lunedì 10 settembre 2018

As I Lay Dying, Mostafa Sayari (2018)

Ancora un film iraniano a Venezia Orizzonti, ancora un indagine (non poliziesca) intorno a un cadavere: hanno qualcosa in comune il fortunato film del 2017 "Il dubbio - Un caso di coscienza", e "As I Lay Dying" (Hamchenan ke Mimordam), opera prima di Mostafa Sayari liberamente ispirata all'omonimo romanzo di William Faulkner.




Di un ottantenne appena deceduto sappiamo quanto ci raccontano i quattro figli Leila, Siamak, Ahmad e Majid, cioè che era odiato pressoché da tutti e che non si fidava di nessuno, tranne che dello stesso Majid, nato da madre diversa rispetto ai fratellastri; che negli ultimi tempi era impazzito e che nel testamento ha richiesto di essere sepolto in un paesino ignoto, raffigurato in una fotografia sbiadita. I quattro caricano il cadavere in auto e si avventurano in un viaggio verso questa meta indefinita; man mano lo spettatore e, parallelamente, il burbero Ahmad, raccolgono ciascuno elementi diversi per nutrire il fondato dubbio che sia tutta una macchinazione di Majid.

Come ormai di consueto per i film iraniani visibili all'estero, sono più le cose che si scoprono che quelle che accadono. Ma questo road movie crepuscolare, che ricorda il cinema dell'habitué del festival di Berlino Mani Haghighi ("Modest Reception", "A Dragon Arrives!") ha il pregio di non scoprire tutte le carte, mantenendo una tensione latente mai destinata a esplodere sul serio, e un preciso alone di mistero. I silenzi, i sussurri, le rievocazioni nostalgiche accennate soltanto e prive di retorica, celano un lato macabro, con il cadavere che gradualmente si decompone, inquadrato raramente e quando nessuno se lo aspetta.

Ci sarebbero poi antiche ruggini, ostracismi sociali, drammi familiari: rimangono però in superficie; banale è l'allucinazione di Majid che si rivede bambino, inconsistenti sono i personaggi di Siamak e Leila. La forza del film è solo nelle suggestioni che sa evocare. Ma è palpabile.











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