Cinema Iraniano

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venerdì 18 settembre 2020

Una introduzione. Farhadi per il pubblico italiano

La parola a Khorshid Shekarie Aureh, studentessa dell'istituto Gobetti Volta di Bagno a Ripoli (FI). Khorshid ha raccontato la storia del cinema persiano ai suoi compagni di scuola, soffermandosi in particolare su Asghar Farhadi, di cui ha svelato alcuni interessanti aspetti culturali di non facile comprensione per gli spettatori italiani, giovani e meno giovani. Quello che segue è un breve resoconto delle sue presentazioni.


About Elly


Ho cominciato dalla collocazione geografica dell'Iran, facendo poi una carrellata sulla storia del cinema persiano dal 1962, quando con “La casa è nera” Forough Farrokhzad ha dato in qualche modo inizio alla Nuovelle Vague, facendo un cinema diverso dal commerciale filmfarsi. Ho scritto sulla lavagna i nomi dei registi (ad esempio Golestan e Mehrjui) divisi per epoca, poi ho parlato dei cambiamenti che ci sono stati con la Rivoluzione, dal vestiario alle trame, dai temi agli interessi dei registi. Credo che i film d'autore non siano più una forma di svago per il pubblico. Ci sono stati mutamenti sottili che hanno permesso di veicolare un messaggio diverso. Ho citato in particolare la famiglia Makhmalbaf, poi Panahi - soprattutto “Taxi Teheran” che era un film abbastanza conosciuto e che ha suscitato domande dalla classe. Poi ho parlato di Ghobadi e infine mi sono concentrata su Farhadi, affrontando “About Elly”, “Una separazione” e “Il cliente”.

Di “Una separazione” ho proiettato alcune scene, mentre di “About Elly” e “Il cliente” ho mostrato solo il trailer, perché non avevo delle copie sottotitolate in italiano e sarebbe stato troppo scomodo tradurre a voce sul momento. Dopo i trailer ho raccolto un giro di domande: i ragazzi erano stupiti del fatto che in Iran esistessero il cinema e i film! Ma anche se ne fossero stati al corrente, quello di Farhadi è comunque un cinema pieno di dettagli della cultura iraniana che portano il pubblico italiano a farsi delle domande. 

Farhadi mette al centro la società iraniana. Come però ha egli stesso evidenziato nelle conferenze, parte dall'individuo, dalla coppia e dal nucleo familiare, per poi espandersi a tutta la società. I personaggi sono neutri, non possiamo identificare degli antagonisti, dei buoni e dei cattivi: il regista lascia tanti punti interrogativi per il pubblico.

Facciamo degli esempi. In “Una separazione”, le dinamiche tra Nader e Simin (i protagonisti) e tra Razieh e Hojjat (la badante e suo marito) sono diverse. Anche perché appartengono a ceti sociali differenti (mentre i personaggi di "About Elly" sono omogenei). Ma anche lo stesso Hojjat, apparentemente “cattivo”, irascibile, ha tantissimi lati umani, pur provando rancore quando scopre che la moglie va a lavorare a casa di un uomo che non è della sua famiglia. Un namahram, si dice in persiano. Non possiamo dire che questo personaggio abbia torto o ragione, Farhadi ne fa vedere il lato umano.

Ho fatto vedere la scena in cui Razieh chiama il mullah per chiedere se può curare il padre di Nader. Durante la proiezione, in molti non hanno capito di cosa si trattasse. Mi sono soffermata sul concetto di namahram, spiegando quali sono le persone che possono avere un contatto diretto - in questo caso i familiari della donna e i fratelli del marito. Nessun altro uomo può entrare in contatto con lei: il fatto è che doveva lavare l'anziano e cambiargli il pannolone. Essendo l'uomo vecchio e malato, non le è stato proibito. Il fatto che poi, al termine della sequenza, la figlia di Razieh aggiunga spontaneamente “non lo dico a papà”, secondo me dipende dal fatto che le due appartengono a una famiglia religiosa di ceto medio-basso della capitale. Molte cose che Razieh dice nel corso del film non posso essere totalmente capite, forse, dal pubblico italiano o occidentale. Ad esempio quando Nader la accusa di aver rubato del denaro da un cassetto, il modo in cui lei reagisce è tipico di una persona molto devota. Ho notato che nella traduzione italiana non sono riportate tutte le personalità religiose su cui lei giura, ma in ogni caso l'elenco è molto significativo. Inoltre, in diverse scene del film giurano sul Corano. È una cosa abbastanza comune in Iran, ma comunque ha il suo peso; quando si giura sul Libro Sacro bisogna essere molto sicuri. Questo la dice lunga sulla fede di questa famiglia, ma forse chi non conosce bene la realtà iraniana non coglie appieno la drammatica serietà di tali giuramenti.

