Episodio 1, "Il bambino felice". Molto liberamente ispirato al racconto "Il pupo" di Alberto Moravia, con alcune sequenze inventate ex-novo. Una donna che vive in una baraccopoli ha avuto solo figli paralitici e, col marito, stabilisce di abbandonare quello che porta in grembo subito dopo il parto, in un sanatorio per bambini ritardati. Lo lasceranno invece vicino alla piscina di una casa aristocratica, con conseguenze inaspettate.
È la parte più realista del film, con i primi personaggi concitati e disperati che saranno una costante nella pellicola. Il regista mantiene l'ironia di Moravia declinandola in maniera differente e introduce una sorta di circolarità strutturale, caratteristica della sua filmografia.
Episodio 2: "Nascita di una vecchia": Un ragazzo psichicamente disturbato accudisce l'anziana madre, muta e paralizzata. Un giorno, lasciato l'appartamento in direzione della banca per riscuotere la pensione, viene investito e ricoverato. Preoccupato per le condizioni di sua madre, il giovane fugge dall'ospedale. Ma è troppo tardi.
Chiaramente ispirato a "Psyco", questo spezzone colloca un malato mentale in un'abitazione angusta, per poi catapultarlo in mezzo al caos metropolitano, plausibile causa della condizione di miseria e infermità in cui vive. A un tratto tenta di riparare un vetro in mille pezzi, metafora di un mondo in frantumi.
Episodio 3: "L'ambulante":
Un gruppo di contrabbandieri rapisce un venditore ambulante, che è stato testimone di un loro assassinio. Il commerciante prova a concepire - o attuare? - una serie di piani di fuga.
Un episodio allucinato e orrorifico, con protagonista un altro perdente, in cui il regista dimostra notevoli capacità nel mantenere la tensione.
Mohsen Makhmalbaf si affida a tre differenti direttori della fotografia e cura sceneggiatura, montaggio e regia; non ha ancora la propria causa di produzione e si appoggia al Circolo artistico per l’organizzazione della propaganda islamica, pur abbandonando le finalità di agitazione ideologica che hanno caratterizzato i suoi primi film, poi sostanzialmente ripudiati. In questo senso, secondo lo stesso regista, "L'ambulante" (Dastforoush), rappresenta il punto di svolta, l'atto iniziale di una seconda fase della sua carriera, caratterizzata dalla riflessione sulla giustizia.
A proposito del collega, Bahman Farmanara commenta così "L'ambulante" a un produttore filogovernativo: il coltello che avete ben affilato per le nostre gole, ora ha una doppia lama.
Come il regista ha dichiarato a Giampiero Raganelli, il film è molto filosofico e sociale. Il primo episodio è sulla nascita, il secondo sulla vita, il terzo sulla morte: la condizione umana. Ma è anche sulla condizione dell’Iran. Il film ha diversi livelli di lettura, quello filosofico sulla condizione dell’essere umano, quello sociale sulla questione dell’Iran.
Mentre sul piano stilistico, in un'altra intervista: Ne "L'ambulante" potete osservare cinque poetiche specifiche: naturalismo, realismo, espressionismo, surrealismo e, infine, simbolismo.
Di sicuro, si tratta di una delle opere più insolite del cinema iraniano, testimonianza dell'irruenta creatività visionaria, senza schemi e senza freni, del giovane Makhmalbaf.
Chiaramente ispirato a "Psyco", questo spezzone colloca un malato mentale in un'abitazione angusta, per poi catapultarlo in mezzo al caos metropolitano, plausibile causa della condizione di miseria e infermità in cui vive. A un tratto tenta di riparare un vetro in mille pezzi, metafora di un mondo in frantumi.
Episodio 3: "L'ambulante":
Un gruppo di contrabbandieri rapisce un venditore ambulante, che è stato testimone di un loro assassinio. Il commerciante prova a concepire - o attuare? - una serie di piani di fuga.
Un episodio allucinato e orrorifico, con protagonista un altro perdente, in cui il regista dimostra notevoli capacità nel mantenere la tensione.
Mohsen Makhmalbaf si affida a tre differenti direttori della fotografia e cura sceneggiatura, montaggio e regia; non ha ancora la propria causa di produzione e si appoggia al Circolo artistico per l’organizzazione della propaganda islamica, pur abbandonando le finalità di agitazione ideologica che hanno caratterizzato i suoi primi film, poi sostanzialmente ripudiati. In questo senso, secondo lo stesso regista, "L'ambulante" (Dastforoush), rappresenta il punto di svolta, l'atto iniziale di una seconda fase della sua carriera, caratterizzata dalla riflessione sulla giustizia.
A proposito del collega, Bahman Farmanara commenta così "L'ambulante" a un produttore filogovernativo: il coltello che avete ben affilato per le nostre gole, ora ha una doppia lama.
Come il regista ha dichiarato a Giampiero Raganelli, il film è molto filosofico e sociale. Il primo episodio è sulla nascita, il secondo sulla vita, il terzo sulla morte: la condizione umana. Ma è anche sulla condizione dell’Iran. Il film ha diversi livelli di lettura, quello filosofico sulla condizione dell’essere umano, quello sociale sulla questione dell’Iran.
Mentre sul piano stilistico, in un'altra intervista: Ne "L'ambulante" potete osservare cinque poetiche specifiche: naturalismo, realismo, espressionismo, surrealismo e, infine, simbolismo.
Di sicuro, si tratta di una delle opere più insolite del cinema iraniano, testimonianza dell'irruenta creatività visionaria, senza schemi e senza freni, del giovane Makhmalbaf.
Il film ha avuto una distribuzione italiana, in lingua originale sottotitolata.
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