ALLE RADICI DEL CINEMA
Già nei titoli di testa "Salaam Cinema" di Mohsen Makhmalbaf mostra i suoi intenti. Un cameraman siede su una macchina in corsa e riprende una folla riunita attorno agli studi cinematografici dove, di lì a poco, si terranno dei provini per un nuovo film del regista iraniano [Immagine 1]. Realizzato nel 1995, "Salaam Cinema" è il manifesto ideologico di Makhmalbaf con cui, attraverso la pratica del casting, dichiara le sue posizioni riguardo il cinema. A provinare è il regista in persona accompagnato dalla sua troupe. Il primo tema trattato è quello della finzione cinematografica. Un ragazzo finge da giorni di essere cieco nel vano tentativo di (con)fondersi nel personaggio. Ma all’occhio sensibile del regista nulla passa inosservato e con una freddezza disumana scaccia via il giovane. La sua messinscena è già di per sé cinema quindi non ha bisogno di essere registrata.
Sono in tanti a tentare la sorte, chi spinto dalla curiosità e chi per gioco. Il cinema affascina il popolo, lo ammalia e lo inebetisce portandolo a compiere anche azioni irragionevoli. Basti pensare alla scena iniziale in cui, aperti i cancelli, si scatena un pandemonio. Per assicurarsi i primi posti nei provini, la folla avanza travolgendo tutto ciò che ha davanti, donne, bambini. Si contano addirittura i feriti. Il desiderio di essere faccia a faccia con Makhmalbaf rende gli uomini ignari del pericolo. Ai casting ci sono proprio tutti dal Paul Newman persiano ai cantanti improvvisati ma anche chi, dopo aver sperimentato la cinepresa, vorrebbe tornare a casa e dimenticare l’esperienza. Ed è proprio a questo punto del film che comincia un lungo discorso moralistico sulla figura attoriale. Makhmalbaf è fermamente convinto che una buona recitazione implichi disumanità e freddezza. L’attore ideale, perciò, è quello che, attraverso un processo disumanizzante, preferisce la finzione all’umanità. Viene stabilito una sorta di patto col diavolo la cui clausola principale prevede l’abbandono incondizionato e masochistico al suo padrone. Si avvera così la parabola del suicida, di chi inquina la propria anima ed è disposto a prostituirla per i sollazzi del pubblico. Chi accetta questo deve soccombere alla dittatura di Makhmalbaf. Svelata la sua natura da giudice intransigente e severo, il regista iraniano insiste sin da subito sul pianto. A tutti i ragazzi provinati viene chiesto di piangere in pochi secondi. Chi non riesce può anche andare via. Non vi è nessuna pietà. A contrastare le idee del regista però ci sono le parole di due ragazze secondo cui è possibile trovare un compromesso tra il continuare ad essere se stessi ed il recitare. Non è detto che tutto il cinema debba essere crudele.
Salaam Cinema è un’opera preziosa per comprendere l’ideologia di Makhmalbaf e si pone come un compendio sulle percezioni che il pubblico ha del cinema. In più, contiene la testimonianza dell’attore Zaynalzadeh che rivela quale fu la sua preparazione per interpretare il protagonista de "Il ciclista" del 1987. Zaynalzadeh racconta di aver risposto ad un avviso su un giornale in cui vi era un annuncio di casting per un nuovo film di Mohsen Makhmalbaf [Immagine 2]. Provinato, fu ritenuto il migliore per il ruolo di Nasim, un povero rifugiato afgano. Pur di averlo nel suo film, Makhmalbaf lo attese per un mese, il tempo di guarigione previsto per la frattura alla gamba che si era procurato. In aggiunta, gli fu chiesto di dimagrire di 18 kg. Che il sacrificio e la dedizione di Zaynalzadeh siano d’esempio. Ma ne varrà la pena? Non vi è risposta.
Immagine 2 |
Immagine 3 |
Il lungometraggio di Makhmalbaf parla di cinema ma non vuole essere assolutamente un saggio teorico quanto un esperimento in fieri, un film che sveli i meccanismi che rendono possibile il cinema. Nell’incredulità generale, il filo che lega la realtà alla finzione è reciso e non resta che sorridere per il grande pubblico ed augurarli una lieta visione [Immagine 3].
Articolo di Alessandro Arpa
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