martedì 1 ottobre 2019

Nel museo del cinema di Teheran

Caro diario, 
finalmente sono riuscito a coronare il sogno di visitare innanzi tutto l'Iran, e con esso il Museo del cinema di Teheran, una tappa per me assolutamente obbligata. 

Si tratta di un museo vecchia maniera, diverso dai moderni e interattivi musei del cinema italiani. 
Tralascio il bel palazzo qagiaro con annesso giardino in cui è collocato e comincio subito a parlare di settima arte.

Sul cancello d'ingresso vedo affisse le locandine dei nuovi film di Nima Javidi e Alireza Raisian, oltre che di "Just 6.5". Forse non proiettano più classici, ma solo prime visioni? Non saprei; non parlando persiano, reperire alcune informazioni è per me complicato; in ogni caso preferisco godermi la visita senza pormi troppi quesiti.

Addentrandomi nel cortile mi accoglie il faccione di Ezatollah Entezami, il grande attore scomparso l'anno scorso. Scopro essere stato tra i fondatori del museo. E infatti lo si ritrova ovunque, è la vera superstar del luogo, celebrata anche con una statua di cera. Sarà anche perché ha interpretato lo scià qagiaro innamorato del cinematografo in "Once Upon a Time, Cinema" di Mohsen Makhmalbaf?





All'interno del palazzo, leggo le schede informative e mi accorgo subito di una cantonata, talmente colossale che mi sorge il dubbio di aver sempre avuto informazioni sbagliate sulla nascita del cinema in Persia: il primo film "Abi and Rabi" viene datato 1900 anziché 1930. In realtà si tratta di un refuso, tanto che poco più avanti si trova la locandina del film, con la targa questa volta corretta.




Le due sale principali ospitano le bacheche dedicate ai singoli artisti. La prima sala ha appese locandine di grandi classici non esportati (diciamo così). Chiedo a un'addetta quale sia il titolo internazionale di un film che non riconosco, lei telefona a qualcuno, poi su un pc me lo mostra: "Tranquillity in the Presence of Others". Annuisco e le dico il nome del regista: Naser Taghvai. Lei spalanca gli occhi stupefatta, ma in realtà ha chiesto il titolo di un'altra locandina, che io avevo scambiato per "The Pear Tree" di Dariush Mehrjui:






Ora pertanto rimango con il mistero: di che film è questa locandina che ho fotografato, che pur mi dice qualcosa? Potrei scoprirlo abbastanza facilmente, ma i misteri mi piacciono, per cui non indagherò. Tu lo sai, caro diario?



Tornando alle bacheche, lo spazio si basa fondamentalmente sulla generosità degli artisti, che hanno donato i premi ricevuti (davvero tanti in festival italiani!) e altro materiale. Questo crea la sovraesposizione di nomi poco rilevanti e l'esclusione da questa sezione principale di maestri come Bahram Beizai. Scelta probabilmente obbligata, nondimeno discutibile.

Caso vuole che l'artista più generoso abbia creato una bella contraddizione: è normale, diario, che un cineasta a cui è proibito girare film venga celebrato nel museo nazionale del paese che glielo impedisce? Ebbene sì, Jafar Panahi ha donato tutti i premi più importanti della prima parte della carriera, compreso il Leone d'oro per "Il cerchio", ha uno degli spazi più ampi e, addirittura, la sua scheda cita tra i film più importanti "Taxi Teheran", girato illegalmente, in violazione della sentenza che lo ha condannato!



Già ai tempi del processo, il cineasta nell'arringa aveva evidenziato il paradosso: lo spazio concesso ai premi di Jafar Panahi al Museo del Cinema di Teheran è molto più grande della cella della sua prigione.


C'è poi chi ha donato nientemeno che la Palma d'oro, invero l'unico iraniano ad averla vinta:



L'esposizione non è invece aggiornata ai trionfi di Asghar Farhadi.

Caro diario, se ti interessa una panoramica completa di questa sezione, ho fatto un filmino per te:





Le altre sezioni, al piano di sotto, sono molto più modeste e riguardano il cinema di guerra, i bambini attori, e le sagome cartonate di tanti protagonisti della nostra cinematografia preferita.
Nel complesso, il museo si visita in un quarto d'ora... io ci sto più di un'ora e mezza!

Uscendo, vado alla ricerca del 'famoso', segnalatomi sia da amici che dalla Lonely Planet, rivenditore di film rari e di gadget. Chissà che non trovi "Tangna" di Amir Naderi o "The Beehive" di  Fereydun Gole con sottotitoli in inglese, o i primi cortometraggi di Panahi, anche senza sottotitoli. L'unico negozio che vedo, però, vende libri. Chiedo se hanno qualche locandina. Risposta... sì, di "Harry Potter"!

Rinuncio a proseguire la ricerca e, dolorante alla schiena, mi concedo un paio degli ottimi cocktail alla frutta del bar del museo. È stata una visita giunta al termine di una giornata stancante. Però ne è valsa la pena.






















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