domenica 7 febbraio 2021

Fish & Cat (Shahram Mokri, 2013)



Classe 1978, laurea in cinema con specializzazione in regia alla Soore University di Teheran, Sharham Mokri è un autentico outsider della settima arte iraniana, di cui sta rinnovando la tradizione prerivoluzionaria rappresentata da un cinema di genere ma al contempo d'autore, il cui principale esponente è Masud Kimiai. Non a caso il rinomato "The Deer" del 1974 è omaggiato nell'ultima opera di Mokri, "Careless Crime".

È con il suo secondo lungometraggio, Fish & Cat (Mahi va gorbeh), che nel 2013 Mokri si affaccia alla ribalta internazionale, tornando da Venezia Orizzonti con il Premio speciale dopo aver stupito la platea, che non si aspetta un lavoro così insolito e geniale. Innanzi tutto si tratta di un horror (slasher), un genere che nel panorama persiano non è raro: è rarissimo. Curiosamente, negli anni successivi vi ci sono cimentati diversi registi iraniani, ma in produzioni estere (qui un esempio).

Ma ciò che lascia positivamente sbalorditi è la struttura del film: un'unica ripresa di 134 minuti, con incedere a passo d'uomo, che annulla ogni coerenza temporale mostrando le medesime scene più volte da diverse angolazioni, come se fossero successive a se stesse. Come in un'opera di Esher, dichiarata fonte di ispirazione del regista - anche sceneggiatore -, che ripeterà il prodigio tecnico e teorico con meno originalità nel successivo "Invasion".

Con la collaborazione di Mahmoud Kalari, uno dei più grandi e versatili direttori della fotografia iraniani, e del resto della troupe, Mokri ha provato con gli attori per un mese il suo perfetto meccanismo geometrico non euclideo, filmato nelle regioni del nord del paese, in riva al Caspio.

Le didascalie iniziali annunciano che si tratta di una storia vera, accaduta nel 1998. Dopo la scomparsa di alcuni studenti nella zona, un ristorante è stato chiuso per "violazione del codice sanitario" e i gestori arrestati con l'accusa di servire carne non commestibile, probabilmente umana. In questo modo l'incipit anticipa l'orrore, cui non assisteremo mai coi nostri occhi (magari anche per comprensibili ragioni di autocensura che, come spesso accade, contribuiscono al fascino della pellicola), ma di cui saremo sempre allertati. Al contempo, lo spoiler toglie mistero e ci consente di concentrarci anche su altri aspetti dell'opera.

Di certo, ci accorgiamo da subito di quanto siano inquietanti e minacciosi i due ristoratori interpretati da Babak Karimi e Saeed Ebrahimifar. Il film si chiama "Pesce e gatto" - dal nome dei due aquiloni della vittima e dal testo del brano che una band suona nel finale - tuttavia i due personaggi mi hanno ricordato iconograficamente il Gatto e la Volpe di alcuni adattamenti cinematografici di "Pinocchio". 

Ma procediamo in ordine cronologico (almeno nella recensione!). Un ragazzo scende dall'automobile con cui, assieme ai suoi amici, sta andando a un'esibizione di aquiloni sul lago. Si avvicina al ristorante, che esala un puzzo di carne rancida, per ottenere indicazioni stradali da Babak. Questi, piuttosto che rispondere puntualmente, gli chiede i documenti e fa una sorta di interrogatorio. Quindi, a parte, conviene con il socio che sia più prudente lasciare andare i giovani. I due ristoratori si addentrano nell'adiacente foresta, l'uno con un sacchetto contenente carne sanguinolenta, l'altro con una tanica in cerca di benzina.

Tra il bosco e il campeggio dei ragazzi in riva al lago si produce il loop temporale per cui assistiamo, più volte: alle discussioni tra i due soci sulle torbide vicende del collaboratore Hamid; alla vicenda del padre di Kambiz, tuttora ossessionato dal suo amore di gioventù; al censimento degli aquiloni, con Parviz che non trova la lampada per illuminare il suo, mentre invece Parvaneh ha perso i sui compact disc. Ci imbattiamo in due misteriosi gemelli vestiti uguali, uno privo del braccio destro, l'altro del sinistro, e in altri personaggi con strane storie da raccontare. Seguiamo il confronto tra i ristoratori e la guardia Asadi su una perdita d'acqua che allaga il locale e sulle trappole disseminate un po' ovunque. Ci spaventiamo quando una ragazza segue Babak nella foresta, e per le calzature che spuntano seminascoste dalle foglie.




Nel tortuoso, ciclico ripetersi con variazioni della trama, la cinepresa talvolta abbandona un personaggio per seguirne un altro, anche in lunghe camminate che corrispondono a cali drammatici talvolta un po' lunghi ed estenuanti, che preludono però a una nuova crescita della tensione. Il commento musicale di Christophe Rezai, a prevalente base di archi, ha la stessa funzione ed è piuttosto convenzionale, ma molto efficaci sono le sovrapposizioni sonore, ad esempio con la "Sonata al chiaro di luna" di Beethoven o "50mila" di Nina Zilli. Il sound design è a cura di Parviz Abnar.

Dalla situazione di stallo, determinata dal cortocircuito temporale, si esce solo negli ultimi minuti grazie alla comparsa di due nuovi personaggi, Hamid e Maral. Rispettivamente, il carnefice e la vittima. Si approda così al magnifico finale con Maral che racconta in voice over e al passato la propria morte, mentre una band suona dal vivo la "title track" e gli aquiloni aleggiano sopra lo specchio d'acqua.

Possiamo speculare liberamente sul fatto che i vari frammenti di racconto siano prodotti dell'inconscio, elucubrazioni mentali dei personaggi. Questi ultimi però appaiono per lo più come pedine al servizio di progetto d'insieme, senza spessore psicologico, se non nel toccante incontro tra Parviz e la sua vecchia fiamma che ora vive a Lione, è sposata ed è incinta; egli è al corrente delle novità perché la segue in incognito su Facebook (che in Iran è bloccato, ma raggiungibile tramite una VPN).




Per una analisi esaustiva sulle acrobazie intellettuali del film rimando al blog di Mohammad Vahdani, in persiano ma ben comprensibile anche in traduzione automatica. Mi sento invece anch'io di escludere, con Antonello Sacchetti, una lettura dell'opera come metafora politica delle difficoltà dei giovani iraniani.

Amato ovunque dai cinefili più curiosi, "Fish & Cat" mi risulta essere stato distribuito in patria senza tagli (del resto eliminare qualche scena avrebbe significato snaturarlo, essendo privo di montaggio) ed è celebrato come un  esempio di cinema nazionale giovanile cui guardare per emanciparsi da vecchi modelli. Infine, è stato meritatamente votato nel nostro sondaggione come uno dei migliori film iraniani del decennio passato.








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