martedì 14 marzo 2017

Il tempo dei cavalli ubriachi, Bahman Ghobadi (2000)


 L’ultima delle schede “didascaliche” preparate per ‘Il velo sullo schermo’ 

 


Il film sequenza per sequenza


Una voce fuori campo chiede a una bambina: “Come ti chiami?”; la piccola risponde: “Ameneh, non so quanti anni ho, sono più piccola di Madi, mio fratello; è storpio e malato, ma non sappiamo cosa abbia”. Il suo racconto prosegue: suo padre fa il mulattiere, trasporta “roba” in Iraq, mentre sua madre è morta. Ha anche una sorella e un fratello più grandi, di nome Rojin e Aiyub. Vediamo alcuni di loro mentre, assieme ad altra gente, avvolgono bicchieri e altri oggetti in fogli di giornale, per non farli rompere durante il trasporto. Alcuni bambini si offrono di aiutare i trasportatori più grandi, a pagamento, ma vengono respinti.

Ameneh raggiunge Madi, che appare affaticato, e lo invita a prendere le sue pillole. Aiyub è indaffarato. Arriva un uomo che intende arruolare dei lavoratori, ne scegliesei, due tra gli scartati iniziano ad azzuffarsi.

I prescelti raggiungono i loro muli e iniziano a trainarli.

Ameneh dice a Aiyub di affrettarsi, che il pullman sta partendo. A bordo del veicolo, insieme ad altri compagni di avventura, intonano un canto esistenziale e malinconico,mentre c’è neve tutto intorno. Ameneh racconta che sul confine ci sono un sacco di mine e che molti contrabbandieri sono morti. In questo momento suo padre è lì e lei è preoccupata. Il pullman è fermo e Ayoub e Ameneh fanno prendere le pastiglie a Madi. Un uomo dice loro di nascondersi.

Due ragazzi scendono al volo dal furgone e fuggono, in direzione del confine. Un soldato ferma il veicolo e fa scendere la gente, alla ricerca di qualche iracheno. I passeggeri vengono perquisiti, ma i soldati trovano solo quaderni. Ciononostante, il furgone viene sequestrato e i bambini proseguono a piedi, muovendosi a fatica (soprattutto Madi che è costretto a fermarsi) sopra un grosso strato di neve. Quando poi raggiungono L’Iraq, scoprono, disperati, che loro padre è stato ucciso. I fratelli sono al riparo, a casa dello zio. La voce di Ameneh ci dice che questi non può prendersi cura di loro e che, interrotti gli studi, sarà Aiyub a sostituire loro padre, mentre lei potrà continuare a studiare.




Ha smesso di nevicare, Aiyub colpisce con la falce il tronco di un albero, lo abbatte e trasporta la legna sulla schiena. Raggiunta la casa dello zio, un dottore gli chiede di portargli Madi per l’iniezione, ma Rojin gli dice che Madi è andato al cimitero con Ameneh. Li vediamo proprio lì, mentre piangono davanti alla tomba del padre. Ameneh prega Dio affinché si prenda cura di suo fratello. Sopraggiunge Aiyub, furioso con la sorella per l’iniziativa presa. Prende Madi e lo porta dal dottore. Davanti a lui, Madi dimostra di non sapere di avere quindici anni. I bambini si allontanano, ma il medico chiama Aiyub a sé e gli dice che suo fratello deve essere operato, che l’intervento costa 5.000 dinari (troppi per i quattro fratelli) e che, in ogni caso, dopo l’operazione non potrà vivere più di sette-otto mesi.


In casa, la sera, Ameneh è arrabbiata con Aiyub per il rimprovero del pomeriggio, ma presto i due si rappacificano, mentre Madi li osserva sorridente. Intanto Rojin accarezza la quinta sorellina, che vediamo per la prima volta. Esterno: Ameneh ci dice di aver sentito ciò che il medico ha detto ad Aiyub e che quest’ultimo, non avendo un mulo, difficilmente riuscirà a trovare lavoro. Lo zio intanto prova a intercedere presso un padrone, che concede al ragazzo la possibilità di fare un carico ogni mattina.


I muli si abbeverano; gli uomini versano del liquore nella loro acqua per evitare che avvertano il freddo. Ciò però li costringe a procedere con l’andatura da ubriachi. Aiyub si ferma a riposare e un altro ragazzo lo avvicina, rivelando di non avere un mulo (è saltato su una mina insieme a suo padre) e di non poter coltivare la terra che possiede sempre a causa delle mine. Gli dice anche che ormai sono vicini al confine iracheno. La comitiva si ferma e, per questioni mercantili, scoppia una rissa. Mentre Aiyub si ferma una seconda volta, sentiamo che i lavoratori non otterranno il loro compenso così facilmente.


Il gruppo raggiunge una locanda e Aiyub ordina un tè. Il barista, altrettanto giovane, gli consiglia di farsi pagare prima di iniziare il lavoro. Il ragazzo torna a casa e dice a Rojin di non essere stato ancora pagato. I fratellini stanno dormendo, ma Aiyub sveglia Madi per fargli vede cosa gli ha portato: si tratta del un poster di un culturista.


