercoledì 5 aprile 2023
E' morto Kiumars Pourahmad
Il mondo del cinema iraniano piange Kiumars Pourahmad, morto suicida oggi all'età di 73 anni. Regista, sceneggiatore, montatore e produttore, è ricordato da amici e colleghi in particolare per la mini-serie The Tales of Majid (1990) e per il film Yalda Night (2001). La sua opera è inedita in Italia. Pourahmad è stato anche assistente di Kiarostami per Dov'è la casa del mio amico, scrivendo poi un libro sul dietro le quinte del film.
giovedì 30 marzo 2023
"Leila..." fa discutere in Iran
Intanto l'accoglienza critica in patria è per lo più negativa (esempi: 1, 2, 3) e il canale Telegram dei Guardiani ha accusato il regista di mostrare una realtà di miseria, tossicodipendenza e criminalità chiedendosi se fosse cresciuto realmente in Iran.
Dal canto suo, il regista Saeed Roustaee ha ironizzato sull'organo Ershad di supervisione e censura, che lo ha fatto girovagare per innumerevoli uffici in cerca delle autorizzazioni, concludendo che non gli resta che la prigione.
lunedì 27 marzo 2023
Intervista a Saeed Roustaee
Dal pressbook del film, pubblicato sul sito del distributore I Wonder Pictures.
La famiglia è un tema centrale nella mia opera fin dai miei primi cortometraggi. Quindi, an mio avviso, Leila e i suoi fratelli, più che un aggiornamento, è un seguito. Credo anche che, nonostante le premesse siano più o meno simili a quelle di Life and a Day, ci siano tante differenze in termini di narrazione, forma e personaggi. Specie per quanto riguarda la figura del padre, che è assente in tutti i miei altri film.
Perché hai scelto una famiglia così numerosa: padre, madre, Leila e quattro fratelli? Ognuno rappresenta qualcosa di particolare?
Mi sono ispirato alla realtà, alla storia vera di una famiglia numerosa. Ma al di là della singola dimensione che ogni fratello rappresenta, sono tutti elementi di un sistema - la dinamica familiare - in cui ognuno ricopre un ruolo essenziale.
Tramite questa dinamica tratti il tema delle disuguaglianze sociali e delle classi sociali in Iran e non solo, anche a livello universale, e predomina un certo senso di determinismo.
Leila e i suoi fratelli ha indubbiamente una portata universale. Ma riguarda anche la società iraniana nello specifico, poiché qui la classe media si è sviluppata solamente negli ultimi decenni. E intendo anche nelle piccole città in cui le famiglie hanno iniziato a potersi permettere un certo livello di comfort: possedere un’auto e ostentare la propria ricchezza.
Questo sviluppo ha creato la calotta interna della società. Tuttavia, il governo di Ahmadinejad ha completamente distrutto questa struttura - la classe media è scomparsa gradualmente spaccando ancora di più la società e acuendo la povertà.
A Teheran, chi viveva nelle periferie di classe media ha dovuto trasferirsi in delle simil-baraccopoli. Solo una piccola porzione di popolazione è riuscita ad accumulare capitale.
Questa situazione si riflette tra i fratelli di Leila: Alireza viene sempre fatto sentire in colpa perché vuole scappare da quel contesto sociale, mentre Manoucher cerca di sfruttarlo.
Più che scappare, Alireza vuole calma e serenità. Ha capito che per farlo, deve distanziarsi dalla sua famiglia. Leila se ne rende conto quando gli dice che, a differenza di come agiscono gli altri, lui prende decisioni ponderate.
Anche Manouchehr vuole andarsene, ma per ragioni diverse: crede che l’unico modo per migliorare la propria condizione di vita sia lasciare il Paese, anche a costo di farlo con escamotage vari che portano solo a dei vicoli ciechi.
L’idea del vicolo cieco trasforma i vari membri della famiglia in personaggi di una tragedia greca o di Shakespeare. Questa potrebbe benissimo essere la storia di un re e di dei principi caduti in disgrazia. Quando hai scritto il film, hai fatto riferimento a questi modelli?
Mi sono sempre ispirato alle tragedie greche e di Shakespeare. Sono i libri e i film che preferisco. Inconsciamente, hanno influenzato la mia scrittura, in particolare per quanto riguarda i personaggi.
Ed è proprio per questo che i tuoi film sono sempre molto commoventi e Leila e i suoi fratelli lo è particolarmente per via della densità e della dimensione romanzesche. E il tuo passato da documentarista traspare in qualche modo?