Altrettanto interessante è la prima scena, in cui il regista inquadra i volti di Nader e Simin senza far vedere il giudice. Secondo me significa che aveva l'intenzione di concentrarsi sui personaggi e sulla coppia, mostrando le loro emozioni insieme, non prima dell'uno poi dell'altra, o viceversa. Credo però che il concetto di separazione assuma connotati più generali, al di là della storia della coppia principale. Anzi è proprio questo il tema centrale. Il film parla di separazioni tra le classi sociali, del conflitto che si produce tra Razieh e Hojjat; di varie separazioni che si stanno consumando a livello sociale all'interno del paese, sia tra persone religiose che non credenti.

Una separazione

Ne “Il cliente” è interessante l'inserimento del teatro – i protagonisti Emad e Rana sono entrambi attori - perché contribuisce alla sceneggiatura del film. Emad è una persona che recita anche giù dal palco. Infatti ha inizialmente un tono sostenuto, ma si spoglia di questa maschera al cospetto di una situazione grave e inaspettata che lo manda in collera.

Quando Emad rifiuta di mangiare il cibo comprato coi soldi del presunto stupratore, magari lo spettatore italiano può pensare che sia per una questione religiosa, ma non è del tutto vero. Infatti in Iran c'è molto la cultura dei “soldi puliti” e dei “soldi sporchi”, e questo si vede chiaramente anche  dal modo in cui le persone parlano. Per una persona che vuole guadagnare soldi per raggiungere onestamente un livello di vita appagante, la parola che si usa è nan-e halal, cioè pane halal, lecito. Il concetto di nan-e halal non ha solo a che vedere con il cibo: quando qualcuno dice di voler arrivare ad avere nan-e halal, significa che vuole conseguire uno status sociale rispettabile, che vuole arrivare a guadagnare denaro pulito.
Questo aspetto si può in qualche modo notare anche in “Una separazione”, quando la famiglia di Nader va a casa di Razieh per convincerla ad accettare il risarcimento. Nell'audio originale, Razieh usa il termine pul-e haram, con cui si intende il guadagnare soldi con un lavoro “sporco”. Ma in questo caso Razieh usa tale espressione per riferirsi alla sua menzogna rispetto all'aborto. Qui il concetto è più legato alla religione, a qualcosa di cattivo che potrebbe succedere se lei accettasse quei soldi. Spesso tradizione e religione si intrecciano e non è facile capire l'origine dei comportamenti; anche un iraniano non musulmano, o un musulmano non praticante, può avere degli atteggiamenti tipici, uguali a quelli di un connazionale musulmano osservante. È ovvio che questo non accade sempre, però alcuni aspetti della religione si sono talmente integrati nella cultura che non si riesce più a distinguerli. 

Farhadi e Shahab Hosseini sul set de Il cliente


Tornando invece a “About Elly”, una cosa che i miei compagni di scuola non hanno ben compreso è l'atteggiamento di Sepideh nei confronti del personaggio tornato dalla Germania, interpretato da Shahab Hosseini. Mi hanno chiesto: perché è così importante presentare le ragazze ai ragazzi? Ho notato che in Italia queste presentazioni formali non si usano più, mentre restano attuali in Iran; sono legate alla cultura tradizionale e non alla religione. Forse dipende dal fatto che gli uomini non si sentono ancora molto sicuri nelle relazioni amorose. È una cosa che ho notato anche tra i miei amici e familiari.









