giovedì 12 settembre 2024

The Night (Kourosh Ahari, 2020)




Un film-caso. Per almeno tre motivi: è un thriller-horror, generi poco battuti dal cinema iraniano (specie in passato; ultimamente stanno emergendo). E' un esemplare unico di coproduzione tra Stati Uniti e Iran, concepito poco prima delle nuove sanzioni di Trump. E questo, insieme all'osservanza delle regole sull'abbigliamento nonostante l'ambientazione americana, ha fatto sì che sia stato il primo film statunitense rilasciato in Iran dopo la rivoluzione.

Diretto da un esordiente sulla quarantina emigrato giovanissimo negli Stati Uniti, e interpretato dalla star Shahab Hosseini, racconta di una famiglia - moglie marito e neonata - di immigrati iraniani a Los Angeles che, tornando una notte da una cena tra amici verso casa, in auto, sostano in un hotel a causa del tasso alcolemico di lui, che è il guidatore. Qui forze soprannaturali costringono i coniugi ad affrontare i segreti che si sono nascosti l'uno l'altro al fine di rompere gli incantesimi.

L'intreccio appare, francamente, di una banalità che sconcerta, ma viene in parte riscattato da rimarchevoli soluzioni cinematografiche. Inevitabili i rimandi a "Shining" e a un altro horror della diaspora iraniana, "Under the Shadow" di Babak Anvari. 

Curiosità: il cognome dell'attrice coprotagonista Niousha Noor significa "luce", che ciò che nel film manca, anche per "colpa" del suo personaggio. La bambina invece si chiama Shabnam, nome che significa "rugiada" ma che contiene la parola "notte" (shab).

Il film si può acquistare in dvd e blu-ray o vedere in streaming su Prime Video (link), con un abbonamento che comprende un periodo di prova gratuito












sabato 7 settembre 2024

Shahed -The Witness (Nader Saeivar, 2024)

 


Nella sezione Orizzonti Extra della Mostra di Venezia, dove ha vinto il premio del pubblico, arriva il nuovo film di Nader Saeivar, regista iraniano per anni collaboratore di Jafar Panahi e già autore di un film molto bello: The Alien, miglior sceneggiatura in Cineasti del presente a Locarno 2020 .

Shahed, scritto sempre insieme a Panahi che ha anche curato il montaggio, racconta di Tarlan, un’insegnante di danza vedova da tanti anni ma sempre combattiva. Quando la figlia adottiva viene assassinata, la donna si trova a combattere contro un muro di omertà eretto proprio da chi su quell’assassinio dovrebbe indagare. Tarlan dovrà decidere se cedere alle forti pressioni politiche o rischiare il tutto per tutto, rivelando tutto ciò di cui è a conoscenza.

Tarlan (interpretata da una straordinaria Maryam Bobani) arriva a denunciare l’omicidio della figlia adottiva da parte di un marito violento e potente. È una testimone diretta di questo delitto e vuole andare in fondo nonostante tutti gli consiglino di fare il contrario.

Raccontando questa storia Saeivar vuole evidentemente mostrare cosa sono costrette a fare le persone comuni in Iran che non svendono la propria dignità di fronte alla paura.

Shahed - The witness riflette così le attuali condizioni della società iraniana e ci mostra il modo in cui agisce il Governo e come si debba sempre obbedire anche a rischio della   propria dignità. Saeivar ci mostra anche come il regime repressivo iraniano operi con un controllo a 360 gradi della società iraniana, il tema del controllo era già ben presente nel film precedente e viene ancora di più palesato in questo. Shahed ci fa così capire come è difficile per le persone mantenere umanità se vengono cancellati come esseri umani e la  verità non si sa più cosa sia.

Shahed inizia e finisce con un ballo che è un evidente segno di libertà, mentre le tende si chiudono e i social vengono silenziati la danza fa il contrario, è un segno di libertà che Seivar decide di usare in apertura e chiusura quasi come un sipario al cui interno incastona un potente thriller che intreccia temi sociali e politici.

Il film si inserisce così con autorevolezza nel cinema iraniano contemporaneo, non ha gli slanci di scrittura di Farhadi o la potenza dello stesso Panahi ma, nonostante qualche didascalisno di troppo, racconta bene i temi dell’oppressione, della dignità umana e della resistenza individuale.


Claudio Casazza

mercoledì 4 settembre 2024

L'Iran vieta a regista e attrice di andare a Venezia

 La denuncia della produzione. Il cortometraggio, opera prima dell'attrice Atefeh Jalali, avrebbe dovuto essere proiettato nella sezione«Orizzonti»


Niente debutto, a Venezia, per la regista iraniana Atefeh Jalali, che doveva presentare il suo primo cortometraggio, Ajar. Alla regista e al cast del cortometraggio - l'attrice Masoomeh Iranshahi e il collega Ibrahim Azizi - è stato impedito di lasciare l'Iran per via del tema politico trattato nella pellicola e perché l'attrice protagonista non indossava l'hijab. A renderlo noto, la produzione WeShort. Il corto doveva essere proiettato nella sezione Orizzonti. A rappresentare il corto a Venezia nella world premiere ci saranno quindi Alex Loprieno per WeShort e i co-produttori spagnoli della MonkeyFilmmakers.

 Ajar racconta la storia di una donna e di un uomo coinvolti in una relazione extraconiugale che prende una svolta inaspettata quando la moglie dell'uomo viene arrestata durante le proteste di quella stessa notte. Sebbene la moglie non appaia mai sullo schermo, la sua presenza è profondamente sentita, spingendo la protagonista a riconsiderare la propria vita e ad allontanarsi da un percorso edonistico. Il film affronta temi di colpa, resilienza e il potere trasformativo della solidarietà tra donne."


Fonte: Corriere della Sera 

giovedì 22 agosto 2024

La Germania seleziona 'The Seed Of The Sacred Fig' di Mohammad Rasoulof per gli Oscar 2025

 Traduzione automatica da:

https://www.screendaily.com/news/germany-selects-mohammad-rasoulofs-the-seed-of-the-sacred-fig-for-oscars-2025/5196488.article?fbclid=IwY2xjawE0ZxNleHRuA2FlbQIxMQABHciqqRCQ6g7VA4EykGi-2Ts-O_9xNQIFhi-1JLjOl2wdP3yP_ByovtKFCw_aem_inL8DiS_801s6DRrwlAxXA&sfnsn=scwspwa



La Germania ha selezionato The Seed Of The Sacred Fig del regista iraniano Mohammad Rasoulof come film candidato alla 97a edizione degli Academy Awards.


Il film è stato selezionato tra una rosa di 13 candidati ed è stato scelto da una giuria composta da nove membri nominata dall'organizzazione promozionale German Films.


The Seed Of The Sacred Fig è stato presentato in concorso a Cannes a maggio, vincendo il premio speciale della giuria e il premio Fipresci, prima di aggiudicarsi il premio del pubblico a Sydney a giugno.


Sebbene ambientato a Teheran con un cast e una troupe prevalentemente iraniani, il film è prodotto dalla società tedesca Run Way Pictures di Rasoulof insieme alla francese Parallel45 in coproduzione con Arte France Cinéma. Films Boutique gestisce le vendite internazionali.


Dopo aver girato il film in segreto, per paura di ripercussioni da parte delle autorità iraniane, Rasoulof è fuggito dal Paese dopo aver ricevuto una condanna a otto anni di prigione per le sue continue critiche al regime e ora si ritiene che viva in Germania.


La storia segue Iman, un giudice istruttore presso la Corte Rivoluzionaria di Teheran, che lotta contro la sfiducia e la paranoia mentre le proteste politiche a livello nazionale si intensificano e la sua pistola scompare misteriosamente. Sospettando il coinvolgimento della moglie Najmeh e delle figlie Rezvan e Sana, impone misure drastiche in patria, causando un aumento delle tensioni. Il cast è guidato da Misagh Zare, Soheila Golestani, Mahsa Rostami e Seterah Maleki.


Una dichiarazione della giuria del German Films che ha selezionato il film ha affermato: " The Seed Of The Sacred Fig è un ritratto psicologico della teocrazia iraniana, fondata sulla violenza e sulla paranoia. Mohammad Rasoulof racconta in modo sottile le crepe all'interno di una famiglia che sono rappresentative di quelle all'interno della società iraniana stessa.


