martedì 28 febbraio 2017

Ok Mister, Parviz Kimiavi (1979)

IL PAESE DELLE ROSE E DEGLI USIGNOLI 
 
 
 

 
 
C’era una volta un paese di rose e di usignoli, una terra vergine che non conosceva corruzione. Tra le case in pietra e lo sterrato, la vita faceva il suo corso. In azioni abitudinarie (la donna che fila, l’uomo che ara i campi, le vecchine a preparare il pane) si spegneva l’ennesima giornata. Tutto simile a sempre eppure la felicità regnava nella monotonia. In questo luogo anonimo, privo di coordinate geografiche, è ambientata la commedia surreale/grottesca "Ok Mister" di Parviz Kimiavi del 1979. Un film alieno se si pensa alla vasta produzione cinematografica iraniana. Un meteorite di cui se ne sentiva il bisogno, in un anno cruciale per l’Iran. Ma il notevole lavoro di Kimiavi non ebbe vita facile e la sua visione fu limitata per anni dal comitato di censura nazionale poiché proponeva una rappresentazione poco elogiativa dell’Iran, dipinto come fosse un paese del terzo mondo, popolato da un gregge timido, condotto senza sforzi dal pastore/dominatore (un inglese: William Knox D’Arcy) per i campi di cicuta. Eccolo sbucare dalle crepe aride delle lande deserte iraniane, Sir William Knox D’arcy, il protagonista del racconto. Realmente esistito, D’Arcy fu un uomo d’affari britannico nonché il pioniere dell’industria petrolchimica iraniana. Interpretato da Farokh Ghafari (Farrogh Gaffary nei titoli di coda), celebre regista iraniano e critico di Positif, il magnate inglese si presenta direttamente al pubblico con un fare tra il faceto e l’assurdo. La sua missione è quella di scovare pozzi di petrolio sul territorio per arricchire il suo paese. Ma "Ok Mister", più in generale, è il racconto di una dominazione (quella della Gran Bretagna sull’Iran) e del processo di “civilizzazione” e occidentalizzazione dell’Iran.

Ma un piano tanto difficile non può essere condotto da un uomo solo ed ecco che, improvvisamente, nel cielo s’intravede una strana mongolfiera svolazzare. Agghindata con bianchi fiori che rimandano ad un’idea estinta di purezza, la mongolfiera ospita tre bizzarri personaggi dall’integrità dubbia, dominati anzi da una certa faciloneria ed una spiccata furbizia. Eccoli: Stanley, un giornalista eccentrico a cui spetterà un ruolo marginale nel racconto (metaforicamente la scarsa influenza della carta stampata nei paesi considerati “liberi”); Sir Henry, un goffo e tozzo archeologo a cui non interessano le sorti dell’arte o la possibilità di tramandare ai posteri i tesori di una cultura secolare. Egli ruba i reperti nel corso del film, li intasca sorridente, felice di possedere pezzi di storia, appagato nel tentativo oscurantista di cancellare il passato. In lui si specchia la natura razziatrice del colonizzatore. Infine, vi è Cinderella, una donna dalla bellezza discutibile con occhiali antiestetici e una sgradevole voce squillante. Improvvisamente, la sua immagine sgraziata è sostituita da quella di un’avvenente bionda vestita d’azzurro, la proiezione di una Cenerentola moderna. E della splendida panoramica che ci immerge tra le rovine di Persepoli ad inizio film ne resta solo il ricordo. La bellezza della memoria insozzata dall’avidità dello straniero. Bisogna notare, in aggiunta, come i personaggi inglesi godano di una rappresentazione più vivida e profonda. Hanno un’identità e lo spettatore può amarne o odiarne i loro vizi mentre gli iraniani appaiono nel loro insieme come massa inebetita dall’eloquenza occidentale.


