giovedì 28 marzo 2019

Tall Shadows Of The Wind, Bahman Farmanara (1979)



Stagione della semina: nel campo di un arido villaggio di montagna viene collocato uno spaventapasseri, che diventa però uno spauracchio per le persone. Mohammad, il preside della scuola e Abdollah, l'autista dell'unico autobus che conduce in città, si oppongono al fenomeno paranormale e all'idolatria degli altri abitanti verso il feticcio. Ma allo stesso tempo, chiunque veda lo spaventapasseri, che si materializza nei luoghi più reconditi, ha reazioni strane e drammatiche. Abdollah si fa beffe di questa situazione e, per scommessa, si dirige verso l'idolo, ma viene ferito e muore.

Film realizzato replicando la formula del capolavoro "Prince Ehtejab": partenza da un racconto dello scrittore Houshang Golshiri che, insieme al regista, in  due anni di lavoro estende il soggetto dalle quattro pagine originarie alle venticinque della sceneggiatura definitiva.
Meno fortunato e risolto del precedente, "Tall Shadows of the Wind" (Sayehaye bolande bad) è una riflessione sui rapporti di potere, in cui il popolo tradizionalista e superstizioso crea il proprio leader e ne viene terrorizzato e sopraffatto.

Tra le suggestive parti iniziale e finale, in cui Bahman Farmanara muove con maestria la macchina da presa in spazi ampi, limitando il ricorso ai dialoghi ma lasciando a bocca aperta per la chiarezza narrativa, la più faticosa parte centrale presenta insolite venature da horror di fantasmi, per altro verso alquanto canonico, in cui le pompose musiche creano facili tensioni nelle sequenze in notturna. 

Realizzato alla fine del regno scià, viene vietato sia prima che dopo la Rivoluzione e sostanzialmente dimenticato, nonostante la buona accoglienza alla Settimana Internazionale della Critica del Festival di Cannes 1979. Il regista emigrerà in Francia e in Canada dove continuerà a lavorare nel cinema come distributore. Tornato in Iran negli anni 90 per esigenze familiari, realizzerà un nuovo film solo nel 1999.






mercoledì 27 marzo 2019

Proiezione Oro rosso a Milano

Eccomi di ritorno al Cineforum del Circolo, con un'ospite speciale!




Uno dei migliori film di un regista scomodo e perseguitato:
"ORO ROSSO", regia di JAFAR PANAHI

Interviene Cristina Bianciardi, che ha conosciuto personalmente Panahi e Kiarostami e ha fatto la comparsa in Oro Rosso e Tickets.

Introduce e commenta il film Claudio Zito


La trama

Oro, simbolo di ricchezza, rosso, colore del sangue e metafora per la violenza. Una ricchezza smisurata che si macchia di sangue. A Teheran, due amici che vivono di espedienti, Ali e il fattorino Hussein, commettono una sanguinosa rapina in una gioielleria. Cosa li ha condotti a intraprendere un’azione del genere?

Interpreti:
Hossain Emadeddin (Hussein)
Kamyar Sheisi (Ali)
Shahram Vaziri (Il gioielliere)
Pourang Nakhael (Il ragazzo ricco)

Sceneggiatura di Abbas Kiarostami

Premio della giuria al festival di Cannes 2003 nella sezione "un certain regard".
2003 - drammatico - durata 97'

(…) Nel corso del film, il crimine appare infatti come il prodotto di un Iran di cui 
"Oro rosso" fornisce uno spaccato assolutamente straordinario. 
La società è fortemente suddivisa in classi e tali differenze sono facilmente percepibili attraverso il linguaggio, gli atteggiamenti, i comportamenti, il modo di vestire delle persone. 
La classe subalterna sopravvive a stento, fino a compiere scelte estreme, come il crimine 
e l'accattonaggio, ma senza abbandonare il sogno consumista di matrice occidentale, 
né il moralismo del Paese della rivoluzione islamica.(…) 
Claudio Zito


