"I muri sono luoghi essenziali". Dapprima la rivoluzione del '79, vista attraverso i graffiti e le scritte sul cemento della capitale. La cacciata dello scià, il benvenuto a Khomenei, le scritte anti americane, contro chi sosteneva il dittatore e il suo regime carcerario. Pareti fittamente marchiate, netturbini che si affrettano a pulirle, rivoluzionari che vincono quando... sono più veloci loro con la vernice che i netturbini con la spugna. La rivolta come esplosione di parole e segni: contro la Savak, per i martiri e i prigionieri politici. Giornalisti stranieri intervistano il popolo, che dice di fidarsi solo delle scritte sui muri e da lì trarre le informazioni, non certo dai media di regime.
Poi il regime cambia, le vecchie scritte vengono corrette per la delusione di una rivoluzione tradita, che impartisce subito l'ordine di cancellare i graffiti. Tra i vari artefici della rivolta, sempre più disuniti, si instaura una guerra di parole. "Abbasso il maoismo, alleato della Savak e della Cia, abbasso l'imperialismo sovietico nemico dell'Iran", leggiamo tra le altre cose, sempre più anticomuniste, ma anche contro la minoranza curda, accusata di essere controrivoluzionaria.
Però c'è poco tempo per i regolamenti di conti, l'aggressione irachena cambia l'agenda. "La guerra cristallizza la morte nelle immagini". I santini dei martiri diventano preponderanti.
E infine l'urbanizzazione selvaggia della capitale degli ultimi decenni, nuove parole e disegni, a denunciare scempi vecchi e nuovi.
Dal mediometraggio che è costato a Keywan Karimi una condanna pesantissima, ci si poteva aspettare un pamphlet rabbioso e poco lucido. Invece "Writing on the City", documentario sui graffiti e i murales di Teheran, è un grande film, uno straordinario excursus sulla storia recente del Paese, vista da una prospettiva inedita. Parte da un ottimo lavoro di ricerca di immagini d'archivio delle diverse epoche, che manipola quel poco che basta per darne un'idea di dinamicità e soprattutto di profondità tridimensionale. Karimi non aveva fatto nulla di simile nei suoi film precedenti, se non in poche sequenze di "The Children of Depth", sulle carceri minorili.
Si vede che le scritte sono anche mal fatte, perché fatte di corsa. E perché - dice la voice over femminile - sono fatte dalla gente, non dagli artisti, e brulicano di collera e di odio. Ciò che da noi sarebbe bollato come imbrattamento, deturpamento, vandalismo, è invece espressione politica forte, anche quando confusa. Il regista invece ha le idee chiare e un controllo totale sulla materia, anche quando sfocia in un finale liberatorio, davvero situazionista.
Produzione iniziata nel 2012 e interrotta per l'arresto del regista seguito alla diffusione del trailer. Completata nel 2015. Nel 2017 "Writing on the City" è stato pubblicato per la prima volta in dvd, in edizione francese.
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