"È un'opera eccezionale di uno dei grandi registi del cinema mondiale e di qualcuno che ha trovato rifugio in Germania dal dispotismo di stato in Iran. Siamo molto felici di sapere che Rasoulof è al sicuro nel nostro paese e siamo lieti che rappresenterà la Germania agli Oscar nel 2025".


In una dichiarazione congiunta, Rasoulof e i produttori Mani Tilgner, Rozita Hendijanian e Amin Sadraei hanno affermato di essere "profondamente onorati" di essere la candidatura tedesca per i premi. "Questo film, che racconta la storia dell'oppressione, ma anche della speranza e della resistenza, è il risultato di una collaborazione unica tra persone con realtà di vita e storie di migrazione molto diverse", hanno aggiunto. "Mostra quanto possa esistere un potente scambio interculturale in una società libera e aperta".


Il distributore tedesco Alamode distribuirà il film nelle sale cinematografiche locali il 26 dicembre. In Nord America, Neon distribuirà il film nei cinema statunitensi il 27 novembre.


Rasoulof è noto per film come Goodbye , che ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes nel 2011, e There Is No Evil , che si è aggiudicato l'Orso d'oro a Berlino nel 2020.


La rosa dei 15 finalisti sarà annunciata il 17 dicembre, mentre i cinque candidati finali saranno annunciati il ​​17 gennaio 2025.

mercoledì 21 agosto 2024

The Guidance Patrol (Saeed Soheili, 2012)

The Guidance Patrol, ovvero gasht-e ershad, ovvero la famigerata polizia morale. Ma questa è la storia di tre spiantati del sud di Teheran che si fingono agenti.

Una commedia leggera leggera, ma non priva di spunti sociali, tanto da subire tagli, sospensioni, messe al bando, denunce, polemiche infinite.





Il popolare attore Hamid Farrokhnezhad oggi è esule e vicino ad ambienti monarchici.

Sottotitoli in inglese. Con due seguiti, disponibili sullo stesso canale Youtube, sempre sottotitolati.

Buona visione







martedì 20 agosto 2024

On a Friday Afternoon (Mona Zandi, 2006)

L'inedito in streaming

Rifiutata dalla famiglia di origine, Sougand vive in perenne conflitto col figlio Omid. Dopo molti anni senza contatti, la sorella di Sougand, Banafsheh, decide di andare a cercarla.

Un dramma intenso, scolpito nel bellissimo e drammatico volto dell'attrice Roya Nonahali

La regista, già collaboratrice di Rakhshan Banietemad, è qui al debutto.

Il film è stato premiato al Fajr e al festival di Salonicco, ma la sua uscita in Iran è stata bloccata per diversi anni.

Sottotitoli in inglese.

Buona visione






martedì 14 maggio 2024

Rasoulof ha lasciato l'Iran

Mohammad Rasoulof ha lasciato l'Iran ed attualmente si trova in quella che ha descritto come una 'posizione non rivelata in Europa', come affermato in un comunicato condiviso con la stampa internazionale nel pomeriggio.

"Sono arrivato in Europa qualche giorno fa dopo un lungo e complicato viaggio" ha dichiarato il regista. La notizia del viaggio di Rasoulof giunge ad una settimana di distanza da quando il suo avvocato ha confermato che le autorità iraniane hanno condannato il regista a 8 anni di reclusione per 'aver firmato dichiarazioni e aver realizzato film e documentari'. Giorni dopo l'annuncio della sentenza il suo ultimo film, The Seed of the Sacred Fig, è stato inserito tra i film in concorso al Festival di Cannes.

"Nel mio comunicato affermo categoricamente la mia forte opposizione alla recente e ingiusta sentenza che mi costringe all'esilio. Tuttavia, il sistema giudiziario della Repubblica Islamica ha emesso così tante decisioni crudeli e strane che non mi sento in diritto di lamentarmi della mia condanna. Sentenze di morte vengono eseguite mentre la Repubblica Islamica ha preso di mira la vita dei manifestanti e degli attivisti per i diritti civili. È difficile da credere ma proprio ora che sto scrivendo queste parole il rapper Toomaj Salehi è detenuto in prigione ed è stato condannato a morte. La portata e l'intensità della repressione hanno raggiunto un livello di brutalità tale per cui le persone si aspettano notizie di un altro orrendo crimine del governo ogni giorno. La macchina criminale della Repubblica Islamica viola continuamente e sistematicamente i diritti umani" ha scritto il regista di The Seed of the Sacred Fig.

Nel comunicato, Mohammad Rasoulof afferma che le autorità iraniane hanno convocato e minacciato diversi membri del cast e della troupe che hanno lavorato al suo ultimo film The Seed of the Sacred Fig. Il regista ha chiesto al mondo del cinema di sostenere le persone che affrontano coraggiosamente e altruisticamente la censura:"Molte persone hanno contribuito a realizzare questo film. I miei pensieri sono tutti con loro e temo per la loro sicurezza e il loro benessere".

Fonte: Movieplayer

giovedì 9 maggio 2024

Rasoulof condannato in appello

Il regista  Mohammad Rasoulof è stato condannato a scontare cinque anni di carcere da una corte d'appello iraniana.

Lo ha reso noto il suo avvocato.

Rasoulof, più volte premiato nei festival internazionali e che porterà il suo ultimo film in concorso a Cannes, è stato condannato anche alla fustigazione, a una multa ed alla confisca dei beni, ha riferito l'avvocato Babak Paknia su X.

La condanna di otto anni in primo grado è stata confermata in appello e il regista ora dovrà scontare 5 anni di detenzione.

L'accusa è aver firmato dichiarazioni e realizzato film e documentari calunniosi e intesi a commettere crimini contro la sicurezza del paese.


giovedì 25 aprile 2024

Alidusti in ospedale

Alcuni giorni fa, Taraneh Alidusti è stata ricoverata a Teheran a causa di una grave reazione a un farmaco (sindrome di DRESS). Secondo le ultime notizie l'attrice sarebbe ora in miglioramento

giovedì 14 marzo 2024

"Un eroe" assolto dalle accuse di plagio

Secondo il rapporto di Mansour Jahani, giornalista cinematografico indipendente internazionale, questa è la sentenza del tribunale sul caso di violazione del diritto d'autore del film "Un eroe" diretto da Asghar Farhadi. Un verdetto basato sulle perizie di tre professori dell'Università di Teheran , esperti e docenti nel campo dei diritti di proprietà intellettuale, nonché di quattro esperti d'arte, che all'unanimità hanno respinto le affermazioni della querelante come infondate. Il film è stato completamente prosciolto da queste accuse.

 L’ex studentessa di Asghar Farhadi Azadeh Masihzadeh aveva richiesto la condivisione di tutti gli introiti e i premi nazionali ed esteri del film.

 Nella sentenza, emessa dopo aver esaminato “Un eroe" e tutte e tre le diverse versioni del documentario della querelante, nonché decine di ore di filmati del laboratorio di Asghar Farhadi, si sottolinea con fermezza che la produzione di ogni film o opera d'arte ispirata a un evento reale o a notizie da esso pubblicate avviene senza limiti perché le notizie legate a un evento reale sono di pubblico,  il diritto a usarle non è esclusivo di nessuno, e ciò è assolutamente accettato ed evidente in tutto il mondo.

Il documentario della querelante (Azadeh Masihzadeh) è basato su un evento reale e sulle notizie pubblicate al riguardo sui giornali Jam Jam, sul sito Iran e sul sito Titronline il 23/4/2011 e il 24/4/2011, nonché su un servizio giornalistico della TV Fars Province . E raccontare una notizia pubblicata non crea diritti di proprietà per nessuno. Pertanto, le somiglianze tra questi due film, un documentario e uno di finzione, provengono da un lato dalla fonte comune dei due lavori, la realtà e dalle notizie dei media, e dall'altro dalla formazione e dallo stile dell'istruttore del workshop Asghar Farhadi. , e si può affermare con certezza che non sussistono violazioni di legge. Ciò non è avvenuto e le accuse sono completamente respinte.

In un'altra parte delle perizie, si sottolinea che la querelante ha assemblato un film di un'ora da dozzine di ore di riprese delle sessioni del seminario di Asghar Farhadi, in cui sono stati apportati aggiustamenti e adattamente unilaterali, col risultato di un'enorme differenza tra il filmato originale del workshop e il film fornito dalla denunciante all'investigatore nella fase di indagine. Pertanto, questo video raccolto dalle sessioni del seminario, che costituisce la base principale per l'emissione dell'accusa, è riconosciuto come non valido.