I miei film si sono sempre sviluppati all’incrocio tra queste due assi: una storia mi commuove solo se somiglia a una tragedia. Se non è profondamente drammatica, non mi interessa – e per “profondamente drammatica” intendo tragica al punto da farmi provare in prima persona le sofferenze dei personaggi. E cerco di ricreare questa dinamica nelle mie sceneggiature.
Detto ciò, queste sofferenze si ispirano, molto spesso, a fatti a cui ho realmente assistito e che mi hanno disgustato. La realtà pianta il seme di un albero che cresce sviluppando rami romanzeschi. Ad esempio, la storia di Life and a Day si ispira a una scena a cui ho assistito per caso in un vicolo: un giovane tossicodipendente che diceva addio alla sorella. La semplicità di quell’istante profondamente tragico mi ha spinto a iniziare a scrivere.
Parliamo di sguardi. Le scene più intense di Leila e i suoi fratelli sono quelle costruite sugli sguardi, sui momenti di silenzio che spezzano il caos che pervade il film.
Non è fatto apposta, non amo gli esercizi di stile. Posso benissimo passare da un’inquadratura di quinta a una carrellata. Non c’è nulla di forzato. Lo stesso vale per i silenzi e i dialoghi. È la scena stessa a dettarne lo stile. Ci sono certi elementi che vanno esplicitati e sono sempre pronto a scrivere dei dialoghi per i personaggi, potrei farlo all'infinito. Lo stesso vale per le scene in cui penso che basti una carrellata silenziosa dei visi dei personaggi. Inoltre, secondo me, gli sguardi sono ancora più potenti della musica, nonostante si pensi che il ruolo di quest’ultima sia quello di esprimere ciò che le parole non riescono a fare.
Tuttavia, i dialoghi tra i familiari sono spesso caratterizzati da grande violenza, specie quando riguardano il risentimento tra due generazioni - quella dei genitori e quella dei figli.
So benissimo che i dialoghi possono risultare duri e violenti, ma non è sempre così. Questa aggressività è dovuta alle loro condizioni di vita, più che a ciò che provano l’uno per l'altro.
Ho insistito con lo scenografo affinché si capisse che la famiglia vive in una casa minuscola e siamo riusciti nel nostro intento.
In un ambiente così piccolo, non esistono la privacy e gli spazi personali, non si è mai lontani dagli sguardi altrui. Si è sempre insieme. Per forza, poi, la vita è caratterizzata da tensioni e aggressività - quando non si possono avere segreti e non ci si può allontanare dai propri cari, non ci si fanno più scrupoli nelle interazioni con loro. E proprio per questo motivo nell'appartamento non ci sono stanze - così si rinforza l’idea di prossimità che si sfoga in violenza visibile.
In queste interazioni viene a galla l’idea di sofferenza di cui parlavi: ogni generazione incolpa l’altra delle sue sfortune. Ma, secondo te, chi sono le vere vittime?
Credo sia importantissimo potersi allontanare dalla propria famiglia, dai propri genitori, e vivere la propria vita. Ma bisogna avere i mezzi per farlo. Questi ragazzi - ormai adulti - non li hanno. Si vede chiaramente che stanno soffocando. Nel film questo aspetto viene esplicitato.
Parlaci degli attori che formano questa famiglia. Hai già lavorato un paio di volte con Navid Mohammadzadeh e Payman Maadi, ma questa era la prima volta con Taraneh Alidoosti.
È un'attrice straordinaria. È stata mia sorella a farmi il suo nome, quando ho iniziato a scrivere il personaggio. E, pura coincidenza, mia sorella si chiama Leila.
Intervista di Alex Masson, maggio 2022.
Sinossi. Iran, oggi. Leila, 40 anni, ha passato la vita a prendersi cura dei suoi genitori e dei suoi quattro fratelli, una famiglia irrequieta e schiacciata dai debiti. Quando il suo progetto di avviare un’impresa che li aiuti a uscire dalla povertà è ostacolato dal padre, Esmail, per motivi egoistici, i già fragilissimi equilibri familiari si spezzano, forse irrimediabilmente. Presentato in concorso al festival di Cannes, Leila e i suoi fratelli è il ritratto emozionante e delicato di una famiglia imperfetta, uno sguardo profondo sull’Iran di oggi, sorretto dalla straordinaria interpretazione di Taraneh Alidoosti, musa di Asghar Farhadi.