Come sempre si inizia alle ore 21:00, con biglietto a 3 €

CINEFORUM DEL CIRCOLO

Circolo Famigliare di Unità Proletaria

Viale Monza 140 - Milano (M1 fermata Turro e/o Gorla)

info@cineforumdelcircolo.it




Link Facebook QUI


mercoledì 20 marzo 2019

Il palloncino bianco, Jafar Panahi (1995)





Manca poco più di un'ora al Norouz, il capodanno persiano. Mentre la radio scandisce il conto alla rovescia, la piccola Razieh, sette anni compiuti, chiede a sua madre con insistenza 100 toman per comprare un nuovo e grande pesciolino rosso. Ottenuta una banconota da 500, si addentra tra le insidie di Teheran. Un incantatore di serpenti la spaventa facendo finta di dare i soldi in pasto ai rettili; arrivata al negozio si rende conto di aver perso la banconota. Quando la ritrova, non riesce a impedire che un colpo di vento la faccia finire sotto una grata. Il fratello maggiore Ali prova ad aiutarla nel recupero; un soldato si ferma a fare due chiacchiere. Ma Razieh può parlare con uno sconosciuto? Mentre la pioggia complica le operazioni, un ragazzino che vende palloncini fornisce l'aiuto decisivo, attuando un'idea di Ali.

L'opera prima di Jafar Panahi, già assistente di Abbas Kiarostami, che firma la sceneggiatura, è una classica quanto freschissima produzione nello stile dell'istituto pedagogico Kanun, i cui film hanno tanto influenzato il Panahi spettatore. La caparbietà aiuta i bambini a crescere e a stare al mondo, nonostante la sorda indifferenza degli adulti, dei quali i piccoli riescono in ultima istanza a fare a meno.
Se alquanto kiarostamiana è la sostanziale assenza della figura paterna, significativamente chiuso in casa, non inquadrato, ma che non si esime dall'impartire ordini autoritari, il regista esordiente denota già quelle attenzioni all'universo femminile e al caos della capitale che caratterizzeranno gran parte della sua filmografia.

Lunghe inquadrature, predilette rispetto agli stacchi di montaggio, accompagnano Razieh un un breve (meno di un'ora e venti) percorso a tappe, dalla valenza metaforica, verso l'appagamento di desideri infantili, perseguiti con senso del dovere (rifiuta di prendere il pesce rosso e di pagare in un secondo tempo), molta ingenuità, incrollabile costanza, e con l'aiuto di altri giovani. La circonda una Teheran laboriosa,  multietnica, brulicante di umili mercanti, ambulanti o bottegai.

Curioso che Ali faccia notare alla sorella che con 100 toman si può andare due volte al cinema. Parla a nome dell'autore e delle sue passioni?




Camera d'or a Cannes per la migliore opera prima e inizio di una carriera tanto gloriosa quanto travagliata: anche un film limpido e all'apparenza innocuo come "Il palloncino bianco" (Badkonake sefid) ha rischiato di non poter concorrere agli Oscar, a causa di tensioni diplomatiche tra Iran e Usa.

Per il "Guardian", è uno dei migliori film per famiglie. Per i lettori di questo blog, il quarto film iraniano più bello di sempre.



domenica 10 marzo 2019

Il miglior film iraniano per i follower di Cinema Iraniano

Ho proposto ai follower della pagina Facebook di eleggere il miglior film iraniano di sempre. Il sondaggio è iniziato il 2 febbraio e si è concluso il 9 marzo. Trascrivo qui i contenuti dei post e riporto tutti i risultati.





Sondaggio in due tempi

PRIMA FASE: nominate il vostro film iraniano preferito in assoluto. Valgono anche più film a pari merito, senza limiti di numero. C'è tempo fino a sabato 9 febbraio

SECONDA FASE: gli 8 film nominati più volte si sfideranno uno contro l'altro, in un mini torneo a eliminazione diretta. Il più votato sfiderà l'ultimo, il secondo il penultimo, e così via, dai quarti di finale alla finalissima.