 
Inoltre, secondo l'esame dei documenti del caso e delle immagini registrate dal seminario, si è riscontrato che il piano narrativo, la struttura, il tipo di trattamento con i soggetti, il tipo di narrazione, come il contestare le affermazioni dei soggetti, il posizionamento delle la macchina da presa, il tipo di inquadratura, le modalità di trattamento primario e secondario del soggetto documentario, la creazione dell'atmosfera ottimale e persino il finale (finale aperto) e molti altri elementi del film documentario sono stati proposti e insegnati alla studentessa da Farhadi, e tutta la formazione nel video raccolto dalle sessioni del seminario è stata rimossa dalla querelante. Sulla base di ciò, il progetto presentato allo studente da Farhadi è più di un'idea e di un piano iniziale e grezzo, ma è in realtà una sorta di modello che costituisce un quadro completo per la formazione della narrazione nel documentario. Ciò è risultato del tutto evidente.

 

Nelle recensioni è stato affermato che il film "Un eroe" in termini di soggetto, storytelling, struttura, caratterizzazione, performance e tutti gli elementi artistici creativi discussi nel campo del diritto d'autore è completamente indipendente e diverso dal documentario - e anche dal vero evento accaduto e dalle notizie pubblicate - e non è accusabile di violazione del copyright da nessun punto di vista."

domenica 25 febbraio 2024

Khamyazeye bozorg - The Great Yawn of History (Aliyar Rasti, 2024)



Vincitore del Premio Speciale della Giuria “Encounters” della Berlinale, The Great Yawn of History è il primo lungometraggio del regista iraniano Aliyar Rasti, un viaggio beckettiano attraverso il paese alla ricerca di un tesoro misterioso che mette alla prova la natura della fede. 
“Encounters” è una sezione molto interessante del festival di Berlino che promuove nuove prospettive narrative dirette da registi indipendenti e innovativi. È nata da quando Carlo Chatrian è diventato direttore artistico del festival e ci auguriamo che rimanga anche con la nuova gestione che partirà l’anno prossimo. La giuria di questa edizione era composta da tre registi: Lisandro Alonso, Denis Côté e Tizza Covi.

The Great Yawn of History racconta di Beitollah, un uomo dalle vacillanti convinzioni religiose che sogna una cassa d'oro nascosta in una grotta. Convinto che la legge islamica gli proibisca di reclamare lui stesso il tesoro, si inventa un annuncio di lavoro stampato sul retro delle banconote da un dollaro e le distribuisce per le strade di Teheran, così recluta il giovane Shoja, un non credente orfano che vive per strada. I due iniziano subito un lungo viaggio sia fisico che spirituale e mettono in gioco il concetto di fede nella ricerca di un miracolo. Si spostano verso nord e poi verso i deserti centrali dell'Iran, scoprono diverse grotte ma nessuna è quella giusta…

Scritto e diretto da Rasti, il film è interpretato da Mohammad Aghebati e Amirhossein Hosseini ed è prodotto da Para-Doxa con sede a Teheran. Rasti è un artista visivo senza alcuna formazione cinematografica, ha affinato le sue capacità dirigendo video musicali e solo successivamente ha studiato con alcuni dei pesi massimi del cinema iraniano contemporaneo, frequentando laboratori di regia e sceneggiatura guidati da Abbas Kiarostami e Asghar Farhadi. Nel 2018 ha diretto il suo primo cortometraggio, In Between, premiato a Teheran e all’estero.

Il film è una sorta di Godot all’interno di un'ambientazione quasi western. La ricerca della grotta è come l'attesa della famosa pièce di Beckett, tra l’altro citato inizialmente quando vediamo una bancarella di libri e la camera si ferma stranamente per un paio di secondi sul faccione dell’autore irlandese. La differenza ovviamente è che nell’opera di Beckett i due protagonisti sono fermi e non si muovono mai, qui invece sono in movimento ma quando trovano le grotte riecheggia sempre una frase “no, non è questa” e tornano indietro, un po’ come in Beckett quando fanno per partire e invece non partono mai. I due sono vestiti come barboni, si lamentano continuamente del freddo o del caldo, della fame e del loro stato esistenziale, esattamente come in Godot litigano, pensano di separarsi (anche di suicidarsi) ma alla fine restano l'uno dipendente dall'altro. Ed è proprio attraverso i loro discorsi sconnessi e superficiali che emerge il nonsenso della vita umana. Ogni viaggio che fanno, ogni grotta che scoprono, è ogni volta un tentativo fallimentare di procedere per ritornare al punto di partenza.

Sebbene il film sia metaforico è evidente una critica sociale, a partire da quella più semplice verso una società che denigra gli orfani e li lascia vivere allo sbando, ma ovviamente il punto più importante è quello religioso: benché l’Iran sia una società musulmana devota, con questo film Rasti sembra affermare che in molti connazionali si aggrappano a nuove idee e sistemi di credenze. Vogliono credere in qualcosa di diverso, escono dalla razionalità perché non possono vivere la loro vita in questo presente così doloroso. 


Claudio Casazza

giovedì 22 febbraio 2024

My Favorite Cake prossimamente in sala

My Favourite Cake, il film diretto dagli iraniani Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, presentato in Concorso alla Berlinale sarà distribuito da Academy Two.

 

La settantenne Mahin vive da sola a Teheran, il marito è morto e la figlia si è trasferita in Europa. Ma Mahin è una donna ironica e ottimista che affronta con spirito positivo la sua vita solitaria.

Un tè con le amiche un pomeriggio la convincerà a rompere la sua routine quotidiana e a ridare vitalità alla sua vita amorosa.

 

 

My Favourite Cake

(Iran, Francia, Svezia, Germania)

Durata: ‘96

 

Prossimante in sala

 

venerdì 16 febbraio 2024

My Favorite Cake (Maryam Moghaddam, Behtash Sanaeeha, 2024)



Il film iraniano del Concorso, come purtroppo spesso capita di recente, è preannunciato da notizie di censura, infatti i registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha non sono a Berlino perché le autorità iraniane gli hanno impedito di viaggiare, i loro passaporti sono stati confiscati circa un mese fa e devono affrontare un processo in tribunale a causa del loro film. In una nota rilasciata dal festival i due registi ci dicono: “ci sentiamo come genitori a cui è proibito guardare il loro bambino appena nato. Oggi non ci è stato permesso di goderci la visione del film con voi, pubblico esigente di questo festival cinematografico. Siamo tristi e stanchi, ma non siamo soli”, i due si dicono orgogliosi che il film venga proiettato e lo dedicano alle donne del loro paese che con coraggio si pongono in prima linea per un cambiamento della società iraniana.

My favorite cake racconta la storia della settantenne Mahin che vive da sola a Teheran dalla morte del marito e dalla partenza della figlia per l'Europa, finché un tè pomeridiano con le amiche la porta a rompere la sua routine solitaria e a pensare a qualcosa di diverso per il suo futuro. Mahin è infatti sempre più annoiata della sua vita da sola e prende a poco a poco sempre più coraggio, così si apre a una nuova potenziale nuova storia d'amore: quello che inizia come un incontro inaspettato si evolve rapidamente in una serata imprevedibile e indimenticabile. 

Maryam Moghaddam è un'attrice, sceneggiatrice e regista iraniana, conosciuta al pubblico internazionale soprattutto per la sua recitazione in Closed Curtain, film di Jafar Panahi del 2013, e già regista insieme a Behtash Sanaeeha del recente Ballad of a White Cow del 2020. 

My favorite cake racconta della solitudine che le donne iraniane affrontano in età avanzata, spesso sposano mariti più anziani che muoiono prima di loro e perciò vivono gran parte della loro vita da sole. È una storia che non viene raccontata spesso e che contraddice l’immagine comune delle donne iraniane, infatti i due registi ci mostrano la protagonista Mahin che prende l’iniziativa per prima, che le tenta tutte per riassaporare dei momenti dolci della vita.

My favorite cake è piacevole e divertente, è per gran parte una commedia, i due registi hanno un tocco leggero anche quando mostrano degli evidenti riferimenti critici al controllo delle autorità. Mostrano chiaramente la preoccupazione della donna nel farsi vedere con un uomo non sposato, ma nonostante un clima di disagio i registi non creano mai tensione: come Mahin vive con leggerezza, anche i registi sono delicati nel raccontare delle situazioni che potrebbero evolvere nel modo peggiore, ad esempio nella scena al parco in cui protagonista si contrappone alla polizia morale che voleva arrestare una ragazza per lo hijab non indossato in maniera appropriata. 

