Cinema Iraniano
venerdì 22 settembre 2023
Quattro registi iraniani in corsa per l'Oscar
martedì 5 settembre 2023
Tatami (Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi, 2023)
venerdì 1 settembre 2023
Anche Ali Asgari messo al bando
Ennesimo caso di restrizioni a un regista iraniano. Questa volta è toccato ad Ali Asgari, cineasta legato all'Italia, poiché ha studiato al DAMS di Roma Tre. Il prossimo ottobre uscirà nelle nostre sale per la prima volta un suo film, distribuito con il titolo di "Kafka a Teheran", che è proprio la pietra dello scandalo. L'opera è co-diretta da Alireza Khatami, che su Facebook ha commentato: "Non ci faremo silenziare".
Di seguito il dettaglio del provvedimento, come riportato da "Variety"
Al regista iraniano Ali Asgari , il cui ultimo film “ Versetti terrestri ” (co-diretto da Alireza Khatami) è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, le autorità iraniane hanno vietato di lasciare il paese e di dirigere film fino a nuovo avviso.
Unico film iraniano presente nella selezione ufficiale di Cannes quest'anno, “Terrestrial Verses” ha ottenuto un caloroso riscontro di critica al festival, dove è stato proiettato nella sezione Un certain Regard, ed è stato venduto da Films Boutique in tutto il mondo. Ma quando Asgari è tornato in Iran dopo la prima, gli è stato confiscato il passaporto dalle autorità locali per impedirgli di partecipare ad altri festival internazionali. Nel tentativo di metterlo a tacere, il regime iraniano ha anche minacciato di mandarlo in prigione, come è successo ad altri registi iraniani schietti. Solo un paio di settimane fa, Saeed Roustae e il suo produttore sono stati condannati a sei mesi di prigione per aver proiettato il loro film “ Leila's Brothers ” allo scorso Cannes e gli è stato anche vietato di fare film.
Aftab mishavad -The Sun Will Rise (Ayat Najafi, 2023)
Il film di apertura delle Giornate degli autori, sezione autonoma della Mostra del Cinema di Venezia, è l’iraniano "Aftab Mishavad," un film sicuramente interessante che merita un discorso approfondito. Siamo a Teheran nell’ottobre 2022, un gruppo teatrale sta provando la commedia greca "Lisistrata" di Aristofane. Durante una scena nella quale i vecchi stanno assaltando l'Acropoli conquistata dalle donne di Atene il gruppo di teatranti apprende di essere circondato dalle forze anti-sommossa che stanno marciando intorno all'edificio per sedare una grande manifestazione. Sono le proteste, quasi una rivolta, iniziate dopo la tragica morte di Mahsa Jina Amini avvenuta sotto la custodia della cosiddetta polizia morale.
È bene ricordare che "Lisistrata" è il primo testo oggi noto che tratti il tema dell'emancipazione femminile, non solo tramite il lamento patetico - a questo avevano già pensato le tragedie, una per tutte la "Medea" di Euripide - ma attraverso una collaborazione tra donne che appaiono consapevoli delle loro possibilità nell'imporre la propria volontà agli uomini. L'intento di Aristofane era rappresentare un 'mondo alla rovescia' dove il comando viene preso da chi di solito è sottomesso, con lo scopo di ottenere non la parità dei sessi (argomento ancora impensabile a quei tempi e in effetti non trattato nellìopera) ma la pace.
La scelta di questa commedia si lega al discorso che il regista iraniano vuole fare per tratteggiare l’Iran attuale. Infatti vediamo che nel film mentre il gruppo teatrale prova lo spettacolo la realtà irrompe prepotente. Il rumore della strada diventa quasi subito assordante e entra nelle prove dello spettacolo. Nella sala prove crescono paura e rabbia, e i giovani iniziano a interrogarsi. Alcuni preferiscono nascondersi, altri, guidati dall'attrice protagonista, vogliono scendere in strada e combattere a fianco delle persone che protestano. Nonostante i disaccordi, una cosa è chiara per tutti: il gruppo non vuole continuare a mettere in scena lo spettacolo durante questo tentativo di rivoluzione. Sono le attrici a prendere le decisioni, si ribaltano i ruoli e il regista viene messo in minoranza. Iniziano tutti a porsi interrogativi importanti: che senso ha fare teatro quando succede tutto ciò in strada? Protestare è più importante di un stupido spettacolo? Perché fare arte quando fuori tutto brucia?
L'ingresso improvviso di quattro sconosciuti dalla strada cambia ancora di più il discorso, trasporta la spaventosa realtà dell'esterno in questo ambiente chiuso e isolato. Il gruppo rimane nella sala prove per tutta la notte, tentando delle improvvisazioni sulla base delle storie che accadono fuori, usando i corpi e le abilità recitative come forme di disobbedienza civile.
