giovedì 12 gennaio 2017

Viaggio nell'animazione iraniana (parte I)

Un percorso in due tappe a cura di Alessandro Arpa

(il canale ufficiale youtube dell’Istituto Kanoon è: https://www.youtube.com/user/kanoon2011 )



Nel 1965 nasce, in Iran, l’Istituto per lo Sviluppo Intellettuale dei Bambini e dei Ragazzi, noto al mondo come Kanoon. Il principale obiettivo dell’istituzione è quello di valorizzare l’arte nazionale promuovendo la realizzazione di opere didattiche che possano accompagnare il bambino, ma anche l’adolescente, nel processo di crescita e maturazione. Non deve, quindi, stupire il diffuso moralismo che pervade queste opere. Teatro, editoria, pittura e, in particolar modo, il cinema di animazione, sono i campi promossi dal Kanoon. Attraverso i suoi workshop, ha contribuito alla crescita del Paese e ha puntato considerevolmente sui giovani artisti, considerati i pilastri su cui fondare il futuro della nazione. 

Con la nascita del Kanoon si assiste ad una diffusione internazionale delle opere di animazione e, in un certo senso, potrebbe cominciare la storia del cinema di animazione iraniano in quanto, i primi esperimenti del tardo 1950 non sono pervenuti. Mancando una documentazione esaustiva sull’animazione degli anni Cinquanta, si cercherà di approfondire la produzione post-fondazione del Kanoon ponendo il 1965 come data convenzionale di nascita dell’animazione iraniana. Possono essere, di conseguenza, individuati tre periodi differenti: 


1) 1965 al 1979: Ali-Akbar Sadeghi e Noureddin Zarrinkelk sono i padri dell’animazione iraniana, indiscussi maestri del genere. Tra questi va aggiunto il minimalismo primitivista di Farshid Mesghali;

2) 1980-1999: la rivoluzione del ’79 comporta un cambiamento tematico ma anche stilistico. Si passa dall’animazione disegnata di Sadeghi e Zarrinkelk all’utilizzo di differenti tecniche come la clay animation o il passo uno;

3) 2000- : il XXI secolo si presenta come un periodo di svolta in cui le innovazioni tecnologiche hanno influenzato fortemente la produzione cinematografica e hanno contribuito alla ridefinizione del genere. 

Ali-Akbar Sadeghi comincia la sua carriera artistica durante gli anni Cinquanta. Alla prolifica attività pittorica, si aggiunge un interesse al mondo animato che porterà l’autore alla realizzazione di una serie di affascinanti lavori di animazione negli anni Settanta. Nelle opere cinematografiche, attinge al suo immaginario pittorico riproponendo le stesse ambientazioni e il medesimo stile nel rappresentare le figure umane. Riconoscibili e unici, tutti i protagonisti dei film di Sadeghi hanno una delle seguenti caratteristiche: occhi verdi, sopracciglia marcate ed unite o vestono con abiti eccentrici ma raffinati, tipici della dinastia Qajar.

“The Seven Cities” può essere considerato a tutti gli effetti il primo film del regista. Realizzato nel 1971, il lavoro è un adattamento del poema, di circa 4500 versi, del poeta iraniano Farid ad-din Attar, intitolato “Il verbo degli uccelli”. L’opera racconta il difficile viaggio di alcuni volatili che vorrebbero giungere alla corte del re Simorgh (figura del folklore iraniano che ritorna in “Zal and Simorgh” e il cui nome significa “trenta uccelli”). Ne partono in centomila ma solo trenta di loro riescono a superare le sette valli ossia la rappresentazione simbolica degli stadi che conducono l’anima alla perfezione: la valle della ricerca, dell’amore, della conoscenza, del distacco, dell’unificazione, dello stupore e, infine, la valle della privazione e dell’annientamento. I versi presi in considerazione da Sadeghi e sviluppati in “The Seven Cities” sono quelli che riguardano la Valle dell’Amore. Il corto, della durata di soli 15’, si apre con le immagini di un cavaliere che, dopo un lungo viaggio, ritorna nel suo regno dove ad accoglierlo è un’atmosfera lugubre e triste. I lucchetti cuoriformi, il fiore appassito e i colori freddi rendono al meglio il concetto dell’amore infibulato e vietato. Per riaccendere il fuoco di un sentimento dimenticato, il cavaliere decide di raccontare la sua avventura. Strutturato in sette mini-narrazioni ambientate in epoche e luoghi diversi, l’eroe diventa il fantoccio del Tempo e delinea il percorso dell’amore nei secoli. Si parte dalla storia antica e dalla raffigurazione dell’istinto di sopravvivenza tra i dinosauri e, poi, tra gli animali, per passare ad una civiltà mesopotamica. Il capo-villaggio fonda il proprio potere sull’amore ed ordina ai suoi schiavi di trasportare sulla cima di una ziqqurat un massiccio cuore bluastro. L’amore assume una valenza prettamente religiosa nel terzo racconto che si svolge in epoca medievale. Dei monaci, espongono, in processione, il loro crocifisso in cui campeggia un cuore pulsante. Il quarto quadro analizza i rapporti tra sentimento e consumismo ed è accompagnato da un sottofondo futurista e meccanico, è una riproposizione visiva dell’intonarumori di Luigi Russolo. Un salto temporale ci porta al secondo conflitto mondiale. Il cavaliere racconta l’amore per la guerra in una delle parti più geniali del corto. Degli aerei vengono distrutti mentre, in sovrimpressione, compare il volto di Adolf Hitler, führer del disamore tra popoli, contrassegnato da suoi discorsi pubblici in sottofondo. L’ultimo aneddoto si colloca nel futuro. L’uomo è privo di identità ed è succube delle macchine. Robotizzato, conduce una vita abitudinaria fatta pressoché solo di lavoro. Non c’è spazio per le emozioni e, come se fosse un cartellino da timbrare, il cuore viene obliterato, sminuzzato lentamente dalla fatica del lavoro. Alla fine, il cavaliere non può che devolvere il suo cuore affinché possa, il popolo, ritrovare un po’ d’amore e di felicità.