 


Pubblicato da Claudio Z. alle 08:33 Nessun commento:
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giovedì 23 gennaio 2020

Il Fajr cancella la cerimonia d'apertura, gli artisti si dividono



A seguito di una serie di boicottaggi annunciati dagli artisti, tra cui quello del veterano regista Masud Kimiai, il Fajr International Film Festival, la più importante kermesse cinematografica del paese, che si tiene annualmente a Teheran, ha annunciato l'annullamento della cerimonia di apertura prevista per il prossimo 1° febbraio. Come riporta il sito Al Monitor, la decisione è stata presa il 15 gennaio, ufficialmente in solidarietà con le famiglie delle 176 persone uccise dai missili che l'8 gennaio hanno abbattuto un aereo di linea ucraino.

Tra gli importanti attori che hanno anche deciso di boicottare il festival figura Payman Moaadi, il protagonista di "Una separazione". Altri nomi comprendono Pegah Ahangarani, Sara Bahrami, Maryam Bobani e Parastoo Golestani .

Varie compagnie teatrali internazionali, che avrebbero dovuto partecipare agli eventi collaterali del festival, si sono unite al boicottaggio [tra queste l'Odin Teatret di Eugenio Barba], così come altri artisti hanno preso iniziative analoghe.

Alcuni ambienti però hanno criticato duramente la scelta, come il giornale Kayhan, o l'attore Shahab Hosseini, il protagonista de "Il cliente", secondo cui il boicottaggio sta alimentando le divisioni nel paese.


Link all'articolo integrale in inglese:
https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2020/01/ranian-artists-boycott-fajr-festival.html#ixzz6BrYnWbdb


EDIT 139 artisti del cinema si sono schierati per il boicottaggio. Tra loro Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof e Ali Mosaffa. Intanto l'attrice Taraneh Alidusti è stata convocata in tribunale.
https://en.radiofarda.com/a/iran-s-annual-film-festival-on-verge-of-collapse-after-boycott-by-movie-stars/30392945.html?fbclid=IwAR2_mQAKO3yawpXQcedupDgsuDg4GTbKJKkBP4Dkwt3Ve5ujs8MODaO1VAo
Pubblicato da Claudio Z. alle 09:19 Nessun commento:
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giovedì 23 febbraio 2017

About Elly, Asghar Farhadi (2009)



Rivedendo il film che ha svelato Asghar Farhadi al pubblico internazionale, grazie ai premi ottenuti nei festival di ben quattro continenti, si possono trovare in nuce i temi che in seguito il cineasta non abbandonerà, su cui anzi insisterà in modo quasi accanito, palesando la necessità di aggiungere tasselli, complicare le vicende e portarle al parossismo. “About Elly” rimane più accennato, sospeso, anche per quella sua aura di ‘giallo’ che darà il via al fuorviante luogo comune di Farhadi sceneggiatore e regista di thriller mascherati.
Se infatti in “Una separazione” e ne “Il passato” lo spettatore è a conoscenza di una verità che deve rimettere costantemente in discussione, in “About Elly” insegue la risposta a un quesito: che fine ha fatto la protagonista? Cercandola, si confronta con le contraddizioni degli altri personaggi, più preoccupati di salvare apparenze e decoro che delle sorti di Elly (Taraneh Alidoosti).



Il quarto lungometraggio del regista è stato accolto ovunque molto favorevolmente, ma ha portato la croce della somiglianza con un grande film del passato, “L’avventura” di Michelangelo Antonioni. In effetti, le affinità non mancano. La trama [qui nel dettaglio] della pellicola di Farhadi si può sintetizzare nel modo cui accennavamo: una donna sparisce, probabilmente in mare, ma in modo misterioso; l’avvenimento conduce a una serie di reazioni da parte dei suoi compagni di escursione. Questa sintesi si adatta perfettamente anche al capolavoro di Antonioni; Elly sembra sovrapponibile ad Anna, entrambe stanno vivendo una crisi di coppia, tuttavia con dinamiche tali per cui ricoprono ruoli opposti.
Come profondamente diversi sono altri elementi. L'indole dei personaggi: intraprendenti gli iraniani, come a voler dimostrare la volontà di progresso, la ricercata maturità di un intero popolo, o quanto meno della sua avanguardia; indolenti e annoiati gli italiani. La risoluzione (o meno) dell’enigma. L'andamento della tensione drammatica: Antonioni la disinnesca, Farhadi la fa montare.

