giovedì 30 maggio 2019

Divorzio all'iraniana, Kim Longinotto, Ziba Mir-Hosseini (1998)



Un documentario istruttivo sul funzionamento delle procedure di divorzio in una repubblica teocratica come l'Iran. Le autrici filmano le udienze davanti al giudice civile, che è un religioso esperto di legge islamica. Talvolta interpellano direttamente i coniugi, i quali si addentrano in particolari riguardanti persino la sfera sessuale; del resto, l'infertilità maschile è una delle poche cause per cui anche le donna può chiedere la rottura della relazione, in un regime giuridico chiaramente sbilanciato a favore dell'uomo in cui tuttavia le mogli, spesso costrette a sposarsi giovanissime, rivendicano con grinta i pochi diritti di cui godono. Poi, in diversi casi è anche una questione di soldi.

Il film, mediometraggio, è una coproduzione internazionale ispirata a una ricerca etnografica sul diritto di famiglia in Iran e Marocco di Ziba Mir-Hosseini, antropologa iraniana ricercatrice a Cambridge. Evidentemente rivolto a un pubblico estero (è infatti circolato abbastanza), "Divorzio all'iraniana" può interessare anche gli stessi iraniani, fino a divertirli con il suo sottile umorismo. I battibecchi tra sposi non saranno all'altezza dei futuri copioni di Asghar Farhadi, ma si tratta di uno spaccato sociologico, di livello ben superiore all'intrattenimento da spettacolo televisivo, in grado di ribaltare l'immagine stereotipata della donna iraniana quale vittima passiva: le sue capacita di difesa e reazione si vedono già nelle bambine.

Finanziato quasi esclusivamente dalla britannica Channel 4, per le difficoltà nel collaborare con case di produzione iraniane, tra permessi negati e pretese censorie. Trasmesso anche dalla RAI, con voice over in italiano. In Iran ha avuto solo proiezioni speciali, in festival e università.
Curiosità: la stessa Mir-Hosseini aveva tre divorzi alle spalle, di cui due in Iran.

domenica 5 maggio 2019

Il viaggiatore, Abbas Kiarostami (1974)


Gli anni settanta segnano il debutto di Abbas Kiarostami, il più importante regista iraniano, arrivato al cinema per vie traverse. Nel suo percorso di formazione vanno segnalati gli studi all'accademia di belle arti e l'esperienza come grafico, non solo pubblicitario: gli viene infatti affidata la cura dei titoli di testa di alcuni film, il più celebre dei quali è "Gheisar" di Masoud Kimiai, del 1969. Nello stesso periodo ottiene l'incarico di fondare e dirigere la sezione cinema del Kanun, un istituto pedagogico statale, nato pochi anni prima, che farà la fortuna della cinematografia persiana anche dopo la Rivoluzione. Il Kanun consente a Kiarostami di girare i primi cortometraggi e di esordire nel lungometraggio con "Il viaggiatore" (Mosafer).

Il film racconta l'ossessione di un bambino di nome Ghassem per il calcio, un tema che di tanto in tanto fa capolino nella filmografia del regista. Il protagonista vuole assistere a tutti i costi all'imminente partita di calcio della nazionale a Teheran e, pertanto, si prodiga per trovare i soldi per partire dal suo paesino e, all'insaputa della famiglia e degli insegnanti, raggiungere la capitale e lo stadio. Per perseguire l'obiettivo, Ghassem ricorre anche a furtarelli, bugie, piccole truffe.

Le pulsioni e i desideri del bambino sono più forti della severità e dell'indifferenza degli adulti e gli consentono di aguzzare l'ingegno. La ricerca del denaro è la guida dell'intero percorso; l'idea stessa del viaggio conta molto di più dell'approdo, come certificano da un lato i memorabili momenti notturni in cui il bambino si appresta, di nascosto, a partire, dal'altro la beffarda conclusione, anticipata da una sequenza in cui Ghassem sogna la punizione che lo aspetta al ritorno a scuola. Il finale, se non è lieto, non è nemmeno aperto come nei film di Kiarostami degli anni novanta. Tuttavia è risolto con secca rapidità, in modo da lasciarci solo immaginare sia le emozioni del bambino di fronte al suo desiderio inappagato, sia ciò che potrà raccontare non appena tornato a casa. E se implica la morale per cui il crimine non paga, in qualche modo necessaria per le finalità pedagogiche del Kanun, non lascia il tempo di introiettarla e di cancellare così le manovre scorrette del giovane eroe.




