giovedì 23 febbraio 2017

About Elly, Asghar Farhadi (2009)



Rivedendo il film che ha svelato Asghar Farhadi al pubblico internazionale, grazie ai premi ottenuti nei festival di ben quattro continenti, si possono trovare in nuce i temi che in seguito il cineasta non abbandonerà, su cui anzi insisterà in modo quasi accanito, palesando la necessità di aggiungere tasselli, complicare le vicende e portarle al parossismo. “About Elly” rimane più accennato, sospeso, anche per quella sua aura di ‘giallo’ che darà il via al fuorviante luogo comune di Farhadi sceneggiatore e regista di thriller mascherati.
Se infatti in “Una separazione” e ne “Il passato” lo spettatore è a conoscenza di una verità che deve rimettere costantemente in discussione, in “About Elly” insegue la risposta a un quesito: che fine ha fatto la protagonista? Cercandola, si confronta con le contraddizioni degli altri personaggi, più preoccupati di salvare apparenze e decoro che delle sorti di Elly (Taraneh Alidoosti).



Il quarto lungometraggio del regista è stato accolto ovunque molto favorevolmente, ma ha portato la croce della somiglianza con un grande film del passato, “L’avventura” di Michelangelo Antonioni. In effetti, le affinità non mancano. La trama [qui nel dettaglio] della pellicola di Farhadi si può sintetizzare nel modo cui accennavamo: una donna sparisce, probabilmente in mare, ma in modo misterioso; l’avvenimento conduce a una serie di reazioni da parte dei suoi compagni di escursione. Questa sintesi si adatta perfettamente anche al capolavoro di Antonioni; Elly sembra sovrapponibile ad Anna, entrambe stanno vivendo una crisi di coppia, tuttavia con dinamiche tali per cui ricoprono ruoli opposti.
Come profondamente diversi sono altri elementi. L'indole dei personaggi: intraprendenti gli iraniani, come a voler dimostrare la volontà di progresso, la ricercata maturità di un intero popolo, o quanto meno della sua avanguardia; indolenti e annoiati gli italiani. La risoluzione (o meno) dell’enigma. L'andamento della tensione drammatica: Antonioni la disinnesca, Farhadi la fa montare.

Inolte, se l'italiano attribuisce grande importanza ai luoghi che i personaggi attraversano e da cui vengono influenzati, il persiano confina i suoi anti-eroi in un ambiente isolato, distante dalla capitale da cui provengono. Sulle rive del Caspio, in un alloggio di ripiego e non di loro proprietà, i personaggi giocano quindi in campo neutro, ma la distanza dal cuore della società diventa l’occasione per rivelare tantissimo sulla società medesima e sulla mentalità tradizionalista dei suoi abitanti, i cui lati deteriori (maschilismo, falsità, egoismo), normalmente sopiti, si ridestano fino a esplodere al cospetto di una situazione incontrollata, ancor prima che tragica.
Non è propriamente esistenziale il dramma che emerge, è il lascito di una società ipocrita, immobile malgrado gli sforzi per progredire (la metafora finale, fin troppo esplicita, dell’auto impantanata).



Come altre volte - sempre d’ora in avanti - l’autore sceglie il punto di vista di un ceto medio istruito (quanti insegnanti nei suoi film!). Racconta, con coraggio e originalità rispetto al contesto, di separazioni o divorzi, ancor più atipici perché decisi dalle donne (qui i casi sono due). Riporta gli echi della vita vissuta dagli espatriati in un Occidente impervio e non mitizzato (la Germania è il luogo della separazione del personaggio interpretato da Shahab Hosseini). Fa dei bambini i testimoni/vittime della violenza non esclusivamente verbale dei grandi, che corrompono la loro innocenza inculcandovi la liceità della menzogna.

Tematiche che si faranno più marcate nei film successivi, compreso il recente e fortunato "Il cliente", ma che, anticipate in parte nei precedenti, sono racchiuse in toto nell’ottimo “About Elly”. Forse non con lo stesso livello di approfondimento, ma con una straordinaria coralità, resa possibile da una regia fluidissima nei movimenti di macchina, mai ostentati.




Cast di prim’ordine, con Golshifteh Farahani all’ultimo film in Iran. 



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