Non valgono i film di registi iraniani prodotti all'estero. Esempi: Rhino Season, The President, Monte, Qualcuno da amare, Tutti lo sanno. Nemmeno i film sull'Iran prodotti altrove. Esempi: Persepolis, Donne senza uomini, A Girl Walks Home Alone at Night, Under the Shadow. Valgono i film girati all'estero ma di produzione iraniana. Non faccio esempi per non influenzare il sondaggio, ma in caso di dubbi consultate IMDB o altre fonti.

Votate commentando qui sotto [nel post di Facebook], non su altre bacheche che condividono il post, altrimenti perdo il conto. Grazie.

Buon divertimento!

Nel post ci sono tutte le candidature raccolte nella prima fase:


I DIMENTICATI

Conclusa la prima fase del sondaggio. Tra i film che non hanno preso neanche una menzione, ce ne sono di importanti e famosi:

About Elly, Asghar Farhadi
Dieci, Abbas Kiarostami,
Il dubbio, Vahid Jalilvand
Il silenzio, Mohsen Makhmalbaf
La mela, Samira Makhmakbaf
Lo specchio e Tre volti, Jafar Panahi

Col senno di poi, li avreste esclusi?

I QUALIFICATI

Nella prima fase del sondaggio, ben 62 film hanno preso almeno una preferenza! Questi gli otto più votati, che si sfideranno nella seconda fase:

Il sapore della ciliegia
Dov'è la casa del mio amico
Una separazione
Il palloncino bianco
Close-up
Il tempo dei cavalli ubriachi
Pane e fiore
Il corridore

Il regista con più titoli è Kiarostami (9), seguito da Panahi (6).

Qui i conteggi completi .






Risultati dei quarti di finale:


Risultati delle semifinali:


Risultati della finale:



Dunque "Il sapore della ciliegia" è il vincitore! I follower sono decisamente in sintonia con il creatore del blog.

Sommando il numero di candidature iniziali e i voti raccolti dagli sconfitti negli scontri diretti, si può stilare una top-8, che suggella il trionfo di Abbas Kiarostami, ancora amatissimo a quasi tre anni dalla morte:

1) Il sapore della ciliegia
2) Dov'è la casa del mio amico
3) Close-up
4) Il palloncino bianco
5) Una separazione
6) Il corridore
7) Pane e fiore
8) Il tempo dei cavalli ubriachi


Il gioco è stato un successo, ringrazio di cuore tutti quelli che hanno partecipato.
E, sempre, viva Kiarostami!



































venerdì 8 marzo 2019

My Tehran For Sale, Granaz Moussavi (2009)




Marzieh è una giovane attrice di pantomima che vive e lavora a Teheran, scontrandosi con la censura governativa. Un suo spettacolo viene messo al bando e Marzieh è così costretta a proseguire clandestinamente l'attività artistica. In un rave segreto incontra Saman, un iraniano che ha acquisito la cittadinanza australiana e si offre di aiutarla nell'ardua impresa dell'espatrio.

Sembrerebbe un film straniero sull'Iran, in realtà è una co-produzione tra Australia ed effettivamente Iran che viola coraggiosamente le regole censorie vigenti per l'industria cinematografica persiana, a partire dall'abbigliamento femminile e dai contatti tra donne e uomini, per giungere a tematiche tabù come: uso di droghe, gioco d'azzardo, aborto, AIDS, tentativi di lasciare il paese con modalità e pretesti disparati. 
Da una struttura temporale frammentata, esce l'abbozzo di un affresco generazionale, anche toccante laddove accompagnato dalle splendide canzoni di Mohsen Namjoo.
"My Teheran for Sale" si apre all'insegna del contrasto, con un insistito montaggio parallelo che alterna la musica moderna di una discoteca con quella folk di un rifugiato afgano. L'immigrazione (anche dal lato dell'ingresso di Marzieh in Australia) è un altro dei molti, troppi temi del film, che finiscono inevitabilmente con l'essere trattati con superficialità. A uniformare il destino delle due diverse categorie è l'intervento della gendarmeria, che reprime indistintamente chi ha buone ragioni per voler entrare in o uscire dall'Iran richiedendo, con difficoltà, la protezione internazionale.