Il finale, come spesso capita nel cinema iraniano, ribalta in modo inaspettato la situazione, non lo riveliamo per non rovinare un momento inatteso e potente, di sicuro è stato uno dei motivi che hanno portato alla presa di posizione del regime, ma altrettanto sicuramente è uno dei pregi del film, che scava in una realtà poco raccontata e in questo modo sfida apertamente la censura. 


Claudio Casazza

giovedì 1 febbraio 2024

Dichiarazione della Berlinale

La Berlinale lancia un appello alla libertà di movimento e alla libertà di espressione per i registi in concorso Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha


All’inizio di questo mese, la Berlinale è stata lieta di annunciare la selezione del film iraniano My Favorite Cake di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha in concorso alla 74esima edizione del festival di quest’anno.

Da allora, il festival ha appreso che al momento in cui scriviamo agli scrittori/registi iraniani Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha è stato vietato di viaggiare, i loro passaporti sono stati confiscati e devono affrontare un processo in tribunale in relazione al loro lavoro di artisti e registi.

La Berlinale è un festival fondamentalmente impegnato a favore della libertà di parola, di espressione e della libertà delle arti, per tutte le persone in tutto il mondo, e il festival è scioccato e sgomento nell'apprendere che a Moghaddam e Sanaeeha potrebbe essere impedito di recarsi al festival per presentare il loro film e incontrare il pubblico a Berlino.

I direttori della Berlinale Carlo Chatrian e Mariëtte Rissenbeek hanno dichiarato: "Chiediamo alle autorità iraniane di restituire i passaporti e di porre fine a tutte le restrizioni che impediscono a Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha di viaggiare liberamente a Berlino questo febbraio, insieme agli altri registi internazionali e talenti cinematografici provenienti da in tutto il mondo, così da poter presentare il loro nuovo film My Favorite Cake come parte del Concorso 2024 della Berlinale.

Il precedente film di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, Ballad of a White Cow, è stato presentato in concorso alla Berlinale 2021, emergendo come uno dei preferiti del pubblico nelle votazioni pubbliche di quell'anno. Il loro nuovo film, My Favorite Cake, è stato selezionato in Concorso nel 2024.

My Favorite Cake è stato sostenuto dal World Cinema Fund della Berlinale e prima ancora era stato sviluppato come progetto attraverso la Berlinale quando ha partecipato al mercato di co-produzione della Berlinale 2020, dove è stato premiato con il prestigioso Eurimages Co-Production Development Award.

Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha condividono una lunga e ricca storia con la Berlinale e devono avere il permesso di tornare a Berlino questo febbraio.


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venerdì 5 gennaio 2024

Nader Ghazvinizadeh introduce il corso "La grande storia del cinema iraniano. Sognare e resistere"

Il docente Nader Ghazvinizadeh introduce il corso "La grande storia del cinema iraniano. Sognare e resistere". Dal 17 gennaio all'Università Primo Levi di Bologna e online.

Descrizione del corso:
Per iscriversi (anche online):
 
 

 

 

lunedì 25 dicembre 2023

Enzo Staiola sul cinema iraniano



La rivista Film-e emrooz ha intervistato Enzo Staiola, che da bambino fu interprete di Ladri di biciclette, un film amatissimo anche in Iran e che ha influenzato generazioni di cineasti persiani.

Staiola, oggi ottantaquattrenne, ha parlato anche di cinema iraniano;

"Molti anni fa a Milano si tenne un festival chiamato "Bicycle Film Festival" e vi furono proiettati film provenienti da tutto il mondo legati alla bicicletta e al ciclismo. C'ero anch'io a quel festival. Lì ho visto un film iraniano [Il ciclista di Mohsen Malhmalbaf] su un ciclista afghano che deve pedalare per una settimana per raccogliere soldi per la moglie malata (corsa in bicicletta). C'era una scena scioccante in quel film che non dimenticherò mai, dove il ciclista doveva mettersi un fiammifero tra le palpebre per non addormentarsi per la stanchezza e gli altri lo chiamavano a restare sveglio.

Ho visto un altro film iraniano [Close-Up di Abbas Kiarostami] in un altro festival; su una persona che assomiglia a un regista famoso e si mette nei panni di quel regista, ma poi il trucco viene svelato e quella persona viene processata. È stato interessante che un altro famoso regista abbia realizzato un film su questo argomento.
Mi sono ricordato anche di un altro film [Una separazione di Asghar Farhadi] che vinse l'Oscar per il miglior film in lingua straniera e fu ampiamente pubblicizzato in Italia. Fui anche invitato ad una delle prime proiezioni a Roma di questo film, che guardai con entusiasmo. Dopo aver visto questi film, mi sono reso conto che l'Iran e l'Italia sono culturalmente molto simili."

Ali Asgari ha riavuto il passaporto

Il regista ha comunicato su Facebook di avere riavuto il passaporto dopo mesi 

mercoledì 29 novembre 2023

HAFT SAL Sette anni di Cinema iraniano blog

 


Cinema iraniano su carta

Ho raccolto in un volume: recensioni, notizie, interviste, classifiche, speciali... insomma tutti i post del blog da me scritti, esclusi i contributi gentilmente inviati da alcuni amici e i miei articoli usciti precedentemente altrove; le ‘comunicazioni di servizio’ e le mere traduzioni da siti esteri. 
Ne è uscito un bel tomo da 368 pagine, che ripercorre un viaggio che dura ormai da sette anni. Buona (ri)lettura!


giovedì 2 novembre 2023

Quando Mehrjui tornò dalla Francia

 Ne ha parlato a Radio Farda il produttore di "Banu"



Qui la traduzione automatica:



Mohammad Mehdi Dadgo, uno degli ex direttori della Farabi Cinema Foundation e uno dei 

più noti produttori di cinema iraniano dopo la rivoluzione, afferma di aver avuto una conversazione con i direttori senior del Ministero dell'orientamento della Repubblica islamica dell'Iran per il film di Dariush Mehrjooi tornare in paese.


In un'intervista al settimanale "Sahneh" di Radiofarda, Dadgo ha espresso per la prima volta i dettagli delle trattative che portarono al ritorno nel Paese del celebre regista del cinema iraniano a metà degli anni '60.


Dariush Mehrjoui lasciò l'Iran con la sua famiglia e si stabilì in Francia nella primavera del 1360, dopo che il film "Il cortile della scuola Adl Afaq" fu bandito. Stava cercando di dedicarsi al cinema in Francia e insieme a Gholamhossein Saedi, scrittore e drammaturgo, ha scritto diverse sceneggiature da realizzare in Francia. Nello stesso periodo ha realizzato anche il film documentario "Journey to Rambo's Land" in Francia.


Prima della rivoluzione, Mohammad Mehdi Dadgou era uno dei direttori del dipartimento finanziario della televisione nazionale iraniana. Dopo la rivoluzione, ha diretto la produzione della serie "Hazardestan" diretta da Ali Hatami. Con la fondazione della Fondazione Farabi Cinema, diventa per diversi anni direttore di produzione di questa istituzione cinematografica e, allo stesso tempo, gode della fiducia di diversi registi vicini alla corrente intellettuale. Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, ha prodotto nel suo ufficio diversi film importanti dell'epoca, tra cui "Lady" di Dariush Mehrjooi.


Mohammad Mahdi Dadgo con Mohammad Beheshti, il personaggio principale della serie "Hazardistan"

Mohammad Mahdi Dadgo con Mohammad Beheshti, il personaggio principale della serie "Hazardistan"

Nella carriera cinematografica di Dariush Mehrjooi, un eminente e importante regista ucciso nella sua casa il 22 Mehr all'età di 84 anni, il film "Lady" occupa un posto speciale; Un film ancora controverso e che può essere rivisto per il suo tema, la qualità del pagamento finale, nonché il suo destino tumultuoso dalla produzione alla detenzione di diversi anni.


Questo film è la storia di una donna di classe benestante e che ha familiarità con i libri, la storia e la poesia, che, disillusa e affranta dall'infedeltà del marito, rende consapevolmente la sua nobile casa sicura per i poveri, gli indigenti e gli "oppressi"; Persone che gradualmente distruggono la casa.



Mohammad Mehdi Dadgou e Majid Modaresi sono stati i produttori del film "Bano".


