giovedì 11 luglio 2019

L'isola di ferro, Mohammad Rasoulof (2005)



Mohammad Rasoulof è un regista con sottovalutate ambizioni autoriali, che dialoga sia con i colleghi del proprio paese sia con i maestri del cinema internazionale. Non molto prolifico già prima dell'arresto e delle vicissitudini giudiziarie, ha attraversato una breve fase in cui i film palesavano un gusto per i colori e le allegorie, per poi virare verso un cinema più diretto e cupo.

Nella fase di maggior impatto cromatico rientra "L'isola di ferro" (Jazireh ahani, 2005opera seconda e unica distribuita in Italia, che ricorda nello stile il cinema persiano del decennio o ventennio precedenti, ma il cui soggetto può rimandare in qualche modo a "Underground" di Emir Kusturica, forse citato nella sequenza di un parto al buio illuminato a intermittenza da un generatore.

Un'intera, per quanto piccola, comunità vive all'interno di una petroliera ancorata nel Golfo Persico, che però lentamente affonda e dovrà essere evacuata. Nel microcosmo si riproducono i classici meccanismi sociali, alcuni universali, se è vero che i bambini studiano in una classe mista, gli operai sgobbano mentre qualcuno fa affari, altri più legati, nella similitudine, alla realtà della Repubblica Islamica, come nella storia d'amore ancora osteggiata dalle famiglie, o soprattutto nel tema ricorrente per Rasoulof, che gli dedicherà anche il delizioso documentario "Head Wind", della passione proibita per le televisioni estere, captate attraverso antenne paraboliche. 

Il mondo immaginato dal regista è governato da un capitano che ha il nome evocativo di Nemat ed è interpretato da Ali Nasirian, uno dei più grandi attori persiani di sempre. Nemat comanda con fare paternalistico, ma giunge infine a disporre della vita e della morte di un ragazzo che potrebbe abbandonare la nave, in una sequenza che sembra uscita da "Sonatine" di Takeshi Kitano, insistita oltre i limiti di sostenibilità, che tramuta in definitivo un giudizio fin lì sospeso sulla realtà descritta e sull'incapacità di reazione alle crudeltà del popolo che ne è testimone.



Scene di tortura torneranno drammaticamente nel realistico "Manuscripts Don't Burn", film clandestino sulle persecuzioni degli scrittori iraniani dissidenti.

"L'isola di ferro" rimane invece ancora entro i limiti fissati dalla censura, sprigionando metafore non didascaliche e abbagliando con immagini di grande efficacia scenografica. Il tutto al servizio della narrazione e non di un'estetica fine a se stessa.
Memorabili alcuni personaggi, come il baby pescatore.

Per Taste of  Cinema, è uno dei migliori film iraniani di questo secolo.




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