Alla prima trasferta giapponese, Kiarostami si cala nella cultura locale in punta di piedi, senza operare sostanziali variazioni stilistiche rispetto al cinema che gli è più congeniale e affidandosi al punto di vista di uno dei tre personaggi principali: il professor Watanabe, interpretato da Tadashi Okuno, non professionista che ha fatto per cinquant'anni la comparsa senza pronunciare un parola, e che si ritrova a ricoprire un ruolo di primo piano a quanto pare a sua insaputa.
Dietro il volto di un anziano professore in pensione che si è occupato di sociologia e che ancora lavora come traduttore e conferenziere non è difficile intravedere la prospettiva di un affermato cineasta alle prese con l'autunno della propria carriera e con un soggetto - invero esile, debolissimo - che non padroneggia a dovere a causa della distanza culturale e generazionale che lo separa dalla location (poco conta un precedente mediometraggio dedicato a Ozu) e dagli altri due personaggi principali, una studentessa che si prostituisce e il suo irascibile fidanzato - un giovane meccanico - il più complesso e meno decifrabile del trio.
Tutto si svolge in meno di ventiquattro ore, la pellicola divisa in due parti di pressoché ugual durata. La prima notturna, la seconda alla luce del sole, con ambientazione costantemente in interni, siano essi quelli di un appartamento, siano quelli di un abitacolo tipicamente kiarostamiano. Anche i controcampi delle sequenze in automobile sono soggettive dall'interno della vettura. Ed è qui che il regista, affidandosi per non rischiare al proprio inconfondibile mestiere, si dimostra maggiormente a suo agio e crea momenti di indubbia suggestione (grazie anche ai giochi di luce di Katsumi Yanagijima, sulla falsariga di quanto fatto da Luca Bigazzi in "Copia Conforme"). È davvero un piacere ritrovare quei sottilissimi giochi di sguardo che rimandano al Kiarostami migliore, momenti perduti nelle opere recenti (inedite da noi) del cineasta, ultimamente alla ricerca di un linguaggio maggiormente sperimentale ed esasperato (si pensi all'uso sistematico del fuori campo, che qui è invece solo uno stilema all'interno di una gamma più articolata). Ma anche in "Copia conforme", vicenda di una coppia adulta priva del punto di vista del "terzo incomodo" che qui ritroviamo, e lavoro ben più intellettualistico di quest'ultimo, mancavano quelle reiterate interpellazioni dell'adulto rivolte al bambino o all'adolescente (e allo spettatore) che hanno fatto grande il cinema del Kiarostami più celebrato.
Ma al di là del senso di "déjà vu in altro luogo", che queste sequenze pur buone restituiscono, le note dolenti riguardano praticamente tutto il resto. Dicevamo di un soggetto inconsistente, sceneggiato in maniera altrettanto risibile, tra sospetti anacronismi (possibile che in Giappone si usino ancora così tanto le segreterie telefoniche?) e fiacche trovate tappabuchi (ad esempio la barzelletta sui millepiedi). Da chi ha realizzato copioni di estrema efficacia per sé e per i propri allievi non possiamo accettare una storiella improbabile e poco sviluppata, e un finale tranciante, di maniera, decisamente più irrisolto che sanamente aperto.
Distribuito da Lucky Red dopo quasi un anno dalla presentazione a Cannes 2012, e con un titolo italiano che annulla il riferimento al brano jazz "Like Someone in Love", "Qualcuno da amare" è indicato solo per pochi fan irriducibili che ancora non si rassegnano al declino di uno dei maggiori artisti contemporanei. E che magari, se non grideranno al capolavoro, daranno la colpa alla lontananza dall'Iran.
Pubblicato su Ondacinema il 25/04/2013
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