Aula scolastica: un bambino legge (male) un testo sulle origini dell’aeronautica; in classe c’è anche Ameneh. Arriva Aiyub, che le porta il quaderno che le ha comprato. La carovana dei muli è ancora in cammino, la voce di Ameneh ci rivela che sono passati due mesi, che Aiyub non è riuscito a racimolare i soldi necessari per l’operazione, poiché ha speso tutto per mantenere gli altri fratelli, ma che ora lavora con un mulo, dopo che lo zio, rottosi un braccio nella rissa che abbiamo visto, glielo ha prestato. I lavoratori sentono un’esplosione e si fermano immobili. Uno di loro va in perlustrazione; come gli altri temono, si tratta di un imboscata: non rimane che la fuga.


Lo zio acconsente al matrimonio tra Rojin e il figlio di un uomo, che propone di occuparsi anche di Madi e della sua operazione, facendosi carico delle spese necessarie. Tuttavia, Aiyub non è d’accordo che lo zio decida per sua sorella e vuole che il pretendente e suo padre se ne vadano, la ragazza però rivela di aver deciso autonomamente e di averlo fatto per Madi. Arriva il dottore per l’iniezione, ma in realtà è lì per prendere Madi e farlo partire con Rojin. Aiyub, ancora contrario alla decisione, osserva la scena da lontano, piangendo disperato e chiamando a gran voce il nome dei suoi fratelli. Sopraggiunge poi di corsa, in mezzo alla neve, ma anziché bloccare il gruppo dà una mano a spingere le bestie. I nostri eroi raggiungono poi la comitiva comprendente la madre dello sposo che, avendo già dieci figli, a sorpresa si rifiuta di occuparsi di Madi, nonostante l’intercessione dello zio, che sostiene di non aver avuto la dote e minaccia il divorzio. La donna propone un mulo in cambio del ragazzino, che abbandonato lontano dalla scena trema per il freddo. Lo zio accetta e i parenti dello sposo se ne vanno festosi.
Ancora la voce di Ameneh: Madi è tornato a casa, sta molto male perché da otto giorni non passa il medico e nessuno può fargli le iniezioni. Aiyub, all’oscuro dello zio, ha deciso di portare Madi al bazar e di vendere il mulo in Iraq, per ottenere i soldi per l’operazione. Lo vediamo parlare con un uomo affinché acconsenta di accompagnarlo oltre confine, ma questi teme per Madi, per le mine e le imboscate. Aiyub si assume il rischio e l’uomo accetta di accompagnarli, a patto di non pagarlo e di essere esonerato dalla responsabilità per di ciò che potrà accadere.


Viene data la consueta dose di alcool ai muli e si parte. Ameneh sopraggiunge di corsa per portare del pane per i viaggiatori. Chiede inoltre di portarle un quaderno dall’Iraq. Aiyub trasporta Madi sulla schiena e trascina il mulo; sono quasi arrivati al confine quando un uomo dà l’allarme imboscata. Si sentono degli spari, ma le bestie, ubriache, non riescono a scappare, nonostante le percosse dei padroni. Aiyub è in difficoltà: non riesce a spostare il mulo ed ha posato Madi. Nessuno li aiuta e i tre, alla fine, ripartono da soli, raggiungendo miracolosamente il filo spinato che segna il confine ma che, altrettanto incredibilmente, non è sorvegliato da nessuno. Con facilità lo valicano.



Un'analisi 

Sin dalle primissime battute, appare evidente l'intento didattico-divulgativo de "Il tempo dei cavalli ubriachi". Quell'intervistatore che sentiamo non comparirà mai nel corso del film: introduce semplicemente la biografia dei protagonisti, com'è all'inizio della pellicola: Ameneh racconta che suo padre è (ancora) vivo. Ciò consente allo spettatore di concentrarsi sul racconto senza perdersi nella ricostruzione dei rapporti di parentela, nelle domande sulla malattia di Madi, o in altri elementi che possano distogliere l'attenzione dall'intento ultimo del film: testimoniare, attraverso la vicenda dei protagonisti, la drammatica condizione di un intero popolo. 

I curdi, circa trenta milioni di persone disperse in vari stati del Medio Oriente, sono una delle tante minoranze etniche in Iran. In occidente li si sente talvolta nominare, ma ben pochi hanno idea di come siano i loro volti, tanto meno di quanto sia difficile la loro esistenza, anche perché il cinema non ha mai assolto a questo compito: Ghobadi è di fatto il primo cineasta a esserne cantore (e Il tempo dei cavalli ubriachi è il suo primo lungometraggio). Egli parte dai ricordi della propria gioventù e mette in scena la vicenda di persone autentiche, le stesse che ha mostrato in un suo precedente documentario. Nei titoli di testa leggiamo "con la vita di", anziché un semplice "con". Nulla è inventato, il dramma è reale quanto il cast. Se il paragone tra il Nuovo Cinema iraniano e Il Neorealismo italiano appare spesso forzato, in questo caso è decisamente calzante.

Una situazione tragica, abbiamo detto: nonostante il barlume di speranza del finale, relativamente aperto (ma realizzato in questo modo perché il regista aveva esaurito i fondi a disposizione), ogni via di uscita sembra preclusa. Ma Ghobadi, che invoca la protezione del Signore per i suoi protagonisti (è la didascalia "Nel nome di Dio", d’ordinanza in Iran, a introdurre il film), ha le idee chiare su quale debba essere il punto di partenza per raggiungerla: l'istruzione. Nel film possedere un semplice quaderno è un'impresa che incontra enormi difficoltà, anche assurde; ma i giovani protagonisti la perseguono con tenacia.







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