giovedì 29 giugno 2017

Tehran Noir: un bilancio

Dopo aver visto i quattro film iraniani proposti nell'edizione 2017 del Cinema Ritrovato e averne constatato la qualità non eccelsa, è lecito sollevare qualche perplessità e provare a fornire da soli altrettante spiegazioni.


Khachikian e Arman nella locandina della rassegna


Perché si è scelto un autore di b-movies come Samuel Khachikian, quando  giganti come Bahram Beizai o Darioush Mehrjui (giusto due nomi, ma se ne potrebbero fare altri) sono così poco conosciuti in Occidente? Ad esempio in Italia si è visto su scala nazionale il solo "Bashù il piccolo straniero". È vero che il festival ha un respiro internazionale, ma non è che all'estero la conoscenza dei due sia molto più ampia.

Mettendoci nei panni dei curatori, potremmo dare almeno quattro ordini di risposte.
La prima è l'assoluta invisibilità dei film fino a oggi, introvabili anche in rete con dei sottotitoli comprensibili a chi non mastichi il persiano, a differenza di alcuni film degli autori sopra citati.
La seconda è che si è aperta una finestra su un periodo altrettanto ignoto, quello degli anni Cinquanta, fondamentale per lo sviluppo dell'industria cinematografica iraniana, all'epoca davvero primitiva (come ripetuto più volte nell'incontro introduttivo). Sfidiamo chiunque a trovare edizioni internazionali di pellicole iraniane antecedenti il decennio dei Sessanta.
La terza è che stiamo parlando di clamorosi successi di pubblico e pertanto i film presentati assumono un interesse sociologico in merito ai gusti di una società ancora abbacinata dalle luci dell'Occidente, prima del rigetto che porterà alla Rivoluzione.
La quarta è che con Khachikian si è scelto l'appartenente a una minoranza etnica e religiosa, un armeno cristiano in grado di parlare a platee di persiani musulmani. L'entourage del regista aveva la stessa provenienza e ha dato un contributo impagabile allo sviluppo dell'industria culturale del paese.

C'è poi la questione della scelta dei film. Due su quattro, i più vecchi, non rientrano nel genere noir e quindi il titolo della rassegna era ingannevole, serviva forse ad attirare un po' di pubblico in più. Già detto di una qualità che ha lasciato molto a desiderare, specie per i due film fuori tema. Una replica potrebbe essere la medesima della seconda e della terza risposta di cui sopra: i due lungometraggi degli anni 50 hanno fatto, al loro modo, la storia dell'industria cinematografica del paese in maniera molto maggiore dei prodotti di genere, più caratteristici dello stile dell''Hitchcock iraniano', del decennio successivo.

Quello che invece non possiamo perdonare ai curatori - a cui per il resto non possiamo essere che grati, nonostante tutto - e l'aver omesso tutte le controversie che hanno accompagnato la carriera del regista. Sia in sede di selezione, che di introduzione critica, nessuno ha segnalato la realizzazione di un film di propaganda come "Blood and Honor" (Khoon va sharaf, 1955) che, a quanto sappiamo, avallava la repressione militare e di fatto il golpe del 1953 contro le istituzioni democratiche.


Blood and Honor

Si è poi parlato dell'importanza dei set di Khachikian come laboratori per l'apprendistato dei futuri alfieri della Nouvelle Vague. Non si è detto però che quest'ultima nacque in aperta contrapposizione al suo cinema, in cui i personaggi parlano persiano ma si comportano come americani. Una recensione di "Anxiety", di gran lunga il film migliore della retrospettiva, si intitolava addirittura "Il disastro del cinema iraniano".

Concludiamo con la scoperta più gradita: quella di un ottimo attore, anch'egli armeno iraniano, che si faceva chiamare Arman, ma che al secolo era Aramais Hovsepian. Interprete di tutti e quattro film del ciclo, ha collaborato con Khachikian anche a teatro a partire dal 1954. La sua versatile bravura non la dimenticheremo.


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