Inolte, se l'italiano attribuisce grande importanza ai luoghi che i personaggi attraversano e da cui vengono influenzati, il persiano confina i suoi anti-eroi in un ambiente isolato, distante dalla capitale da cui provengono. Sulle rive del Caspio, in un alloggio di ripiego e non di loro proprietà, i personaggi giocano quindi in campo neutro, ma la distanza dal cuore della società diventa l’occasione per rivelare tantissimo sulla società medesima e sulla mentalità tradizionalista dei suoi abitanti, i cui lati deteriori (maschilismo, falsità, egoismo), normalmente sopiti, si ridestano fino a esplodere al cospetto di una situazione incontrollata, ancor prima che tragica.
Non è propriamente esistenziale il dramma che emerge, è il lascito di una società ipocrita, immobile malgrado gli sforzi per progredire (la metafora finale, fin troppo esplicita, dell’auto impantanata).



Come altre volte - sempre d’ora in avanti - l’autore sceglie il punto di vista di un ceto medio istruito (quanti insegnanti nei suoi film!). Racconta, con coraggio e originalità rispetto al contesto, di separazioni o divorzi, ancor più atipici perché decisi dalle donne (qui i casi sono due). Riporta gli echi della vita vissuta dagli espatriati in un Occidente impervio e non mitizzato (la Germania è il luogo della separazione del personaggio interpretato da Shahab Hosseini). Fa dei bambini i testimoni/vittime della violenza non esclusivamente verbale dei grandi, che corrompono la loro innocenza inculcandovi la liceità della menzogna.

Tematiche che si faranno più marcate nei film successivi, compreso il recente e fortunato "Il cliente", ma che, anticipate in parte nei precedenti, sono racchiuse in toto nell’ottimo “About Elly”. Forse non con lo stesso livello di approfondimento, ma con una straordinaria coralità, resa possibile da una regia fluidissima nei movimenti di macchina, mai ostentati.




Cast di prim’ordine, con Golshifteh Farahani all’ultimo film in Iran. 



Pubblicato da Claudio Z. alle 00:10 Nessun commento:
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domenica 8 gennaio 2017

Il cliente, Asghar Farhadi (2016)


Archiviata la trasferta francese de "Il passato", in attesa di ripartire con destinazione Spagna per un nuovo progetto sotto l'egida di Pedro Almodovar, il premio Oscar Asghar Farhadi sosta a Teheran per regalarci un altro, straordinario affresco sulle relazioni umane osservate dal punto di vista della giovane borghesia intellettuale iraniana; nonché un atipico revenge movie.
Emad (Shahab Hosseini), insegnante dall'approccio moderno e progressista molto amato dagli studenti, e sua moglie Rana (Taraneh Alidoosti) vivono in un palazzo che sta crollando a causa degli scavi a scopo edilizio nel cortile di fronte. Si ritrovano costretti a evacuarlo in fretta insieme agli altri inquilini.
Entrambi sono anche attori teatrali alle prese con l'allestimento di "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller, in cui interpretano i protagonisti Willy e Linda Loman.
Il loro collega di palcoscenico Babak (Babak Karimi) li aiuta a trovare un nuovo alloggio, offrendo un suo appartamento. I coniugi però non sanno che la precedente inquilina era una prostituta, molto chiacchierata dai vicini. Un giorno Rana apre inavvertitamente la porta a un cliente della donna e subisce, in bagno, un'aggressione dai contorni non chiari. Mentre Rana rimane in stato di shock, nei giorni seguenti Emad raccoglie, con mezzi discutibili, gli indizi necessari per risalire all'uomo e fare giustizia in proprio, prima all'insaputa poi con la disapprovazione della moglie, consumando così una cieca vendetta.

Qualche coordinata

Il titolo italiano "Il cliente", che ricalca il "Le client" scelto dal distributore francese, ribalta il focus del titolo originale, che significa invece "Il venditore", in conformità al Salesman di Miller e con riferimento all'attività lavorativa dell'aggressore di Rana, Naser (Farid Sajjadi Hosseini).

L'arte di Farhadi affonda le radici, oltre che nei serial televisivi, proprio nel teatro di prosa, che il cineasta ha frequentato in giovane età in qualità di attore, regista, drammaturgo. Mai nascosta, questa origine era già evidente nell'impostazione di scrittura e regia dei film precedenti. Qui si traduce in un parallelismo, tutt'altro che scolastico, con la pièce americana.