L’anno successivo, Sadeghi realizza “Flower Storm”, una favola pacifista. Durante una battuta di caccia, la carcassa di un volatile diventa il pomo della discordia tra due sovrani di regni confinanti. Scoppia una guerra subitamente spenta dai giovani, la parte razionale dei rispettivi reami. Nella notta fonda, essi sostituiscono le palle di cannone con dei fiori. L’indomani, lo stupore s’impossessa dell’animo freddo dei monarchi e gli attesi scoppi e tonfi delle cannonate si tramutano in una pioggia di petali. 

A sfondo politico è anche l’originale “The Rook”, una partita a scacchi in cui le pedine si animano. La cattura dei pezzi incarna la tendenza classista diffusa nella società iraniana degli anni Settanta. Il più forte divora il debole ed il ciclo sembra immutabile ed interminabile e, una volta rimasti soli, ai due re non resta che ricominciare l’ennesima partita a scacchi. Seppure del 2004, anche in “Coalition”, realizzato con l’aiuto di Alireza Kavianrad, ritorna il tema politico come critica ai conflitti tra forze mondiali nei territori del Sud-est asiatico. Il film si compone di quaranta dipinti ad olio realizzati da Sadeghi.

Rispettivamente del 1975 e 1977, “The Sun King” e “Zal and Simorgh” si basano su “Il libro dei re” di Ferdowsi. La prima opera è la storia di un principe che s’innamora della fanciulla ritratta in un quadro. Quindi, egli parte alla ricerca della splendida ragazza superando numerosi ostacoli e scontrandosi con mostri dall’aspetto demoniaco. Il passaggio da un ambiente all’altro è scandito visivamente dall’atto di voltare pagina. Il rifiuto e l’abbandono sono i temi del secondo lavoro animato. Saam Nariman è il sovrano di Zabolestan e desidera fortemente avere un bambino a cui affidare, in futuro, il regno. Ma a nascere è un bimbo albino e, considerato un piccolo demonio dai genitori, viene abbandonato sulle alture di Alborz dove, trovato dal saggio uccello Simorgh, viene accudito come se fosse un suo cucciolo.

Immagine 1
L’altro grande maestro è Noureddin Zarrinkelk. Il suo stile è caratterizzato da un tratto di disegno sottile e da un’essenzialità che permette una totale focalizzazione sui temi trattati. Nel brevissimo “Duty first”, crea uno sketch comico in cui un poliziotto corre forsennatamente… ma dove corre? Ad acciuffare il ladro? Ad abbracciare la sua amata o a salire su di un treno in corsa? Nulla di tutto ciò, la fatica dell’uomo è per smuovere la puntina di un grammofono, inceppata da tempo sulla stessa nota. Nel 1973, con “Association of Ideas”, un disegno si trasforma in continuazione e propone chiari simboli della cultura americana. Compare Oliver Hardy, Chaplin, la statua della libertà armata prima di sciabola poi con una pistola o mentre tiene una melanzana (ricorda “Good-bye Elvis and Usa” del nipponico Keichii Tanaami) [Immagine 1]. “Atal Matal”, invece, risale al 1974 e fa riferimento ad una filastrocca per bimbi persiana che recita:

“Atal matal tootoole
How is Hasan's cow?
It has neither milk nor breast!
Its milk is carried to India
Take a Kurdish wife
Call her Am-qezi!
With red around her hat
Hachin o wachin
Lift one of your legs!”

Immagine 2


I bambini saranno ancora protagonisti di altri lavori di Zarrinkelk come “A playground for Babousch” e “Identity”, entrambi del 1992. Ma i due corti più originali del regista iraniano sono senza ombra di dubbio “Mad Mad World” del 1975 e “Super Powers” del 1987. Nella prima opera citata, l’Europa si anima: l’Italia/stivale scalcia via la Sicilia; la penisola scandinava, come fosse un brachiosauro, fagocita la Danimarca mentre, nelle vicinanze, il Regno Unito difende l’isola irlandese portandola al petto. “Super Powers” riprende l’essenzialità di “Mad Mad World” e, attraverso il conflitto tra i due più comuni simbolici matematici (+/-), viene descritta la guerra tra Iraq e Iran. La carica positiva invade la negativa e viceversa. Lo scontro s’inasprisce in una scena che ricorda il gioco del tetris [Immagine 2]. Continua la battaglia fino al tragico epilogo: un cimitero di segni grafici con le lapidi formate da una serie di + e le fosse dai - [Immagine 3]. Una scelta visiva insolita ma efficace.




Prosegue con la seconda parte







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