Non è solo il tema del capolavoro di Abbas Kiarostami, "Il sapore della ciliegia", unica Palma d'oro approdata in terra di Persia: vero o fittizio, minacciato o simulato, sospetto o pianificato, tentato o effettivamente commesso, il suicidio è un inquietante leimotiv che accompagna da sempre il cinema iraniano d'autore e i suoi autori più prestigiosi.
Difficile spiegarne il motivo, in un paese con un tasso di suicidi non particolarmente elevato. I film non parlano di attentati, di jihadismo terrorista; i protagonisti non vogliono commettere uno dei peccati più gravi per l'Islam.
Di certo non si tratta banalmente, o esclusivamente di una reazione politica contro gli ayatollah, se è vero che si apre con un suicidio uno dei film che segnano la nascita della Nouvelle Vague persiana: "Gheisar" di Masoud Kimiai, opera del 1969, dieci anni prima della Rivoluzione. La giovane Fati si toglie la vita poiché disonorata da un uomo, assecondando la cultura retriva della sua famiglia per cui la morte autoinflitta è meno grave del disonore.
La giovane Fati soccorsa invano, in Gheisar |
Ma ancor prima, nella realtà, si era ucciso a Parigi il più celebre scrittore di prosa del '900 iraniano, Sadegh Hedayat. Il suggestivo documentario "Talking with a Shadow" di Khosrow Sinai tratteggia la sua figura.
E casualmente molti dei maggiori cineasti, di diverse generazioni, affrontano il tema all'estero, forse perché in patria il Ministero della Culura e dell'Orientamento Islamico vieta i film che illustrano attività pericolose e criminose e mostrano scene di violenza e tortura. L'emigrato Sohrab Shahid Saless ne parla in Germania, nel suo ultimo film "Roses of Africa", Asghar Farhadi nella trasferta francese de "Il passato", in cui la moglie di uno dei protagonisti è in coma dopo aver provato a uccidersi.
Appena oltre confine, nei teatri di guerra rispettivamente afgano e iracheno, operano invece Mohsen Makhmalbaf con "Viaggio a Kandahar", in cui una giornalista giunge dal Canada in soccorso a sua sorella che ha minacciato di suicidarsi programmando anche la data, e Bahman Ghobadi con "Turtles Can Fly", che come "Gheisar" si apre con l'insano gesto.
Tre volti |
Per arrivare ai giorni nostri, in "Night Shift" di Niki Karimi la storia si sviluppa intorno a una donna sospettosa che il marito voglia farla finita, mentre in "Tre volti" Jafar Panahi insegue le tracce di una ragazza che ha filmato la propria (presunta) impiccagione. Ma già "Oro rosso" iniziava e terminava con il suicidio di un rapinatore.
Quale che sia la ragione, gli esempi sono così tanti, e legati a personalità e film di tale importanza, che non può essere una pura coincidenza. Alcuni li abbiamo anche omessi, chissà quanti ci sfuggono. Peraltro, di quanto fosse ricorrente l'argomento si è a suo tempo accorto anche il vignettista Mahmoud M, che tra i suoi satirici "Nove ingredienti per un film iraniano da festival o da corsa agli Oscar" ha inserito: suicidio dovuto ad afasia e noia.
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