Una novità è invece la citazione di un classico del cinema prerivoluzionario, "The Cow" (1969) di Dariush Mehrjui, proiettato in classe da Emad agli alunni. Farhadi, che nell'orazione funebre per Kiarostami ha ringraziato quest'ultimo per aver fatto conoscere il cinema iraniano nel mondo, sembra guardare a una stagione precedente, quella della prima nouvelle vague locale, che risale agli anni 60. Un cinema innovativo per l'epoca, ma più tradizionale rispetto a quello degli 80-90. Anche in questo caso, nulla che non emergesse da una visione attenta della sua filmografia. Un lato però interessante è che il richiamo a classici coevi è comune anche a un'altra pellicola recente, "A Dragon Arrives!" (2016) di Mani Haghighi, che omaggia ampiamente "Mattone e specchio" (1964) di Ebrahim Golestan (per altro nonno del regista). Che sia in atto una tendenza a ripudiare i padri e riscoprire i nonni?





Tornando a "Il cliente", è palese il parallelo con l'opera dello scrittore Saedi portata sul grande schermo da Mehrjui, che racconta di un uomo che impazzisce e si immedesima nella sua defunta vacca: "Professore, questa storia è vera?" "No, ma in un certo senso sì, le atmosfere e le tipologie di personaggi e le relazioni sono molto, molto vere". "Come si fa a diventare una bestia?" "Con il tempo". Chiaramente il dialogo a scuola, nei primi minuti di pellicola, anticipa metaforicamente l'imbarbarimento di Emad.

Più da interpretare il riferimento a "Morte di un commesso viaggiatore". Ci aiuta lo stesso Farhadi, prodigo di spiegazioni del suo film:  È un'opera di critica sociale su un periodo di storia americana in cui la brusca trasformazione urbana, la modernizzazione, ha schiacciato la parte di società che non è riuscita ad adattarsi. La New York di allora somiglia alla Teheran odierna: una città che cambia a ritmo vorticoso e abbatte ciò che è vecchio, palazzi al posto di frutteti e giardini. 
Possiamo aggiungere che le indicazioni di regia di Miller, rispettate nello spettacolo allestito nel film, sono volte all'abbattimento delle pareti tra un ambiente di scena e l'altro. In modo analogo, il film si svolge tra case che crollano - con Emad che, in un primo moto di giustizia fai da te, esclama che vorrebbe abbatterle e ricostruirle (ma Babak replica: "Il problema è che le hanno già buttate giù una volta, e questo è il risultato”) -, interni poco o affatto arredati, dialoghi su balconi o scale con vista sulla città.

Più chiari i riferimenti al dramma milleriano per quanto concerne la crisi dell'istituzione-famiglia e - collegamento a doppio filo - l'indossare pirandellianamente una maschera da parte dei rispettivi protagonisti, che alla lunga svelano comportamenti viscerali. Non a caso la scena madre che vediamo, poi sentiamo una seconda volta, è quella di Loman scoperto con l'amante dal figlio; rivelazione che marchia la psiche di quest'ultimo e di riflesso le sorti di tutta la famiglia. Nel film, un figlio è il grande assente: Emad rivela a Babak che dall'essere in due potrebbero diventare tre. Sembra una boutade, ma in seguito Emad pare viverla diversamente; inoltre, gli unici momenti di serenità e distrazione in famiglia, invero di breve durata, sono determinati dalla presenza di un nipotino, ospite per una sera.


Sessuofobia e censura, maschilismo e contrappasso


La consueta (nei film di Farhadi) complessità di personaggi e situazioni fa sì che il protagonista non sia l'unico a celare un'indole diversa dalle apparenze. Il discorso vale anche per Babak e a contrario per Naser, il quale, per stare alla metafora pirandelliana, vorrebbe tanto indossare di nuovo quella maschera che gli eventi gli hanno fatto togliere.
Le occasioni di imbarazzo e ipocrisia sono offerte dal convitato di pietra della vicenda, la meretrice senza nome che mai vediamo e a cui i personaggi si riferiscono utilizzando perifrasi ("questa tipa", "quella donna"). Per estensione, è la sfera sessuale repressa, in una società sessuofobica, che smuove gli eventi e che cambia la prospettiva dei personaggi e dello spettatore sui personaggi. Così, l'altruista e disinteressato Babak può sembrare un depravato, mentre il mostro Naser risulta un innocuo anziano amatissimo dalla famiglia, vittima di un'innocente debolezza (ma in fondo anche la prostituta parrebbe solo una povera donna con un figlio da mantenere).