Il signor Dadgo menziona le sue azioni per il ritorno di Dariush Mehrjoui nell'importante ruolo di Ezzatullah Nazami, un noto e defunto attore di arti dello spettacolo, e dice che nel 1361, durante la produzione del film "Haji Washington" in Italia, Ezzatullah Nazami, l'attore principale di questo film, si è recato in Germania prima di altri Kord, per far visita a suo figlio.


Secondo Mohammad Mehdi Dadgou, durante questo viaggio, il signor Tazami è riuscito a incontrare un certo numero di cineasti iraniani che vivono in Europa, tra cui Sohrab Shahid Thalath, Dariush Mehrjooi e Hoshang Baharlou.


Mohammad Mahdi Dadgou dice che per Ezzatullah Tazami, che è entrato seriamente nel cinema attraverso il film "Cow" e Dariush Mehrjoui, era molto importante che Mehrjoui non fosse una "persona festaiola" e inattiva e tornasse.


Ma il signor Dadgou dice che Dariush Mehrjoui ha resistito al ritorno a causa di ciò che ha visto e sentito sulle condizioni in Iran. Il signor Dadgo afferma che Dariush Mehrjoui ha subito danni mentali e lavorativi a causa della confisca del film "Backyard of Afaq School" e che non voleva tornare a causa delle notizie che aveva sentito e delle conversazioni delle persone intorno a lui e di altri, ma finalmente è arrivato.


Un'intervista con Mohammad Mehdi Dadgou su Dariush Mehrjooi INCORPORARE CONDIVIDERE

Un'intervista con Mohammad Mehdi Dadgou su Dariush Mehrjooi

di Radio Farda

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Mohammad Mahdi Dadgou racconta che durante la produzione del film "Kamaal-ul-Molk", Ezzatollah Tazami gli ha dato il numero di telefono di Dariush Mehrjooi in Francia e lui (Dadgou) lo ha chiamato più volte dall'Iran. Riferendosi alla fondazione della Fondazione Farabi e, secondo lui, "alla serietà della questione del cinema", il signor Dadgo sottolinea che lo abbiamo convinto a tornare promettendogli di collaborare alla produzione del prossimo film di Dariush Mehrjooi in Iran.


Dariush Mehrjoui dietro le quinte del film "The Tenants"

MAGGIORI INFORMAZIONI SU QUESTO:

Quando Dariush Mehrjoui era a Parigi, Ahmad Hamon lo era

Alla domanda se avesse ricevuto garanzie dai funzionari della Repubblica islamica dell'Iran per il ritorno di Dariush Mehrjoui in Iran senza problemi, Mohammad Mahdi Dadgou ha risposto che non è stata data alcuna garanzia. Ma conferma che insieme a Ezzatullah Tazami, ha avuto un incontro e una discussione su questo argomento con Mohammad Beheshti, all'epoca amministratore delegato della Farabi Cinema Foundation.


Conferma inoltre che Fakhreddin Anwar, all'epoca vice del Ministero dell'orientamento della Repubblica islamica dell'Iran, era a conoscenza di questo problema e acconsentì al ritorno di Dariush Mehrjooi. Il signor Dadgou afferma di aver trasferito queste trattative e l'approvazione delle autorità cinematografiche a Dariush Mehrjoui.


Dariush Mehrjoui al centro del film "The Tenants"

Dariush Mehrjoui al centro del film "The Tenants"

Mohammad Mehdi Dadgou, che all'epoca era uno dei direttori di produzione della Fondazione Farabi, ricorda che a quel tempo, a metà degli anni '60, il potere dei registi del Ministero dell'Orientamento era molto elevato, e lo stesso potere causò nonostante la grande pressione riuscirono a far uscire il film "The Tenants" e riuscirono a proiettarlo.


Ricorda che al momento del rilascio della licenza per il film "The Tenants", c'erano molte pressioni, "interpretazioni" e "interpretazioni" per impedire la proiezione di questo film dal campo dell'arte e da altri centri, ma a causa di Grazie al potere della direzione del cinema in quel periodo, il film venne finalmente distribuito nelle sale.


Descrivendo il processo di produzione dei film "Shirk" e "Hamon", Mohammad Mehdi Dadgou dice riguardo alla produzione del film "Lady" che Dariush Mehrjooi ha avuto l'idea di creare un quartetto incentrato sulle donne, il primo dei quali è stato realizzato nel ufficio che ha avuto con Majid Modaresi chiamato "Kader" il film".


Negli stessi anni, Mr. Dadgo ha prodotto altri film come "Snake's Tooth" di Masoud Kimiaei, "The Last Curtain" di Waroj Karim Masihi e "Naseruddin Shah Actor of Cinema" di Mohsen Makhmalbaf.


Il signor Dadgo dice che le condizioni di produzione del film "Bano" sono andate bene, ma a quel tempo i direttori del Ministero dell'Orientamento erano nella loro posizione più debole. Dice che nella recensione della proiezione del film "Lady" al Fajr Film Festival nel 1370, lo considerarono "contro tutto".


Ricorda che, nonostante il nome del film "Bano" fosse inserito nel catalogo del Fajr Film Festival, i gruppi di revisione del Ministero dell'Orientamento non sono stati in grado di prendere una decisione definitiva sulla proiezione o meno del film, e così esisteva una situazione nello Screening License Council. Alla fine, dopo una proiezione del film nella sala cinematografica speciale del Ministero dell'Orientamento per alcune persone che secondo lui erano "invitate", si è deciso di vietare il film.


A quel tempo, pubblicazioni vicine al leader dell'Islamic Jamuri, come il quotidiano Kihan sotto la direzione di Mehdi Nasiri e Mahnama Surah sotto la direzione di Morteza Avini, espressero forti critiche al Ministero dell'Orientamento e anche alla direzione del cinema. del tempo. Questo fu il periodo in cui Ali Khamenei fece il suo famoso commento sull'“invasione culturale”.


A seguito delle pressioni esercitate in quel periodo sul Ministero dell'Orientamento, Mohammad Khatami si dimise dal Ministero dell'Orientamento nel 1371, e i registi che lo accompagnavano lasciarono i loro incarichi un anno dopo.


Bita Farhi in una scena del film "Lady"

Bita Farhi in una scena del film "Lady"

La messa al bando del film "Lady" ha avuto un forte impatto sul percorso e sulle attività dei suoi creatori. Riferendosi a questo punto, Mohammad Mehdi Dadgou afferma che il processo di attività di alcuni attori del film, tra cui Bita Farhi, l'attore principale di questo film, è completamente cambiato e secondo lui "è stato un torto".


Dopo gli eventi del giugno 1976, il divieto del film "Lady" fu revocato e uscì nelle sale a Teheran il 22 ottobre 1977, mentre secondo Dadgou, "il pubblico aveva l'impressione che la versione censurata di questo film fosse rilasciato e per questo non è stato ricevuto".


Esprimendo il suo rammarico per l'omicidio di Dariush Mehrjoei e di sua moglie, Vahida Mohammadifar, in questa intervista con Radiofarda, Mohammad Mehdi Dadgou esprime la sua fiducia che le generazioni future comprenderanno la sofferenza subita dal signor Mehrjoei e che le sue opere rimarranno alte nella storia culturale. dell'Iran.



mercoledì 1 novembre 2023

sabato 21 ottobre 2023

Omicidio Mehrjui, confessa l'ex giardiniere

 


La testata Hamshari ha fornito una ricostruzione dell'omicidio di Vahide Mohammadifar e Dariush Mehrjui. Secondo il giornale di Teheran il principale responsabile, reo confesso, sarebbe l'ex giardiniere, licenziato e già arrestato alcuni anni fa per aver rubato un aspirapolvere. Da allora l'uomo reclamava arretrati relativi al suo lavoro per 30 milioni di toman, circa 6.700 euro. Anche suo fratello e altri due uomini sono stati arrestati per il delitto.







domenica 15 ottobre 2023

Assassinati Dariush Mehrjui e Vahideh Mohammadifar




Cinema iraniano sotto shock per la scomparsa di uno dei suoi più grandi maestri, Dariush Mehrjui, assassinato ieri insieme alla moglie e collaboratrice Vahide Mohammadifar nella loro villa di Karaj, a ovest di Teheran. Al momento ignoto il movente dell'omicidio, mentre per le modalità si parla di accoltellamento.

Mohammadifar nei giorni scorsi aveva denunciato di essere stata minacciata con un coltello da un uomo con accento straniero e di aver subito una serie di furti.