LA BARBARA PRETESA DI CIVILIZZARE 
 
 
 

 
Kimiavi presenta gli occidentali come un esercito affetto dalla sindrome del dominatore, vinto da pruriti imperialistici tinti di sadismo e schiavismo. Il processo di colonizzazione dell’Iran barbaro è graduale e occupa gran parte del film. Per placare ogni slancio rivoluzionario e stordire le menti dell’intera popolazione, D’Arcy gioca l’arma Cinderella. La bellezza della donna ammalia il popolo grazie ad occhiolini scintillanti e alle sue movenze provocanti. Tra la folla, poi, vengono individuati quattro uomini che, attraverso un rito d’inclusione, saranno “adottati” dalla comunità inglese per svolgere mansioni di controllo. Il rito prevede più fasi: quella della vestizione e quella del sacramento eucaristico. Gli uomini si liberano dei loro abiti ed indossano t-shirt colorate, poi, in una riproposizione della sacra eucarestia, ricevono l’ostia e bevono Coca Cola, simbolo indiscusso del capitalismo. D’Arcy tenta anche di uniformare il linguaggio istituendo l’inglese come lingua ufficiale e cancellando ogni traccia del farsi. Si tengono lezioni pubbliche in cui la nuova lingua è insegnata con metodi controversi e servendosi di frasi intimidatorie e alquanto razziste come – your country is not rich-. La comicità nel film è resa il più delle volte dalle battute dei personaggi inglesi o dalle azioni degli iraniani. Lo scarto ha un valore simbolico non indifferente. La libertà di parola permette all’inglese di occupare una posizione elitaria e di potere mentre gli iraniani sembrano quasi profughi nel loro stesso paese e, zittiti dallo stivale anglofono, si rendono comici con azioni tipiche della slapstick comedy.

Durante una partita a golf, Sir D’Arcy colpisce il terreno. Come fosse una trivella, la mazza da golf crea una voragine da cui zampilla del petrolio. La scoperta è grandiosa e colto da un’irrefrenabile sete di potere, il magnate inglese ne beve qualche goccia. Cominciano i lavori di estrazione. La sua lavorazione comporta un aumento delle entrate nel Paese e la conseguente ricchezza devasta l’identità del popolo e rende gli iraniani degli stranieri nella loro terra. Le case diroccate e senza inutili abbellimenti, si riempiono di elettrodomestici, oggetti d’arredamento kitsch e cianfrusaglie occidentali. La magia che avvolgeva la figura delle vecchine impegnate a filare è dissipata ed è sostituita dall’immagine delle stesse che indossano occhiali da sole eccentrici o cappelli dalle più svariate forme e colori. Il regno delle rose e degli usignoli si trasforma nel regno dell’eccedenza.

 
 
Ogni opera imperialistica però ha un suo termine. Che sia riuscita o meno la fase colonizzatrice, vi è sempre un momento in cui il popolo si risveglia da quel limbo in cui è costretto a vagare e decide di cacciare chi detiene il potere. Durante il sortilegio di Cinderella, l’unico a non esserne vittima è un anziano signore considerato pazzo dai suoi compaesani. Etichettato come un folle da emarginare, l’uomo crea una setta volta a sovvertire il potere. Comincia la rivolta per la riappropriazione del proprio Paese. Attraverso azioni clandestine, l’anziano veste i panni del maestro e fa di tutto affinché si ritorni a parlare farsi. Ma l’evento che sigla la fine della dominazione inglese è l’apparizione del Bel Principe (così come è chiamato nei titoli iniziali del film). Il Bel Principe è un misterioso ragazzo iraniano che, col suo canto, riesce ad incantare Cinderella. L’incontro tra i due sfocia in una scena d’amore e nella fuga dell’uomo. Fuggendo, egli perde una scarpa. Kimiavi stravolge la favola di Cenerentola rendendo protagonista un uomo. D’Arcy decide allora di accontentare la sua Cinderella e cerca in tutti i modi di ritrovare il Bel Principe, dapprima, permettendo alla gente di provare la scarpa e, successivamente, attraverso il riconoscimento fisico inscenando un rapporto carnale con la donna. Il riconoscimento passa quindi per il sesso e Kimiavi accentua i perversi desideri degli iraniani indugiando sulle loro gestualità rozze e primitive. Non essendoci traccia del Bel Principe, a Cinderella non resta che cantare. A chiudere definitivamente Ok Mister però è la rivolta intestina che riporta la serenità nel Paese. D’Arcy rischia il linciaggio e quindi decide di suicidarsi in una maniera assolutamente surreale lasciandosi trafiggere da un getto di petrolio (tutto ciò per cui ci si è battuti, con mezzi illeciti, si ritorce contro). Cinderella ritrova il suo Bel Principe ma il finale ha l’amaro in bocca. "Ok Mister" si spegne tristemente con l’immagine del fuoco che cresce ed inghiotte lo schermo ricordando "A Fire" di Ebrahim Golestan.
 
Articolo di Alessandro Arpa

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