L'identificazione scatta nello spettatore, che si commuove per il protagonista e per la sua deliziosa avventura, raccontata da Kiarostami con uno stile già sopraffino: il suo primo film è anche il suo primo capolavoro. Chi apprezza il successivo "Dov'è la casa del mio amico"non può che amare anche "Il viaggiatore" che ne anticipa temi, contesto, atmosfera, sviluppo narrativo, impiego di attori non professionisti.* È però girato in bianco e nero, non solo per esigenze di budget, ma anche per evidenziare l'ambiente povero e mediocre in cui il protagonista vive.
Tante le sequenze rimarchevoli; la più celebre, che assume una sorta di carattere metacinematografico, è quella in cui Ghassem finge di scattare foto agli amici in cambio di denaro, con una macchina fotografica senza rullino.

Il suono registrato in presa diretta, probabilmente per la prima volta nella storia del cinema iraniano, ha creato non pochi problemi di sincronizzazione in fase post-produttiva.

Del film esiste una versione sottotitolata in italiano, trasmessa qualche volta da Fuori Orario.


*Molte di queste caratteristiche si ritrovano anche nei cortometraggi.


giovedì 2 maggio 2019

L'ambulante, Mohsen Makhmalbaf (1986)



Episodio 1, "Il bambino felice". Molto liberamente ispirato al racconto "Il pupo" di Alberto Moravia, con alcune sequenze inventate ex-novo. Una donna che vive in una baraccopoli ha avuto solo figli paralitici e, col marito, stabilisce di abbandonare quello che porta in grembo subito dopo il parto, in un sanatorio per bambini ritardati. Lo lasceranno invece vicino alla piscina di una casa aristocratica, con conseguenze inaspettate.
È la parte più realista del film, con i primi personaggi concitati e disperati che saranno una costante nella pellicola. Il regista mantiene l'ironia di Moravia declinandola in maniera differente e introduce una sorta di circolarità strutturale, caratteristica della sua filmografia.

Episodio 2: "Nascita di una vecchia": Un ragazzo psichicamente disturbato accudisce l'anziana madre, muta e paralizzata. Un giorno, lasciato l'appartamento in direzione della banca per riscuotere la pensione, viene investito e ricoverato. Preoccupato per le condizioni di sua madre, il giovane fugge dall'ospedale. Ma è troppo tardi.
Chiaramente ispirato a "Psyco", questo spezzone colloca un malato mentale in un'abitazione angusta, per poi catapultarlo in mezzo al caos metropolitano, plausibile causa della condizione di miseria e infermità in cui vive. A un tratto tenta di riparare un vetro in mille pezzi, metafora di un mondo in frantumi.

Episodio 3: "L'ambulante":
Un gruppo di contrabbandieri rapisce un venditore ambulante, che è stato testimone di un loro assassinio. Il commerciante prova a concepire - o attuare? - una serie di piani di fuga.
Un episodio allucinato e orrorifico, con protagonista un altro perdente, in cui il regista dimostra notevoli capacità nel mantenere la tensione.





Mohsen Makhmalbaf si affida a tre differenti direttori della fotografia e cura sceneggiatura, montaggio e regia; non ha ancora la propria causa di produzione e si appoggia al Circolo artistico per l’organizzazione della propaganda islamica, pur abbandonando le finalità di agitazione ideologica che hanno caratterizzato i suoi primi film, poi sostanzialmente ripudiati. In questo senso, secondo lo stesso regista, "L'ambulante" (Dastforoush), rappresenta il punto di svolta, l'atto iniziale di una seconda fase della sua carriera, caratterizzata dalla riflessione sulla giustizia.
A proposito del collega, Bahman Farmanara commenta così "L'ambulante" a un produttore filogovernativo: il coltello che avete ben affilato per le nostre gole, ora ha una doppia lama.

Come il regista ha dichiarato a Giampiero Raganelli, il film è molto filosofico e sociale. Il primo episodio è sulla nascita, il secondo sulla vita, il terzo sulla morte: la condizione umana. Ma è anche sulla condizione dell’Iran. Il film ha diversi livelli di lettura, quello filosofico sulla condizione dell’essere umano, quello sociale sulla questione dell’Iran.
Mentre sul piano stilistico, in un'altra intervista: Ne "L'ambulante" potete osservare cinque poetiche specifiche: naturalismo, realismo, espressionismo, surrealismo e, infine, simbolismo.
Di sicuro, si tratta di una delle opere più insolite del cinema iraniano, testimonianza dell'irruenta creatività visionaria, senza schemi e senza freni, del giovane Makhmalbaf.

Il film ha avuto una distribuzione italiana, in lingua originale sottotitolata.