Report pubblicato su Ondacinema il 30/03/2013.
Da Teheran a Milano. Incontro con Abbas Kiarostami
A Milano per un workshop allo Ied, il grande regista persiano ha parlato con il pubblico del suo film giapponese "Qualcuno da amare", a breve sui nostri schermi, e del suo metodo di lavoro. Sul palco con lui Piera Detassis e Silvio Soldini, presente in sala anche il direttore della fotografia Luca Bigazzi. Riportiamo pressoché integralmente l'intervento di Kiarostami
L'idea di questo film mi è venuta a diciassette o diciotto anni fa a Tokyo, dove ho visto una ragazza molto giovane vestita da sposa. Ho chiesto chi fosse, mi hanno risposto che era una prostituta. Intorno a lei tutti gli uomini, uomini d'affari, erano vestiti di nero, lei di bianco. Io sono anche un fotografo, non della società ma delle immagini che mi colpiscono. Se quel giorno avessi avuto la mia macchina fotografica, avrei catturato quella immagine e non avrei avuto l'esigenza di fare questo film. Così non è stato, e da allora ogni anno che sono tornato a Tokyo mi è venuta voglia di girarlo. Quando mi sono deciso, la legge che imponeva alle prostitute di vestirsi in un certo modo era stata abrogata: ora si trovano nei bar. vestite come ragazze normali.
Non so se capita anche a voi, ma c'è sempre una sequenza del film che amo particolarmente, e che vorrei realizzare. La sequenza che avevo in mente, in questo film non c'è. Il motivo - che non sapevo - è che in Giappone non esistono le piazze. Io avevo in mente uno spazio scenico di quel tipo, ma non ho trovato una piazza, né a Tokyo, né in un altro luogo in Giappone. (Qui c'è una studentessa giapponese che può confermare... grazie, avevo bisogno di altre conferme). Allora ho accantonato l'idea del film. Poi ho cambiato idea, e ho ripiegato su una colonna con un semicerchio. La sequenza che era il nucleo della mia idea - quella con la ragazza e la nonna - ho dovuto "spezzarla", anziché girare un piano-sequenza. Credo che sia stata la sequenza più difficile della mia vita, perché ho dovuto far sembrare che ci fosse movimento.
Pensavo di avere familiarità con la cultura di quel paese, non era così. Anche se con lo staff ho lavorato benissimo, è stata molto dura. C'è una signora, la signora [Teruyo, n.d.r.] Nogami, che ha fatto da assistente per più di cinquant'anni a [Akira, n.d.r] Kurosawa. Un giorno mi ha chiesto: "Come stai?" Ho risposto: "Non bene, ho problemi alle ginocchia perché ho dovuto girare alcune sequenze sdraiato". Ma c'era dell'altro, e infatti la signora mi ha detto: "Conosco la sensazione: Kurosawa, quando era in Russia per girare "Dersu Uzala", ogni notte piangeva per la nostalgia". "Beh, io per fortuna non piango ogni notte. Piango un giorno sì e un giorno no". Nonostante i giapponesi siano meravigliosi, pensavo bastasse togliersi le scarpe per entrare in casa per assimilare la loro cultura. Non è stato così.
Visto che non si trovano piazze, ho deciso di girare una sequenza in una cittadina a 400km di distanza, buia, vuota. Mi hanno mandato duecento comparse e mi hanno illuminato la parte che dovevo filmare. Il sindaco era un mio fan e mi è venuto incontro. Alle 9.30 le luci si sono spente. Abbiamo aspettato un po', perché pensavamo a un guasto ma, interpellato il sindaco, ci ha detto che quella era la legge. Avevamo lavorato solo per un’ora e mezza. Lo dico anche perché Luca [Bigazzi, n.d.r.] è qui. Un giornalista mi ha chiesto perché ho scelto l'Italia per due miei film ["Copia conforme" e un episodio del film collettivo "Tickets", n.d.r.]. L'ho fatto da un lato perché c'è somiglianza tra le nostre due culture. Dall'altro perché Il cinema va d'accordo con la legge. A Lucignano tutto il paese era a nostra disposizione. L'Italia è il paese del cinema, permette spazi molto più aperti. Dico agli studenti del cinema che se escono fuori dall'Italia avranno grossi problemi.
Immagine da Qualcuno da amare |
Non so se avete letto quanto riportato da diversi giornali, ovvero che io farò un film in Sicilia con protagonista Robert De Niro. Ecco, io non ne so niente.
Non è vero che io non usi la sceneggiatura, io le uso, e sono molto strutturate. Solo che non le do agli attori, nessuno di loro ha una sceneggiatura in mano. Questo non vuol dire che le mie sceneggiature siano definitive, le rivedo nel corso del film. A volte gli attori mi portano in situazioni che non avevo previsto, e io elimino pagine intere di sceneggiatura e ne aggiungo altre, facendole tradurre se necessario. Perché non le faccio leggere? Perché è meglio non sapere cosa succede domani, certe volte. I non professionisti hanno una grande fiducia in me e non serve che sappiano cosa dovranno fare, come noi non sappiamo cosa succederà domani.