Il film è stato girato segretamente nell'arco di due mesi senza l'approvazione del governo; una copia elettronica è stata poi esportata di nascosto e post-prodotta ad Adelaide. 




Per aver recitato in questo film, circolato clandestinamente in patria, l'attrice Marzieh Vafamehr, moglie del cineasta Naser Taghvai, è stata condannata a un anno di prigione e a novanta frustate. Anche in seguito alla pressione internazionale, la pena è stata ridotta in appello a tre mesi di carcere più il divieto di recitare ed emigrare all'estero. Vafamehr si è rivista nel 2017 nel cortometraggio "Gaze" di Farnoosh Samadi.
La sua rasatura nel film sembra citare "Dieci" di Abbas Kiarostami, mentre l'ambiente culturale underground iraniano è al centro di un opera coeva a "My Teheran for Sale" come "I gatti persiani" di Bahman Ghobadi.

La regista e sceneggiatrice Granaz Moussavi, che nella pellicola compare, è anche una rinomata poetessa.
Esiste ed è facilmente reperibile un'edizione italiana, che sconta però un doppiaggio inadeguato non solo nella recitazione, ma anche nella resa dei dialoghi. 

domenica 3 marzo 2019

Collision, Sirus Alvand (1992)


Un giovane, al volante della macchina di suo padre, accompagnato da suo cugino, investe un uomo, lo uccide si dà alla fuga. Questo malcapitato era appena uscito dall'ospedale dove era stata ricoverata la moglie, malata di insufficienza renale. La morte del marito la fa cadere ancora di più nella disperazione e la sua salute peggiora. Intanto la polizia fa le proprie indagini sull'investitore pirata, ma quando viene arrestato il padre, questi cade dalle nuvole…

Sirus Alvand ha iniziato la sua carriera come critico cinematografico e sceneggiatore e ha diretto il suo debutto cinematografico "Sanjar" nel 1971: è tra i cineasti dell'epoca pre-rivoluzione che stanno ancora lavorando. Alcuni dei suoi film sono stati successi al botteghino e nel 1993, ha vinto un Crystal Simorgh come miglior regista all'11 ° Festival Internazionale del Film di Fajr .
Questo suo film si potrebbe dire etico, con un finale conciliatore dove il cugino del protagonista offre un rene per salvare la moglie del malcapitato, vittima dell'incidente, e che arriva quasi forzato in una trama dove, purtroppo, vengono invece dati come etici alcuni temi che sarebbero difficilmente accettati da un pubblico occidentale: si parla di un matrimonio combinato tra famiglie ricche per aumentare i profitti senza il consenso della sposa (che alla fine va a rotoli), si apprende che in Iran ci sono ospedali legali dove la povera gente vende un rene e il medico dice dove possono andare a comprarlo; ignoro le leggi iraniane ma stupisce che se vieni fermato dalla polizia devi portare le scritture originali della proprietà della tua casa. La storia non è progressista e i personaggi non sono convincenti nel loro agire. Insomma, il film risulta alla fine come appena sufficiente, ma per chi voglia vedere tanto cinema iraniano, è una finestra su quel paese al principio dei '90.

Articolo di Nicola Pezzella





sabato 2 marzo 2019

Gheisar, Masoud Kimiai (1969)

Il 1969 segna di inizio della Nouvelle Vague iraniana, anticipata dai lavori pioneristici della casa di produzione di Ebrahim Golestan. Nel '69 escono da un lato "The Cow" di Dariush Mehrjui, che guarda più alle scuole europee, dall'altro "Gheisar" di Masoud Kimiai, che modernizza il tradizionale persiano tough-guy movie (film con protagonista il 'duro' del quartiere), sottogenere del commerciale filmfarsi.






