venerdì 21 settembre 2018

"Il dubbio" correrà per gli Oscar. Polemiche in patria

Sarà “Il dubbio – Un caso di coscienza” il candidato dell’Iran ai prossimi premi Oscar. Una scelta logica, vista la messe di premi raccolti dal film in giro per il mondo, di cui due alla Mostra di Venezia nel 2017. Eppure, secondo quanto riporta l’agenzia AFP, una scelta che ha suscitato polemiche in patria. Non solo per il titolo candidato: anche per l’opportunità di partecipare allo show hollywoodiano in un periodo di tensioni tra Teheran e Washington.

Il film di Vahid Jalilvand racconta la storia di due uomini tormentati dal senso di colpa per la morte di un ragazzo in un incidente stradale, in un contesto di diseguaglianza sociale.




Il portavoce della Farabi Cinema Foundation, incaricata di selezionare il concorrente iraniano nella categoria del miglior film in lingua straniera, ha commentato: Ogni anno c’è lo stesso dibattito sulla possibilità o meno di presentare un film per la corsa alle statuette. La decisione degli Stati Uniti di abbandonare l'accordo nucleare con la Repubblica islamica, e di reimporre le sanzioni, quest'anno ha indotto alcuni a proporre un boicottaggio degli Oscar, ha detto, riferendosi agli ambienti conservatori.

Difendendo la sua decisione, la Fondazione ha affermato che i membri dell'Academy – l’organizzatrice dell'evento – sono stati tra i principali critici del governo populista di Trump e delle sue politiche segnate dal razzismo e dall'unilateralismo. La scelta de "Il dubbio" è stata confermata dal successo all'estero e dagli sforzi del suo distributore per portare il film sugli schermi negli Stati Uniti.

Ma la stampa ultra-conservatrice non si è convinta. Come Trump nelle interviste e nei tweet rappresenta l'Iran come una nazione abbandonata dalla speranza e impantanata nella povertà e nella miseria, così è stato scelto per gli Oscar “Il dubbio”, un film dei più amari e oscuri, è il commento del giornale Javan. La fondazione avrebbe sperperato un'opportunità d'oro per illustrare al mondo i valori dell'Iran non nominando un altro film, "Damascus Time", sulla lotta contro i jihadisti in Siria.

Il film del regista Ebrahim Hatamikia, finanziato dai Guardiani della rivoluzione, la milizia ideologica del paese, è stato un successo al botteghino di Teheran.



Dopo che tre film sono stati selezionati da un campo di 110 concorrenti, il fattore decisivo per “Il dubbio” è stato il poter contare su un efficiente distributore internazionale, ha confermato Houshang Golmakani, critico e co-fondatore di Film Magazine, rivista iraniana mensile sul cinema. L'argomento lo rende un film caustico nel ritrarre la vita in Iran, ha detto ad Afp. Ma il compito dell'arte non è sponsorizzare il proprio paese.

Nel 2017, Asghar Farhadi vinse il suo secondo Oscar per il miglior film straniero con "Il cliente", ma boicottò la cerimonia di premiazione a Los Angeles per protesta contro le politiche di Trump sull'immigrazione.

sabato 15 settembre 2018

Acrid - Storie di donne, Kiarash Asadizadeh (2013)

A Teheran e nei paraggi, si inseguono e concatenano le difficili vicende di quattro donne tradite dagli uomini. L'infermiera Soheila ha per marito un ginecologo che assume solo segretarie nubili. Per ultima Azar, una signora donna sposata con figli, che nasconde il suo stato civile. Il marito di costei, istruttore di scuola guida, ha una relazione con l'insegnante di chimica Simin, la cui sorella non riesce a staccarsi da un marito alcolizzato e violento. Allieva di di Simin è Mahsa, la figlia del ginecologo, che teme che il suo fidanzato voglia lasciarla.

Il regista esordiente non fa pesare lo sguardo maschile nel tratteggiare la questione di genere, strettamente connessa a quella lavorativa: il film, strutturato un po' come "Il cerchio", inizia con lo stressante soccorso a un paziente down, a testimoniare la mole del fardello che pesa sulle donne. 