Ho scelto l'attore principale tra le comparse. Prima ho pensato ad alcuni professionisti che avevano lavorato con Kurosawa e ad altri attori famosi, ma mi sembravano overact, troppo presenti. Uno di loro, il signor [Tatsuya n.d.r.] Nakadai mi ha detto: Sono cinquant'anni che recito davanti alla macchina da presa, come puoi chiedermi di essere naturale, di smettere di recitare? Gli ho chiesto di mettere una mdp davanti a sé e di essere se stesso, di registrarsi, e di dirmi poi se ci riusciva. Mi ha risposto che ci provava ogni giorno e che faceva vedere le riprese alla signora Nogami. Alla fine la signora gli ha detto di smettere, perché si stava ammalando a furia di non riuscire a essere naturale. A quel punto ho trovato il protagonista tra le comparse, è un signore di 84 anni; ma non gli ho detto che era il protagonista. Mi ha detto: "sono cinquant’anni che faccio la comparsa e non ho mai detto una parola". "Comincia adesso, si tratta solo di poche battute", gli ho risposto. Eravamo quasi a metà del film quando si è accorto che il ruolo era un po' più importante.
Dunque il regista deve sempre ingannare? Non mi sento di dare una sentenza così dura, diciamo che se inganno il mio attore non mi sento in colpa. Nella vita, se qualcuno mi inganna, ma questo inganno non mi danneggia, io sono ben contento. Qualche volta abbiamo bisogno di essere ingannati per cambiare qualcosa nella nostra vita. Per Bernardo Bertolucci il regista è un serial killer? Per me ha in mano un bisturi, che gli serve per tagliare, non per uccidere. Taglia per dare la vita, non per toglierla.
Tornando all'attore protagonista, è un personaggio che mi ha incredibilmente influenzato al di fuori del film che abbiamo realizzato. Penso che quando non ci sarà più non ci sarà nessuno come lui, una persona responsabile, eticamente rigorosa. Mi dispiace che non avete visto il film, io non vedo l'ora di vedere il film in italiano perché mi piace la lingua italiana e non vedo l'ora di vedere queste persone parlare in italiano.
Fino a poco fa non mi piaceva il doppiaggio, ma adesso mi piace. Quando leggete i sottotitoli non riuscite a vedere lo sguardo dell'attore. Perché io guardo agli occhi delle persone quando voglio "ascoltarle", capire quello che hanno dentro, e se leggo i sottotitoli non posso farlo. I cinefili non amano il doppiaggio perché amano sentire la voce originale. Ma ditemi, nel cinema cosa c'è di originale? Cambiamo i nomi, cambiamo le professioni, le case, cambiamo la loro vita, cambiamo i loro amanti. Tutto è finzione. Cambiamo i loro vestiti. Non c'è nulla di originale nel cinema, è tutto ricostruito. All'inizio non ero favorevole al doppiaggio, ma man mano che passano gli anni ho capito che il doppiaggio ci aiuta a capire, ad avvicinarci al film. Ovviamente, chi ama l'audio originale può rivedere il film in lingua originale. Ma proprio adesso, in questo momento, noi non viviamo un rapporto originale: posso chiedere alla traduttrice di smettere di tradurre e vediamo quanto va avanti il nostro rapporto. Il doppiaggio è brutto, ma dobbiamo abituarci al compromesso. Leggere un libro in un film, non va bene; non andiamo a leggere un film, andiamo a vedere il cinema.
Come faccio a lavorare con attori che non parlano la mia lingua? Questa è un'eccellente domanda. Se tu [Silvio Soldini] non avessi fatto quell'esperienza ["Brucio nel vento", recitato all'80% in ungherese], non potresti capire. Io ho avuto un'altra esperienza in Italia... Sapete, il lavoro del cinema è un lavoro collettivo, purtroppo. Siamo abituati a sentire una voce e vedere un immagine, quando guardiamo un attore. La nostra esperienza ci ha fatto capire che in questo lavoro di gruppo, possiamo lasciare una parte del lavoro a qualcun altro, come sto facendo io adesso. Sicuramente avendo fatto questa esperienza sai che quando un attore dice qualcosa non parla solo con le parole, parla anche con tutto il viso, con il suo sguardo. E io, siccome so quello che deve dire, mi accorgo quando quello che dice non corrisponde a quello che esattamente io voglio. Perché dalla mimica, e soprattutto dallo sguardo, dagli occhi, riesco a capire se veramente sta trasmettendo quello che io avevo chiesto di trasmettere. A questo punto io lascio questa parte del lavoro all'interprete, mi fido, e mi concentro sull'immagine, cerco di contribuire a quello che l'attore deve esprimere con l'immagine e lavorando sull'espressione. Se io non avessi avuto totale fiducia nel mio interprete, non avrei mai fatto questa esperienza. Quando vedrete il film, cercate di capire se quello che l'attore dice corrisponde a quanto esprime la sua espressione.
Di solito la prima ripresa è quella che preferisco, se gli attori si esprimono in maniera naturale. Mediamente ne giro due o tre, solo le scene più importanti ne richiedono di più.
Perché ho scelto il cinema come mezzo di espressione? Non lo so; io volevo diventare un pittore...
Spero che tutti voi andrete a vedere il film, quando uscirà. Il film precedente, "Copia conforme", ha avuto meno spettatori dei presenti in questa sala. Conto su di voi.
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