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sabato 2 marzo 2019

Gheisar, Masoud Kimiai (1969)

Il 1969 segna di inizio della Nouvelle Vague iraniana, anticipata dai lavori pioneristici della casa di produzione di Ebrahim Golestan. Nel '69 escono da un lato "The Cow" di Dariush Mehrjui, che guarda più alle scuole europee, dall'altro "Gheisar" di Masoud Kimiai, che modernizza il tradizionale persiano tough-guy movie (film con protagonista il 'duro' del quartiere), sottogenere del commerciale filmfarsi.






La pellicola di Kimiai, tra le più importanti del cinema prerivoluzionario e tra i più grandi successi di sempre in Iran, ha la trama di un revenge movie fortemente intriso di connotazioni morali, intorno al tema dell'onore leso.

La giovane Fati si suicida dopo essere stata violentata e messa incinta da un uomo che si rifiuta di mantenere la promessa di sposarla. Suo fratello Faarman (Naser Malek Motiee), che dopo il pellegrinaggio alla Mecca non è più la testa calda di un tempo, si propone di vendicarla, ma viene ucciso dai parenti dello stupratore. Di ritorno da un viaggio di lavoro, l'altro fratello Gheisar (Behrouz Vossughi), nonostante la contrarietà della sua onesta e rispettabile famiglia, decide di eliminare, uno per uno, i tre responsabili degli eventi accaduti, anche a costo di rompere il fidanzamento con A'azam, la ragazza di cui è profondamente innamorato, in questo modo disonorandola.

L'ottima regia di Kimiai migliora una storia piuttosto convenzionale, soprattutto grazie ad alcune sequenze fortemente scenografiche, che corrispondono principalmente ai fatti di sangue. La prima vendetta di Gheisar si consuma sotto una doccia dei bagni termali pubblici; una chiara citazione di "Psyco", ma priva di commento musicale. La seconda è in una macelleria, con una similitudine esplicita. La terza è anticipata da un sottofinale significativo e altrettanto suggestivo e riuscito: dato l'addio ad A'azam, Gheisar rintraccerà la sua preda (in un deposito ferroviario in cui sarà braccato dalla polizia) grazie alla conturbante ballerina Soheyla (Shahrzad), che la notte prima dello scontro lo ospita a casa, dopo essersi esibita in un provocante numero di canto e danza, tipico del filmfarsi. La sequenza si conclude con il protagonista che pare non cedere alla seduzione, essendo concentrato su quanto lo attende il giorno dopo.




La chiave della popolarità del film sta senz'altro nella commistione tra la spettacolare drammaticità della vicenda e i valori conservatori incarnati dall'antieroe (il cui eloquente nome significa 'Cesare'), evoluzione della figura-tipo del luti, generoso coi poveri, i deboli e le donne, ma qui deciso a compiere atti criminali per amore e rispetto verso la propria famiglia; il 'duro', morso da dolore e rabbia, piange solo per sua madre, morta di crepacuore per le tragedie occorse.

Con "Gheisar" si afferma la stella di Behrouz Vossoughi, il divo più popolare della storia del cinema iraniano. Gli episodi di fanatismo nei suoi confronti sono quasi inimmaginabili per il pubblico occidentale. Ad esempio, a Tabriz la folla lo solleva e lo trasporta sulle braccia dall'hotel al cinema dove è proiettato il film.




I titoli di testa, che inquadrano i tatuaggi di un corpo muscoloso, raffiguranti personaggi ed episodi de "Il libro dei re" di  Ferdousi, sono a cura di Abbas Kiarostami, all'epoca grafico e non ancora regista.

All'uscita, il film divide la critica, comunque in prevalenza favorevole. Secondo i detrattori, lo stile di ripresa occidentaleggiante non si sposa con un contesto così esageratamente tradizionale. Nel 2009 la rivista "Film" inserisce "Gheisar" tra i migliori lungometraggi iraniani di sempre.
Infine, nel 2018 Vossoughi e Shahrzad vengono omaggiati da Jafar Panahi in "Tre Volti".  L'attrice è il terzo volto, quello nascosto; colei che oggi vive in Iran ma nei film non può nemmeno comparire.


I sottotitoli in italiano di "Gheisar" si possono scaricare cliccando qui.
















 







 


martedì 27 giugno 2017

Crossroad of Events, Samuel Khachikian (1955)



Terzo film del regista, che adatta una sua piéce, e primo successo di pubblico. Pur essendo inserito nel ciclo "Teheran Noir" del Cinema Ritrovato di Bologna, "Chahar Rah-E Havades" è assimilabile al filone tradizionale del melò iraniano anni '50, con alcuni elementi di crime story. Contribuisce non poco alla nascita di un vero sistema industriale per il cinema del paese.

Farid, giovane contabile di una fonderia costretto anche a lavori da operaio, è troppo povero per la sua amata, che cede alle pressioni della famiglia e gli preferisce un uomo di mezza età con auto di lusso, e villa con giardino e fontane da lustrarsi gli occhi. Per poi pentirsi. Tormentato dal denaro, Farid si fa cooptare dal vicino di casa galeotto Salim, evaso dal carcere, e cerca di svaligiare una gioielleria. Una ragazza cagionevole lo redime, diventa la sua compagna, ma è vinta dalla malattia. Come è ovvio, si ricostituisce la coppia iniziale.

Una sequenza da incorniciare, per l'uso discreto del fuori campo, è quella della morte del padre di Farid. Né Salim né i gendarmi che lo inseguono si accorgono inizialmente del cadavere. Questi ultimi, anzi, pensano che sotto il lenzuolo si nasconda il fuggitivo. Buone anche le scene di inseguimento, merito di un bianco e nero contrastatissimo, e la sequenza del furto, per la suspense. Tanta approssimazione però in tutto il resto, spesso al limite del dilettantesco: dalle ingenue sovrimpressioni, alla scena in cui la figura del protagonista si sdoppia e il Farid-fantasma funge da diavolo tentatore, presto affiancato dalla silhouette di Salim. L'attore protagonista Naser Malek Motiee diventerà celebre nel paese, ma qui ha la rigidità e l'espressività di un pezzo di legno.

Il finale doveva contenere quello che, a detta del curatore della rassegna, è il primo bacio nella storia del cinema iraniano, ma da Teheran è arrivata una copia priva di quei pochi, decisivi fotogrammi. Qualcuno dopo il 1979 ha censurato la sequenza; chissà chi e quando.




Per lo spettatore italiano, non passa inosservata la presenza in colonna sonora di una versione tradotta di "Torna a Surriento".
La produzione è della Diana Film Studio, proprietà di membri della minoranza etnica armena, cui lo stesso regista appartiene. Anche la troupe comprende tanti armeni che qui esordiscono e che molto daranno al lato tecnico del cinema iraniano.
L'attrice protagonista Vida Ghahremani oggi insegna recitazione e lingua persiana in California.