Mehrjui aveva 83 anni. Nel 1969 cambiò per sempre la storia del cinema iraniano con il film Gav (La vacca). In seguito realizzo altre opere di notevole valore e importanza,

Qui un mio ricordo. a caldo:

https://www.facebook.com/cinemairanianoblog/videos/6815152888520616/?notif_id=1697376233936097&notif_t=feedback_reaction_generic&ref=notif

lunedì 2 ottobre 2023

Leila Naghdipari, collaboratrice di Jafar Panahi, è stata scarcerata

 




Leila Naghdipari, scenografa e costumista di "Tre volti" di Jafar Panahi, è stata scarcerata ieri su cauzione e in seguito a un ampia mobilitazione internazionale del mondo del cinema, a partire dal marito, il regista Majid Barzegar.
La donna era stata arrestata lo scorso 17 settembre.




venerdì 22 settembre 2023

Quattro registi iraniani in corsa per l'Oscar


Sono quattro i registi iraniani candidati all'Oscar per il miglior film internazionale.

Mentre l'Iran ha designato "The Night Watchman" di Reza Mirkarimi, altri registi persiani si contenderanno il premio.

L'Australia ha infatti candidato "Shayda" Noora Niasari,  con Zar Amir Ebrahimi, l'attrice di "Holy Spider".

Notizia recente è la scelta della Svezia: "Opponent" di Milad Alami, con Peyman Mooadi (nella foto), già protagonista di "Una separazione", primo film iraniano premiato con la prestigiosa statuetta.

Infine, A distanza di 25 anni dalla sua ultima presentazione il Tagikistan ritorna in corsa inviando come proprio rappresentante  "Melody" del regista iraniano Behrouz Sebt Rasoul.

martedì 5 settembre 2023

Tatami (Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi, 2023)

In Orizzonti arriva il film co-diretto dall’iraniana Zar Amir Ebrahimi (l’attrice di Holy Spider) e l’israelinao Guy Nattiv. Diciamo subito che è uno dei film più apprezzati dal pubblico veneziano.

È la storia della judoka iraniana Leila (una pazzesca Arienne Mandi) e la sua allenatrice Maryam (la stessa Zar Amir Ebrahimi) che partecipano al campionato mondiale di judo a Tbilisi, intente a portare a casa la prima medaglia d’oro dell’Iran. A metà dei campionati le due donne ricevono però un ultimatum da parte della Repubblica Islamica, che ordina a Leila di fingere un infortunio e ritirarsi, per evitare di incontrare un'atleta israeliana, sarebbe un'onta per l'Iran e lei sarebbe bollata come traditrice dello Stato. Con la propria libertà e quella della sua famiglia in gioco, Leila si trova di fronte a una scelta impossibile: obbedire al regime iraniano, come la sua allenatrice Maryam le implora di fare, o continuare a combattere per l’oro? 

Sport e politica da sempre sono legati e spesso gli eventi sportivi vengono usati per dare lustro a un paese, il caso recente del calcio in Arabia Saudita è fin troppo evidente, ma ci sono stati centinaia di altri episodi, dai famosi boicottaggi americani e sovietici delle Olimpiadi fino a episodi più piccoli che hanno toccato diversi paesi. 
Tatami è il primo lungometraggio codiretto da una regista iraniana e da uno israeliano e ha il pregio di avere un valore politico chiaro, è una dichiarazione rivolta al mondo sulla libertà di un essere umano, ovviamente guarda alle migliaia di iraniani innocenti che stanno lottando per la propria libertà. Anche se basato su una storia vera il film ha il pregio di essere universale perché, come Leila, ci sono tantissimi altri atleti che hanno perso la opportunità sportiva della vita e sono stati talvolta costretti a lasciare il proprio Paese e i propri cari a causa del conflitto tra sistemi e governi. 

Tatami è un film commovente e angoscioso, dal punto di visto della messa in scena è girato in bianco/nero e 4:3 per rendere evidente la claustrofobia fisica e psicologica che subisce la giovane protagonista. I due registi realizzano una sorta di thriller emozionante e riescono benissimo a rappresentare l’angoscia di Leila e trasmetterla così a noi spettatori con una regia avvolgente che vuole farci entrare nel tatami con la giovane ragazza ma che allo stesso tempo ci allontana e allarga lo sguardo universalmente.

Tatami è sicuramente grido alla libertà molto apprezzato dal pubblico veneziano, ha ricevuto forse il più grande applauso della Mostra e si candida a premi importanti. È un film che auspica una pace evidentemente, vuole andare oltre le frenesie dell’odio cieco e della distruzione reciproca. Il film è stato acquistato per l’Italia da Bim e ci auguriamo venga presto visto anche dal pubblico italiano.

Claudio Casazza 



venerdì 1 settembre 2023

Anche Ali Asgari messo al bando

 

Ennesimo caso di restrizioni a un regista iraniano. Questa volta è toccato ad Ali Asgari, cineasta legato all'Italia, poiché ha studiato al DAMS di Roma Tre. Il prossimo ottobre uscirà nelle nostre sale per la prima volta un suo film, distribuito con il titolo di "Kafka a Teheran", che è proprio la pietra dello scandalo. L'opera è co-diretta da Alireza Khatami, che su Facebook ha commentato: "Non ci faremo silenziare".

Di seguito il dettaglio del provvedimento, come riportato da "Variety"



Al regista iraniano Ali Asgari , il cui ultimo film “ Versetti terrestri ” (co-diretto da Alireza Khatami) è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, le autorità iraniane hanno vietato di lasciare il paese e di dirigere film fino a nuovo avviso.

Unico film iraniano presente nella selezione ufficiale di Cannes quest'anno, “Terrestrial Verses” ha ottenuto un caloroso riscontro di critica al festival, dove è stato proiettato nella sezione Un certain Regard, ed è stato venduto da Films Boutique in tutto il mondo. Ma quando Asgari è tornato in Iran dopo la prima, gli è stato confiscato il passaporto dalle autorità locali per impedirgli di partecipare ad altri festival internazionali. Nel tentativo di metterlo a tacere, il regime iraniano ha anche minacciato di mandarlo in prigione, come è successo ad altri registi iraniani schietti. Solo un paio di settimane fa, Saeed Roustae e il suo produttore sono stati condannati a sei mesi di prigione per aver proiettato il loro film “ Leila's Brothers ” allo scorso  Cannes e gli è stato anche vietato di fare film.




Aftab mishavad -The Sun Will Rise (Ayat Najafi, 2023)



Il film di apertura delle Giornate degli autori, sezione autonoma della Mostra del Cinema di Venezia, è l’iraniano "Aftab Mishavad," un film sicuramente interessante che merita un discorso approfondito. Siamo a Teheran nell’ottobre 2022, un gruppo teatrale sta provando la commedia greca "Lisistrata" di Aristofane. Durante una scena nella quale i vecchi stanno assaltando l'Acropoli conquistata dalle donne di Atene il gruppo di teatranti apprende di essere circondato dalle forze anti-sommossa che stanno marciando intorno all'edificio per sedare una grande manifestazione. Sono le proteste, quasi una rivolta, iniziate dopo la tragica morte di Mahsa Jina Amini avvenuta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale.
È bene ricordare che "Lisistrata" è il primo testo oggi noto che tratti il tema dell'emancipazione femminile, non solo tramite il lamento patetico - a questo avevano già pensato le tragedie, una per tutte la "Medea" di Euripide - ma attraverso una collaborazione tra donne che appaiono consapevoli delle loro possibilità nell'imporre la propria volontà agli uomini. L'intento di Aristofane era rappresentare un 'mondo alla rovescia' dove il comando viene preso da chi di solito è sottomesso, con lo scopo di ottenere non la parità dei sessi (argomento ancora impensabile a quei tempi e in effetti non trattato nellìopera) ma la pace.

La scelta di questa commedia si lega al discorso che il regista iraniano vuole fare per tratteggiare l’Iran attuale. Infatti vediamo che nel film mentre il gruppo teatrale prova lo spettacolo la realtà irrompe prepotente. Il rumore della strada diventa quasi subito assordante e entra nelle prove dello spettacolo. Nella sala prove crescono paura e rabbia, e i giovani iniziano a interrogarsi. Alcuni preferiscono nascondersi, altri, guidati dall'attrice protagonista, vogliono scendere in strada e combattere a fianco delle persone che protestano. Nonostante i disaccordi, una cosa è chiara per tutti: il gruppo non vuole continuare a mettere in scena lo spettacolo durante questo tentativo di rivoluzione. Sono le attrici a prendere le decisioni, si ribaltano i ruoli e il regista viene messo in minoranza. Iniziano tutti a porsi interrogativi importanti: che senso ha fare teatro quando succede tutto ciò in strada? Protestare è più importante di un stupido spettacolo? Perché fare arte quando fuori tutto brucia?