Scheda tecnica
Scritto e diretto da Saeed ROUSTAEE
Produzione Saeed ROUSTAEE
Javad NORUZBEIGI
Direttore della fotografia Hooman BEHMANESH
Montaggio Bahram DEHGHAN
Scenografia Mohsen NASROLLAHI
Costumi Ghazale MOTAMED
Trucco Iman OMIDVARI
Suoni Rashid DANESHMAND
Iraj SHAHZADI
Ingegnere del suono Amirhosein GHASEMI
Effetti visivi Javad MATURI
Distribuzione in Francia WILD BUNCH
Distribuzione internazionale ELLE DRIVER
Cast artistico
Taraneh ALIDOOSTI Leila
Navid MOHAMMADZADEH Alireza
Payman MAADI Manouchehr
Farhad ASLANI Parviz
Mohammad ALIMOHAMMADI Farhad
Saeed POURSAMIMI Padre
Nayereh FARAHANI Madre
Mehdi HOSEININIA Bayram
Saeed ROUSTAEE
Saeed ROUSTAEE è nato in Iran nel 1989. Dopo essersi laureato in Cinema alla Soore
University, ha iniziato la sua carriera dirigendo tre cortometraggi e un documentario che ha
vinto oltre 100 premi a livello globale.
Il suo primo lungometraggio, Life and a Day (2016), ha vinto il Premio per la miglior regia e
la miglior sceneggiatura al Fajr International Film Festival, il principale festival
cinematografico iraniano, nonché altri premi internazionali.
Il suo secondo lungometraggio, Metri Shesho Nim (Sei milioni e mezzo) (2019), è stato
presentato a Venezia Orizzonti, è stato nominato al Premio César per il miglior film straniero
e ha vinto il Premio alla miglior regia al Tokyo International Film Festival.
Lungometraggi:
Leila e i suoi fratelli (2002)
Metri Shesho Nim (Sei milioni e mezzo) (2019)
Life and a Day (2016)
Cortometraggi:
Saturday (2011)
Ceremony (2012)
Empty street (2014)
Taraneh Alidoosti, nata il 12 gennaio 1984, è un'attrice iraniana. È conosciuta a livello
internazionale per il suo ruolo ne Il cliente (2016), premio Oscar come miglior film straniero.
Alidoosti ha vinto il Premio come miglior attrice protagonista al 20° Fajr International Film
Festival e il Pardo d’argento al 55° Locarno Film Festival per I'm Taraneh, 15 (2002), il suo
primo film. È anche conosciuta per Beautiful City (2003) e Fireworks Wednesday (2006).
Navid Mohammadzadeh è nato nel 1986 in Iran. Attore iraniano acclamato, ha vinto il
premio Orizzonti al miglior attore al festival di Venezia per Il dubbio - Un caso di coscienza
(2017) di Vahid Jalilvand. Ha anche ricevuto il Premio al miglior attore al Tokyo International
Film Festival per Metri Shesho Nim (Sei milioni e mezzo) (2019) di Saeed Roustaee.
Payman Maadi è nato nel 1970 a New York City da genitori iraniani. La sua famiglia è
ritornata in Iran quando aveva 5 anni. Si è laureato in Ingegneria metallurgica alla Karaj
Azad University e ha cominciato la sua carriera cinematografica alla fine degli anni 2000
come sceneggiatore. Il suo primo film in veste di attore è stato About Elly (2009) di Asghar
Farhadi. Due anni più tardi ha ricevuto l’Orso d’argento come miglior attore alla Berlinale
grazie alla sua interpretazione di Nader in Una separazione (2011) di Farhadi.
Farhad Aslani, nato l’8 giugno 1966, è un attore iraniano. Il suo primo film è stato The Blue-
Veiled di Rakhshan Bani Etemad nel 1995. Ha vinto il Simorgh di cristallo al FIFF (Fajr
International Film Festival) per Private Life (2012). Ha ricevuto il Premio come miglior attore
al 47° International Film Festival of India per Daughter (2016). È anche conosciuto per aver
interpretato Ibn Ziyad nella nota serie-TV iraniana Mokhtarnameh (2011).
Mohammad Ali Mohammadi è un attore iraniano. Attivo sia al cinema che a teatro, è
conosciuto per Metri Shesho Nim (Sei milioni e mezzo) (2019), Life and a Day (2016) e Leila
e i suoi fratelli (2022).
Saeed Poursamimi, nato il 29 febbraio 1944, è un attore iraniano. Dopo la laurea in
Recitazione all’Accademia di Belle Arti di Rasht, ha cominciato la sua carriera sul
palcoscenico negli anni ‘60. Ha debuttato al cinema nel 1987 con Captain Khorshid, diretto
da Naser Taghvai. È l’unico attore ad aver vinto tre volte il Simorgh di cristallo come miglior
attore non protagonista. È altresì conosciuto per le sue interpretazioni in A cube of sugar
(2011) e Bride of Fire (2000).
Contatti:
I Wonder Pictures
Via della Zecca, 2 - 40121 Bologna
Tel: +39 051 4070 166
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