Senza musiche, con uno classico stile da cinema d'autore, "Acrid" raggiunge punte drammatiche quasi insostenibili ma non sfocia mai in tragedia. Gli esisti sono alterni, con sequenze notevoli per qualità della messa in scena, come quella del colloquio per la segreteria, ed altre patetiche come la successiva del litigio in casa di Azar, in cui volano parole che non si sentono spesso a queste latitudini.  Rimarchevole la direzione degli attori, specie degli adulti.

In Italia è uscito in sala, è stato pubblicato in dvd, ora è disponibile in streaming: non se n'è accorto nessuno. Il titolo originale, Gass, significa 'aspro', ed è stato bizzarramente tradotto con l'equivalente inglese.



martedì 11 settembre 2018

Farhadi: "Per me è essenziale fare film in Iran"

Asghar Farhadi ha dichiarato a Khabar Online, secondo quanto riferito da Iran Cine News, che probabilmente farà il suo prossimo film in Iran, dal momento che è iraniano, e anche perché… non è Woody Allen!

Il suo film spagnolo “Todos lo saben”, che non ha ancora una data di distribuzione italiana (ammesso che esca) schiera la stessa coppia di attori protagonisti di “Vicky Cristina Barcelona”, Javier Bardem e Penelope Cruz. Ed ecco che è scattato il paragone con il grande maestro della commedia americana.

A.F. con il grande attore iraniano Ezatollah Entezami, recentemente scomparso


Riguardo al futuro della sua carriera, Farhadi ha così dichiarato: "Non voglio entrare nel processo di realizzazione di un film in Iran e uno all'estero. D'altra parte, a differenza di Woody Allen, non mi interessa vagare per il mondo."

Ha continuato: "Quello che so è che molto probabilmente farò il mio prossimo film in Iran. Per me è essenziale e vitale non solo fare film in Iran, ma anche distribuirli e proiettarli prima nel mio paese ". 
"Poiché condividiamo lo stesso background, la reazione del pubblico iraniano ai sentimenti e alle emozioni suscitate dai miei film è molto intima ed empatica. Mi piace l'esperienza di fare film in diverse culture e lingue, ma sono essenzialmente iraniano, e rimango così. "

lunedì 10 settembre 2018

As I Lay Dying, Mostafa Sayari (2018)

Ancora un film iraniano a Venezia Orizzonti, ancora un indagine (non poliziesca) intorno a un cadavere: hanno qualcosa in comune il fortunato film del 2017 "Il dubbio - Un caso di coscienza", e "As I Lay Dying" (Hamchenan ke Mimordam), opera prima di Mostafa Sayari liberamente ispirata all'omonimo romanzo di William Faulkner.




Di un ottantenne appena deceduto sappiamo quanto ci raccontano i quattro figli Leila, Siamak, Ahmad e Majid, cioè che era odiato pressoché da tutti e che non si fidava di nessuno, tranne che dello stesso Majid, nato da madre diversa rispetto ai fratellastri; che negli ultimi tempi era impazzito e che nel testamento ha richiesto di essere sepolto in un paesino ignoto, raffigurato in una fotografia sbiadita. I quattro caricano il cadavere in auto e si avventurano in un viaggio verso questa meta indefinita; man mano lo spettatore e, parallelamente, il burbero Ahmad, raccolgono ciascuno elementi diversi per nutrire il fondato dubbio che sia tutta una macchinazione di Majid.

Come ormai di consueto per i film iraniani visibili all'estero, sono più le cose che si scoprono che quelle che accadono. Ma questo road movie crepuscolare, che ricorda il cinema dell'habitué del festival di Berlino Mani Haghighi ("Modest Reception", "A Dragon Arrives!") ha il pregio di non scoprire tutte le carte, mantenendo una tensione latente mai destinata a esplodere sul serio, e un preciso alone di mistero. I silenzi, i sussurri, le rievocazioni nostalgiche accennate soltanto e prive di retorica, celano un lato macabro, con il cadavere che gradualmente si decompone, inquadrato raramente e quando nessuno se lo aspetta.

Ci sarebbero poi antiche ruggini, ostracismi sociali, drammi familiari: rimangono però in superficie; banale è l'allucinazione di Majid che si rivede bambino, inconsistenti sono i personaggi di Siamak e Leila. La forza del film è solo nelle suggestioni che sa evocare. Ma è palpabile.