L'ingresso improvviso di quattro sconosciuti dalla strada cambia ancora di più il discorso, trasporta la spaventosa realtà dell'esterno in questo ambiente chiuso e isolato. Il gruppo rimane nella sala prove per tutta la notte, tentando delle improvvisazioni sulla base delle storie che accadono fuori, usando i corpi e le abilità recitative come forme di disobbedienza civile.

Come dicevano inizialmente il film è molto interessante per questo dialogo che viene rappresentato e costruito, "Aftab Mishavad" è strutturato su quattro linee narrative: la commedia "Lisistrata", il documentario sulla creazione dello spettacolo, il dialogo tra attori e il regista, e la strada che prende il sopravvento su tutto il resto.
È bene ricordare che il film è stato girato in totale segretezza, per questa ragione i volti dei protagonisti non ci sono, ovviamente per tutelare l’identità delle persone ma anche per simboleggiare la censura sempre presente nel cinema iraniano. Il film è perciò un susseguirsi di piedi, corpi, nuche, ombre, quasi dei fantasmi che recitano e ragionano dentro questo momento storico così importante nella storia dell'Iran. Non tutto funziona perfettamente, a tratti si percepisce una costruzione eccessiva, ma "Aftab Mishavad" è film che fa pensare moltissimo e ha il merito di raccontare come l’Iran odierno e la sua giovane generazione sono davvero a un punto di non ritorno.


Claudio Casazza

domenica 27 agosto 2023

Panahi sul set di Five di Kiarostami

 Dal 'making of' di Five, film sperimentale realizzato da Abbas Kiarostami nel 2003 e dedicato al regista giapponese Ozu.

Fotogramma 1. Jafar Panahi, Kiarostami e l'operatore Seyfolah Samadian nella casa di Panahi sul Mar Caspio, dove quest'ultimo girerà Closed Curtain (2013). Riconoscibile la locandina italiana de Lo specchio.

Fotogramma 2. Panahi sul set del collega.







Intervista a Naderi sul manifesto

Di Donatello Fumarola

Di seguito un estratto

Nel programma di Venezia Classici di quest’anno, verrà presentato il restauro digitale di Saaz dahani (Harmonica, 1973)


Che effetto ti fa ritrovarti con un tuo vecchio film in un concorso dove i tuoi ‘rivali’ sono Allan Dwan, Ozu, Visconti, Tarkovskij…

Mi piace l’idea di essere nello stesso luogo di coloro che mi hanno ispirato sin da quando ero giovane. Mi piace che il mio piccolo film passi sullo stesso schermo in cui magari poche ore prima sono passate le immagini di Ozu. Sono anche curioso di rivedere dopo tanto tempo Harmonica, che è il primo film della trilogia della mia infanzia (Waiting è il secondo, poi c’è Il corridore). Dopo i miei primi tre film girati nei teatri di posa, con grossi budget e grandi attori, decisi di fare qualcosa di diverso, perché non era quello il cinema che volevo continuare a fare. Sono contento di aver avuto la possibilità di lavorare nell’industria cinematografica, però a un certo punto ho cercato la possibilità di fare un film sulle mie esperienze, sull’ambiente in cui sono cresciuto (la strada, il sud dell’Iran), e mi sono messo in discussione come film-maker.

In Harmonica ho avuto la possibilità di lavorare con bambini che non avevano mai visto una camera prima! Sono andato nei luoghi in cui sono cresciuto (Abadan), trovando i bambini nella strada, portandoli al cinema; e mi hanno sorpreso! Dopo questo film mi sono detto di continuare in questa direzione: Waiting e Il corridore hanno approfondito quella necessità che è emersa per la prima volta in questo film. Sono grato a Kanun (l’Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti) di avermi offerto la possibilità di fare questi film, dandomi una straordinaria libertà nel fare quello che volevo, e grazie a loro il film esiste ancora ora. Un’altra delle ragioni per cui ho fatto Harmonica sono i pittori impressionisti, Manet, Monet ma anche Cezanne, Gauguin e Van Gogh. Mi sono detto «come posso fare un film sul mio passato con i colori?». Il colore nel film è fondamentale, ci ho lavorato in modo maniacale, mi ricordo che sulla spiaggia avevamo pulito tutto da segnali moderni, nessuna macchina o moto, volevo il contrasto tra il mio passato e la memoria. Ho ancora il libro sugli impressionisti che usavo come ispirazione per la combinazione dei colori naturali.


Intervista completa

https://ilmanifesto.it/amir-naderi-leta-classica-del-cinema?fbclid=IwAR0vqkdrt60EH8KzNVbYiFL2hd1hkEXGJuFfS7LVYovfW5cgeAYOcoXO8Kw



Addio Golestan

Addio a Ebrahim Golestan. Il padre del cinema iraniano d'autore, regista di Mattone e specchio, è morto il 23 agosto all'età di 100 anni

Roustayi condannato

Il regista di "Leila e i suoi fratelli" Saeed Roustayi e il produttore Javad Noruzbegi sono stati condannati a sei mesi di carcere per propaganda anti-governativa per aver presentato il film al festival di Cannes senza autorizzazione.

Per ora il cineasta e il produttore potranno scontare un ventesimo della pena, circa nove giorni, ma dovranno astenersi dal compiere qualsiasi attività correlata al cinema. 

Durante il periodo di cinque anni di sospensione della pena dovranno inoltre superare il corso "Fare cinema preservando gli interessi nazionali ed etici" all'Università della TV statale nella città santa di Qom.

La noritia è stata pubblicata dal giornale Etemad il 14 agosto

sabato 12 agosto 2023

Pardo d'oro a un film iraniano

Festival di Locarno. Pardo d'Oro all'iraniano Ali Ahmadzadeh
Ha vinto con "Mantagheye bohrani" (Critical Zone), una storia di droga girata in segreto per le strade di Teheran

Il regista e il cast non hanno potuto essere presenti alla manifestazione, poiché bloccati in Iran dal Governo. Il premio è quindi stato ritirato dal produttore.




venerdì 21 luglio 2023

Conversazione con Makhmalbaf su Alias

Sull'inserto de il manifesto, un'intervista di Andrea Inzerillo


Mohsen Makhmalbaf, in mezzo scorre il fiume


[...] Invitato da Italo Spinelli e accompagnato dalla moglie, la regista Marziyeh Meshkini, Makhmalbaf ha presentato in anteprima mondiale alla diciottesima edizione del Sole Luna Doc Film Festival di Palermo Talking With Rivers, il suo ultimo lavoro.


Si potrebbe dire che l’origine di questo nuovo film risieda in un’immagine, l’unica non di finzione: alla notizia del ritorno dei talebani, nell’agosto 2021, le persone accalcate all’aeroporto di Kabul che si aggrappano agli aerei militari americani per provare a scappare dall’Afghanistan.


[...] Bisogna comprendere storicamente questa tragedia per non dimenticare cosa è successo. Come riassumerla in un documentario? Ho deciso di usare le immagini dei film che ho fatto insieme alla mia famiglia negli ultimi vent’anni – dieci film su vari aspetti dell’Afghanistan – per punteggiare il racconto di due uomini che si parlano davanti a un fiume. Perché quando si parla dell’Afghanistan spesso si dimentica cosa è successo prima e cosa dopo, o si attribuisce la responsabilità della tragedia al suo popolo. Non è così: gli afghani facevano una vita normale, ma il colpo di stato sovietico ha cambiato il loro destino. E le potenze occidentali, per vendicare il Vietnam, hanno armato i contadini e li hanno trasformati in combattenti; e quando sovietici e americani hanno lasciato il paese è rimasta la guerra civile, con le armi che gli uni e gli altri avevano fornito. La guerra fredda è responsabile di quel che è successo, sulla pelle degli afghani. Volevo far riferimento a tutto questo raccontando delle storie. Per me era un modo nuovo di raccontare una storia in modo poetico, con due uomini che parlano a un fiume, come se fosse il fiume Helmand che collega Afghanistan e Iran.


Iran e Afghanistan erano un unico paese fino al 1746, e la conversazione tra i due uomini che impersonano i due Stati è quasi una conversazione allo specchio. Parlare dell’Afghanistan è un modo per parlare dell’Iran?