Non sappiamo cosa sia successo esattamente nel bagno, anche perché la censura impone ai cineasti iraniani di non mostrare i contatti, potenzialmente passionali, tra uomo e donna (e Rana sostiene di aver sentito una mano sui capelli, ma nega a Emad che ci sia stato "qualcosa che non si può dire": riecco la perifrasi e l'autocensura). Così la conseguenza è che noi spettatori siamo partecipi di uno sviluppo drammaturgico che parte da un evento a cui non abbiamo assistito. A cui non potevamo assistere. Similmente, nello spettacolo l'amante sostiene di essere nuda, ma è per forza completamente vestita e questo genera l'ilarità di un altro attore. L'allestimento del "Commesso viaggiatore" provoca anche discussioni con le autorità governative.




Se la prostituta assente è il motore della prima parte del film, Emad si autoassegna il ruolo di demiurgo della seconda. Una persona benestante, istruita e colta (per i cinefili: si intravvede il dvd di "Uzak" su uno scaffale) reagisce in modo ultraconservatore, al limite della legalità (per le indagini approfitta del padre di uno studente che ha accesso agli archivi della prefettura), in modo sproporzionato (invade più volte l'altrui privacy), irascibile (diventa severo con gli studenti), ossequioso di precetti religiosi (getta il cibo comprato coi soldi sporchi di Naser), profondamente maschilista.

È Rana a subire l'affronto ed è lei che rifiuta di sporgere denuncia. Sappiamo che il diritto penale non tutela adeguatamente (per dirla con un eufemismo) le donne iraniane per i reati a sfondo sessuale. Ma è Emad che, in maniera retriva e tradizionalista, si sente disonorato, si preoccupa delle dicerie sul loro conto, in ultima istanza si arroga il diritto di decidere per la donna.
Di fronte a un colpevole di estrazione sociale più umile (il confronto tra ceti è altro tema tipico farhadiano), il giustiziere applica la tribale pena del contrappasso e sceglie il ludibrio privato in famiglia; come i vicini - siamo in una casa popolare - proponevano il ludibrio pubblico in strada. Emad perde ogni sovrastruttura di civiltà e si abbandona al moralismo reazionario, arcaico almeno quanto quello degli abitanti di quei palazzi che voleva distruggere; peggio, senza pietà per una persona che palesa anche evidenti problemi di salute, a cui anzi impedisce il soccorso medico. Un'involuzione agghiacciante, che il film tratteggia con complessità e credibilità magistrali.


I solisti

Senza nulla togliere alla sensibile Taraneh Alidoosti, il grande mattatore è Shahab Hosseini, che si dimostra molto versatile nell'interpretare altrettanto magnificamente un personaggio assai diverso dall'ignorante e umile, patetico e impulsivo Houjat di "Una separazione". Farhadi lo fa rendere sempre al meglio, anche se in altri film Hosseini è più trasformista ("Resident of the Middle Floor", sua anche la regia) o più virtuosistico ("The Painting Pool" di Maziar Miri). Con "Il cliente"  ha vinto il Prix come migliore attore a Cannes. Questo prestigioso premio non ha precedenti, nessun attore connazionale l'aveva ottenuto. Alla Croisette è stata premiata anche la sceneggiatura del film.

Indimenticabile è però anche Naser, interpretato con bravura e partecipazione da Farid Sajjadi Hosseini.



Discorso a parte per Babak Karimi, il cui personaggio è solo apparentemente secondario, in realtà complesso, emblematico e cruciale. Karimi si doppia da solo e cura i dialoghi italiani. In questo intervento a Hollywood Party, dal minuto 10, racconta i seguenti aneddoti sulla lavorazione del film:

- Il casting per i personaggi secondari è stato fatto sui social network: Farhadi ha chiesto ai suoi fan di inviare un video di tre minuti in cui si presentassero. I video pervenuti sono stati innumerevoli.

- Karimi ha avuto modo di leggere due sceneggiature complete alternative, prima della definitiva; con personaggi che poi sono spariti e scene de "Il commesso" talmente estese da far prendere in considerazione un allestimento teatrale vero e proprio dello spettacolo.









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