La pellicola di Kimiai, tra le più importanti del cinema prerivoluzionario e tra i più grandi successi di sempre in Iran, ha la trama di un revenge movie fortemente intriso di connotazioni morali, intorno al tema dell'onore leso.

La giovane Fati si suicida dopo essere stata violentata e messa incinta da un uomo che si rifiuta di mantenere la promessa di sposarla. Suo fratello Faarman (Naser Malek Motiee), che dopo il pellegrinaggio alla Mecca non è più la testa calda di un tempo, si propone di vendicarla, ma viene ucciso dai parenti dello stupratore. Di ritorno da un viaggio di lavoro, l'altro fratello Gheisar (Behrouz Vossughi), nonostante la contrarietà della sua onesta e rispettabile famiglia, decide di eliminare, uno per uno, i tre responsabili degli eventi accaduti, anche a costo di rompere il fidanzamento con A'azam, la ragazza di cui è profondamente innamorato, in questo modo disonorandola.

L'ottima regia di Kimiai migliora una storia piuttosto convenzionale, soprattutto grazie ad alcune sequenze fortemente scenografiche, che corrispondono principalmente ai fatti di sangue. La prima vendetta di Gheisar si consuma sotto una doccia dei bagni termali pubblici; una chiara citazione di "Psyco", ma priva di commento musicale. La seconda è in una macelleria, con una similitudine esplicita. La terza è anticipata da un sottofinale significativo e altrettanto suggestivo e riuscito: dato l'addio ad A'azam, Gheisar rintraccerà la sua preda (in un deposito ferroviario in cui sarà braccato dalla polizia) grazie alla conturbante ballerina Soheyla (Shahrzad), che la notte prima dello scontro lo ospita a casa, dopo essersi esibita in un provocante numero di canto e danza, tipico del filmfarsi. La sequenza si conclude con il protagonista che pare non cedere alla seduzione, essendo concentrato su quanto lo attende il giorno dopo.




La chiave della popolarità del film sta senz'altro nella commistione tra la spettacolare drammaticità della vicenda e i valori conservatori incarnati dall'antieroe (il cui eloquente nome significa 'Cesare'), evoluzione della figura-tipo del luti, generoso coi poveri, i deboli e le donne, ma qui deciso a compiere atti criminali per amore e rispetto verso la propria famiglia; il 'duro', morso da dolore e rabbia, piange solo per sua madre, morta di crepacuore per le tragedie occorse.

Con "Gheisar" si afferma la stella di Behrouz Vossoughi, il divo più popolare della storia del cinema iraniano. Gli episodi di fanatismo nei suoi confronti sono quasi inimmaginabili per il pubblico occidentale. Ad esempio, a Tabriz la folla lo solleva e lo trasporta sulle braccia dall'hotel al cinema dove è proiettato il film.




I titoli di testa, che inquadrano i tatuaggi di un corpo muscoloso, raffiguranti personaggi ed episodi de "Il libro dei re" di  Ferdousi, sono a cura di Abbas Kiarostami, all'epoca grafico e non ancora regista.

All'uscita, il film divide la critica, comunque in prevalenza favorevole. Secondo i detrattori, lo stile di ripresa occidentaleggiante non si sposa con un contesto così esageratamente tradizionale. Nel 2009 la rivista "Film" inserisce "Gheisar" tra i migliori lungometraggi iraniani di sempre.
Infine, nel 2018 Vossoughi e Shahrzad vengono omaggiati da Jafar Panahi in "Tre Volti".  L'attrice è il terzo volto, quello nascosto; colei che oggi vive in Iran ma nei film non può nemmeno comparire.


I sottotitoli in italiano di "Gheisar" si possono scaricare cliccando qui.