Assolutamente, il destino dei due paesi non è poi così diverso e il mio film parla di riconoscimento, del conoscere le radici. La vita è come un fiume, devi conoscere la mappa dei fiumi per capire perché siamo qui, altrimenti fai degli errori. Naturalmente c’è anche il fatto che milioni di rifugiati afghani sono arrivati in Iran senza visto, in fuga dalla fame, e accettavano di lavorare per pochi spicci, come si vede ne Il ciclista (1989), che è una metafora ma racconta anche alcune verità. E i loro bambini non potevano andare a scuola, come si vede in Alfabeto afghano (2002). E avevano perso ogni speranza, come si vede in Viaggio a Kandahar (2001): molte persone si sono suicidate, altre hanno perso le gambe a causa delle mine. Superato il primo approccio, chiedersi le ragioni di questa tragedia significa ragionare sul fatto che per gli afghani, popolo di pastori e agricoltori, la guerra è diventata un lavoro. La vendetta e l’ignoranza sono alla base di tutto. Per ottenere la pace occorre educare e offrire l’opportunità di attività economiche; bisogna aprire università, non mandare soldati. Il risultato di tutti questi anni è stato il disastro, hanno creato l’inferno per gli afghani. Riesci a immaginare che una persona sia disposta ad appendersi a un aereo pur di fuggire dal paese? Morire cadendo dal cielo sembra una prospettiva persino migliore che restare lì.


Mia figlia Hana ha fatto un documentario che si chiama The List, ancora inedito: due mesi prima del ritorno dei talebani al potere ci siamo resi conto che in Afghanistan c’erano molti artisti a rischio di morte, perché avevano scritto libri o fatto film contro i talebani. Abbiamo scritto una lettera a trecento festival cinematografici in tutto il mondo chiedendo di invitare uno o due di questi artisti per salvargli la vita. Il 90% non ha risposto, il 10% ha scritto che purtroppo non c’erano ambasciate o fondi sufficienti. Allora abbiamo bussato a diversi governi e Macron ha accettato di farli uscire, anche se era tardi, perché i talebani avevano accerchiato Kabul e il presidente era scappato. Io e altri amici abbiamo chiamato uno per uno questi artisti e li abbiamo portati da diverse città fino all’aeroporto di Kabul, ma c’era così tanta folla che era impossibile raggiungere l’aereo. Non ho dormito per cinque settimane per gestire questa evacuazione. Dopo un anno siamo riusciti a far uscire 365 di loro ma alcune centinaia sono rimasti lì. Mia figlia intanto riprendeva di nascosto con il suo telefono e ha montato questo film che vogliamo far vedere ai responsabili dei diversi governi. Ci siamo noi nel nostro appartamento che parliamo, telefoniamo, camminiamo e gli artisti afghani ci mandano video di quel che succede in Afghanistan, si vedono i soldati americani uccidere persone nell’aeroporto pur di respingerle, una cosa assurda! Il festival di Busan vuole proiettarlo, non so quale altro festival in Europa. Il film mostra come in Afghanistan si conosca solo la lingua delle armi per controllare la folla, le famiglie, le donne, i bambini.


Negli scorsi mesi il movimento «Donna Vita Libertà» ha rimesso l’Iran al centro dell’attenzione internazionale. Cosa può fare il cinema iraniano per questo movimento?


Credo che la nuova onda del cinema iraniano sia stata una finestra per vedere cosa stava succedendo dopo la rivoluzione del 1979, quando tutto era proibito e il paese era come una prigione. Il primo movimento politico in Iran è stato quindi quello cinematografico, molti film a partire dagli anni Ottanta (si pensi al mio Salaam Cinema del 1995, o ai film di Kiarostami) hanno permesso alle persone di comprendere sé stesse e la loro situazione e per questo sono stati proibiti – tutti i miei libri e film sono ancora proibiti in Iran. Qualche anno fa abbiamo rubato e proiettato a Venezia Nights of Zayandeh Rood (1990), che ha subìto decine di minuti di tagli dalla censura: nel film criticavo la società iraniana e provavo a dire al popolo iraniano che era una parte del problema, perché si era abituato alla violenza. Dopo il movimento cinematografico c’è stato quello degli studenti, con molteplici arresti e uccisioni; poi c’è stato il movimento dei giornalisti durante la presidenza di Khatami; in seguito, il movimento verde contro Ahmadinejad e adesso il movimento delle donne, che è la conseguenza ultima di tutti i movimenti che sono cominciati con quello cinematografico.


Negli ultimi quarantaquattro anni l’Occidente ha voluto controllare l’Oriente e lo Shah non ci ha consentito di avere un partito politico; le prigioni erano piene di persone che leggevano libri, ma hanno lasciato i mullah liberi di criticare il comunismo e usato la religione in funzione anticomunista, per fare una sorta di cintura verde attorno all’Unione sovietica. Quando i sovietici sono arrivati in Afghanistan l’Occidente ha creduto che i mullah potessero controllare l’Iran meglio di chiunque altro: il risultato è stato sfavorevole anche agli occidentali.


Adesso gli iraniani sono stanchi di questo potere ignorante e ideologico che ha isolato l’Iran. Le donne subiscono doppiamente la pressione di questo regime: dentro casa e nella società, quindi hanno reagito energicamente. La nostra cultura attraversa una fase di autentico cambiamento, lo si percepisce. Gli iraniani hanno sperimentato l’inferno, ma adesso siamo ottimisti: in questi anni la cultura ha cambiato le persone, la maggior parte delle persone in Iran ha oggi bisogno di libertà e democrazia, di una buona economia. Questo regime finirà.


Cosa anima oggi il tuo cinema?


Da diciotto anni vivo fuori dal mio paese, e mi sono reso conto che le persone sono le stesse ovunque. Un tempo ero concentrato sull’Iran e volevo cambiarne il destino attraverso la cultura. Adesso che ho visitato più di cinquanta paesi e fatto film in più di dieci non sono più iraniano come prima, mi sento cittadino del mondo e sono più preoccupato dal riscaldamento globale, dal tema dei rifugiati, dal potere maschile nel mondo, dalla crisi economica. Penso che oggi il pensiero di Marx sia ancora più significativo, l’uso del computer e del digitale farà perdere il lavoro a 500 milioni di persone nei prossimi dieci anni e questo creerà ulteriori differenze e molte rivoluzioni nel mondo, ci sarà una nuova lotta di classe e nascerà un nuovo comunismo per bilanciare queste differenze. Guardo all’Iran come a una parte dell’umanità, non come alla mia madrepatria. Gli interessi del mio cinema rimangono sempre gli stessi: la politica, la poesia, il racconto, la realtà, la mia immaginazione. Non c’è una grande differenza di approccio tra Pane e fiore (1996) e il mio ultimo film, mi muovo sempre tra la finzione e il documentario, partendo da cose naturalissime fino a giungere al surrealismo.


Esattamente sette anni fa (4 luglio 2016) moriva Abbas Kiarostami, che in «Close Up» ti ha reso omaggio facendo conoscere il tuo cinema agli spettatori di tutto il mondo. Quali sono i registi del cinema iraniano che oggi ti interessano di più?


Quando mi hanno detto che era morto Kiarostami è stato come ricevere una pugnalata al cuore. Non eravamo amici, lui aveva diciotto anni più di me, ma eravamo in pochi a fare film subito dopo la rivoluzione, c’era Amir Naderi, Kiarostami, io e pochi altri. Facevamo parte di una stessa onda, ma con sguardi diversi. I nostri genitori cinematografici sono stati Sohrab Shahid Saless – Kiarostami in particolare ne è stato molto ispirato – che con A Simple Event (1974) ha dato inizio al neorealismo iraniano molti anni prima di noi e Forugh Farrokhzad, una poetessa iraniana che ha fatto un solo documentario, The House is Black (1962): da lei abbiamo imparato come guardare alla sporcizia dal punto di vista della bellezza. The Runner (1984) di Amir Naderi è stato un film importantissimo per i giovani registi iraniani, ma penso anche al suo Acqua, vento, sabbia (1989) che sembra un film di Flaherty. Adesso ci sono molti bravissimi giovani registi, che magari fanno un buon film e poi scompaiono. Il cinema iranian è stato un’ondata: l’onda continua, ma i singoli registi appaiono e scompaiono. In parte questo è dovuto alla crisi economica, in parte alla censura. Per fare cinema hai bisogno di molte cose, ma non basta il desiderio; imparare a fare cinema oggi è facile, ma se hai una passione contenuta rischi di fare un buon film e poi scomparire.


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