Articolo di Alessandro Arpa. Il film si può vedere qui con sottotitoli in ingelse
MOHAMMAD, DIMMI
TU, DOVE SIEDE LA VERITÀ?
Nel 1967, un fatto
di cronaca riempie i rotocalchi iraniani. Lungo i binari, distrutti
da un’inondazione, corre un treno merci…il triste epilogo,
oramai, sembra già scritto. Ma ecco che, all’orizzonte, un tenue
fuoco segnala il pericolo al capotreno. Ad ardere, aldilà delle
rotaie crollate, è la giacca di Mohammad Esma’il, un bambino del
piccolo villaggio di Lamlang, nella regione di Gorgan. La notizia si
diffonde nella comunità rurale e capillarmente in tutte le realtà
vicine fino a raggiungere Teheran e le alte cariche. Il Ministero
della Cultura e dell’Arte commissiona, quindi, al regista Kamran
Shirdel un documentario che racconti il gesto eroico del bambino.
Nasce "The Night It Rained or The Epic of Gorgan Village Boy". Ma si sa
che l’indiscreto mormorio provinciale maschera molte volte la
verità e ciò che sembra attendibile si trasforma. Le ombre
lentamente si colorano e quelle che fino ad allora erano considerate
certezze vengono rivalutate e, passate al vaglio, mostrano la loro
essenza.
Se la prima parte
del documentario di Shirdel assume un tono etnografico e, a tratti
neorealista, ritraendo minuziosamente, anche se in maniera
didascalica, la desolazione e l’aridità che contraddistingue il
territorio del Gorgan, la seconda parte è organizzata come fosse
un’inchiesta volta a stabilire la fattualità dell’episodio.
Svelati i trucchi della settima arte, attraverso un’impostazione
meta-cinematografica tipica della tradizione iraniana, il regista
avvia una serie di interviste a coloro che, direttamente, hanno
partecipato alla vicenda [Figura 1].
Ad essere
intervistati sono: i dipendenti della ferrovia, il sindaco di
Lamlang, il capo della polizia, il redattore di una testata
giornalistica iraniana e l’insegnante del villaggio. Le varie
testimonianze portano alla luce inesattezze e controsensi e,
inevitabilmente, si vengono a creare differenti linee di pensiero. Da
una parte, c’è chi crede che il piccolo Mohammad sia l’eroe
della vicenda mentre, dall’altra, una piccola cerchia, formata dal
giornalista ed il capotreno, cerca di districare le trame di una
storia dal carattere epico che, secondo loro, è stata ricamata ad
hoc dai concittadini del bambino. Accanto alla sua scrivania, severo,
il giornalista di un noto quotidiano iraniano, nega ogni
coinvolgimento di Mohammad nell’episodio e, a sostegno della sua
tesi, apporta un numero considerevole di notizie capaci di
stravolgere le più ferme convinzioni degli spettatori. Ad avvalorare
la tesi sono le scelte sul montaggio prese da Shirdel. Ad esempio,
l’intromissione misteriosa e reiterata di un frame che mostra un
uomo, di cui non si conosce il volto (verrà mostrato solo al termine
del lungometraggio), ripetere che tutto ciò che è stato raccontato
è una menzogna, una sordida messinscena dei cittadini di Lamlang
[Figura 2].
La possibilità
che la storia fosse, in realtà, interamente inventata, non fu ben
accolta dal Ministero della Cultura che, infatti, decise di
confiscare e vietare la diffusione del film nonché di espellere
Shirdel dalla sua carica. A distanza di sette anni (nel 1974), il
film partecipò alla terza edizione del Teheran International Film
Festival, classificandosi al primo posto. E il sottile limite tra
verità e finzione sbiadisce. Seppure Shirdel propone una sua
personale lettura dei fatti, non può che spettare a noi l’ultimo
giudizio. Siamo con Mohammad o contro?
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