Come dicevano inizialmente il film è molto interessante per questo dialogo che viene rappresentato e costruito, "Aftab Mishavad" è strutturato su quattro linee narrative: la commedia "Lisistrata", il documentario sulla creazione dello spettacolo, il dialogo tra attori e il regista, e la strada che prende il sopravvento su tutto il resto.
È bene ricordare che il film è stato girato in totale segretezza, per questa ragione i volti dei protagonisti non ci sono, ovviamente per tutelare l’identità delle persone ma anche per simboleggiare la censura sempre presente nel cinema iraniano. Il film è perciò un susseguirsi di piedi, corpi, nuche, ombre, quasi dei fantasmi che recitano e ragionano dentro questo momento storico così importante nella storia dell'Iran. Non tutto funziona perfettamente, a tratti si percepisce una costruzione eccessiva, ma "Aftab Mishavad" è film che fa pensare moltissimo e ha il merito di raccontare come l’Iran odierno e la sua giovane generazione sono davvero a un punto di non ritorno.
Claudio Casazza
domenica 27 agosto 2023
Panahi sul set di Five di Kiarostami
Dal 'making of' di Five, film sperimentale realizzato da Abbas Kiarostami nel 2003 e dedicato al regista giapponese Ozu.
Fotogramma 1. Jafar Panahi, Kiarostami e l'operatore Seyfolah Samadian nella casa di Panahi sul Mar Caspio, dove quest'ultimo girerà Closed Curtain (2013). Riconoscibile la locandina italiana de Lo specchio.
Fotogramma 2. Panahi sul set del collega.
Intervista a Naderi sul manifesto
Di Donatello Fumarola
Di seguito un estratto
Nel programma di Venezia Classici di quest’anno, verrà presentato il restauro digitale di Saaz dahani (Harmonica, 1973)
Che effetto ti fa ritrovarti con un tuo vecchio film in un concorso dove i tuoi ‘rivali’ sono Allan Dwan, Ozu, Visconti, Tarkovskij…
Mi piace l’idea di essere nello stesso luogo di coloro che mi hanno ispirato sin da quando ero giovane. Mi piace che il mio piccolo film passi sullo stesso schermo in cui magari poche ore prima sono passate le immagini di Ozu. Sono anche curioso di rivedere dopo tanto tempo Harmonica, che è il primo film della trilogia della mia infanzia (Waiting è il secondo, poi c’è Il corridore). Dopo i miei primi tre film girati nei teatri di posa, con grossi budget e grandi attori, decisi di fare qualcosa di diverso, perché non era quello il cinema che volevo continuare a fare. Sono contento di aver avuto la possibilità di lavorare nell’industria cinematografica, però a un certo punto ho cercato la possibilità di fare un film sulle mie esperienze, sull’ambiente in cui sono cresciuto (la strada, il sud dell’Iran), e mi sono messo in discussione come film-maker.
In Harmonica ho avuto la possibilità di lavorare con bambini che non avevano mai visto una camera prima! Sono andato nei luoghi in cui sono cresciuto (Abadan), trovando i bambini nella strada, portandoli al cinema; e mi hanno sorpreso! Dopo questo film mi sono detto di continuare in questa direzione: Waiting e Il corridore hanno approfondito quella necessità che è emersa per la prima volta in questo film. Sono grato a Kanun (l’Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti) di avermi offerto la possibilità di fare questi film, dandomi una straordinaria libertà nel fare quello che volevo, e grazie a loro il film esiste ancora ora. Un’altra delle ragioni per cui ho fatto Harmonica sono i pittori impressionisti, Manet, Monet ma anche Cezanne, Gauguin e Van Gogh. Mi sono detto «come posso fare un film sul mio passato con i colori?». Il colore nel film è fondamentale, ci ho lavorato in modo maniacale, mi ricordo che sulla spiaggia avevamo pulito tutto da segnali moderni, nessuna macchina o moto, volevo il contrasto tra il mio passato e la memoria. Ho ancora il libro sugli impressionisti che usavo come ispirazione per la combinazione dei colori naturali.
Intervista completa
https://ilmanifesto.it/amir-naderi-leta-classica-del-cinema?fbclid=IwAR0vqkdrt60EH8KzNVbYiFL2hd1hkEXGJuFfS7LVYovfW5cgeAYOcoXO8Kw
Addio Golestan
Addio a Ebrahim Golestan. Il padre del cinema iraniano d'autore, regista di Mattone e specchio, è morto il 23 agosto all'età di 100 anni