Dopo l'Orso d'oro a Berlino ottenuto da "There Is no Evil" di Mohammad Rasoulof , in un anno ricco di soddisfazioni per il cinema iraniano sono giunti anche i riconoscimenti di Miglior film e Miglior sceneggiatura al Torino Film Festival per "Botox" di Kaveh Mazaheri. Il regista è al debutto nel lungometraggio di fiction, dopo una robusta gavetta contrassegnata da cortometraggi e documentari, spesso con donne protagoniste.
A suggerire all'autore il soggetto di "Botox" sono stati alcuni elementi reali: una persona di sua conoscenza che ha ispirato il personaggio di Akram, l'enorme lago salato (e non ghiacciato, come potrebbe sembrare) di Hoz-e Soltan, la scoperta che molte donne iraniane coltivano funghi allucinogeni. Con perizia, Mazaheri ha messo insieme tali elementi per costruire un'opera che non si può incasellare non solo in un genere specifico, ma neanche all'interno della dicotomia commedia-dramma, né attribuirle una messa in scena realistica o surreale-onirica. Pure gli accostamenti a modelli stranieri appaiono forzati, né il cinema persiano ha prodotto opere simili, anche se a volte si ritrovano altrove analoghi riferimenti, ad esempio, al diffuso ricorso alla chirurgia estetica, all'emigrazione all'estero, alla rivalsa femminile verso una società patriarcale.
Il film si apre con Akram, una donna con evidenti problemi mentali, che guarda come ipnotizzata un episodio di "Willy il Coyote e Beep Beep". Presto conosciamo gli altri protagonisti: sua sorella Azam e suo fratello Emad. La prima caldeggia la piantagione di funghi, con l'aiuto di un ingegnere con cui ha una relazione molto amichevole (forse la censura impedisce al regista di esplicitarla come amorosa). Il secondo vorrebbe emigrare in Germania; possiede anche un'auto con targa tedesca. Quando, sul tetto innevato dell'abitazione, Emad prende in giro Akram, questa lo fa ruzzolare giù con un calcio e lo riduce in fin di vita. La sequenza, che giunge dopo circa 21 minuti, oltre a segnare la svolta nella trama, è una delle migliori del film: una long-take di 4 minuti con inquadratura fissa e frontale, in cui risalta il taglio obliquo dell'immagine creato dal tetto spiovente.
Come era inerte con suo marito moribondo la protagonista del cortometraggio "Retouch" (2017) dello stesso autore, così Azam non fa nulla per salvare suo fratello. Peggio: si premura di soffocarlo per dargli il colpo di grazia. Lo fa in cucina, in un'altra splendida inquadratura frontale in cui Akram, nella stanza adiacente, si massaggia i piedi, affaticati per aver trascinato il corpo, mentre la macchina da presa filma dal corridoio, con la parete a creare un effetto split screen.
Per quanto riguarda invece l'occultamento del cadavere, lo stesso Emad aveva segnalato il lago salato come luogo in cui, ai tempi dello scià, la polizia politica faceva sparire i dissidenti, poiché sovrasta una palude.
È solo dopo 42 minuti che conosciamo l'attività principale di Azam: lavora in un centro estetico. Qui scopriamo anche, per bocca di Akram, che quest'ultima ha 11 anni in più di sua sorella.
Nel frattempo, la minore giustifica più volte la sparizione di Emad derubricandola a caso di emigrazione clandestina, mentre è sempre più palese che Akram non si è resa conto di quanto accaduto, nonostante abbia avuto parte attiva. Finché un giorno, al bazar, non immagina di essere a Berlino, in una sequenza in cui lo stile del film muta; la macchina da presa, mobile, e il montaggio restituiscono un senso di onirico, o meglio di allucinatorio. È solo il prodromo alla ricomparsa di Emad, con cui il film si chiude.
Abbiamo assistito per tutto il tempo ai deliri di Akram? I funghi hanno agito su tutti i personaggi (e... sullo spettatore)? O forse il registro non era realistico come appariva, e un uomo morto ha potuto ridestarsi come Willy il Coyote si schianta e si rialza senza colpo ferire? Non mancano certo gli elementi metaforici, in un film che sin dal titolo opta per un simbolo di manipolazione della realtà e del tempo che passa. Come spiega il regista: nel processo di iniezione del botox, succede di fatto qualcosa che dà alla persona l’illusione di essere giovane. Infatti uccidendo e paralizzando temporaneamente alcuni muscoli, puoi raggiungere il tuo sogno.
Immerso in suggestivi paesaggi bianchi e lividi, "Botox" è un film che spiazza, anche se a volte sembra farlo in modo troppo freddo, calcolato. Quasi insostenibile è il cinismo coi cui Azar commette un omicidio - ben oltre l'omissione di soccorso: inizialmente si preoccupa solo dello stendino su cui Emad cade, trascina poi il corpo senza spaventarsi per le telefonate che riceve e per il suono del campanello della porta d'ingresso, conclude l'uccisione con tutte le sue forze, infine occulta la salma.
Se Akram, a modo suo, pensa sempre a Emad - dice di averlo visto, nota il suo cappello sul capo della sorella, pronuncia "ti amo" in tedesco, chiede quali regali porterà al suo ritorno - Azar non ha il minimo ripensamento, non un rimorso, mai il dispiacere per il fratello morto; solo un pianto nervoso, alcuni giorni dopo il delitto, di ritorno dal lago: il montaggio però stacca molto presto, per non darci la possibilità di sapere quanto la contrizione sia durevole e profonda, né se è dovuta al dolore per la perdita di una persona cara, o al senso di colpa, o alla situazione stressante. Questa mancanza di spiegazioni, specie sull'origine di tanta cattiveria verso un parente stretto (ucciso solo perché contrario a investire soldi nella piantagione?), se è giustificata in un cortometraggio, può apparire invece gratuita in un'opera drammaturgicamente complessa.
Sempre sul piano dello svolgimento narrativo, il film sconta un alcune ripetizioni un po' meccaniche, se è vero che diverse sequenze si concludono o con una reazione manesca di Akram - come se la confusione mentale, anche per quanto successo, la mandasse in un cortocircuito, che sfocia poi in violenza - o con un rimprovero di Azar alla sorella, la quale, col suo ritardo mentale e il suo candore da bambina, rischia di far scoprire l'inganno.
Certo è però che siamo al cospetto di un regista esordiente di assoluto talento e grande consapevolezza: seguiremo senza indugio Kaveh Mazaheri nei suoi cimenti futuri. Merita infine una standing ovation Sussan Parvar, attrice comica che qui interpreta magistralmente un personaggio delicato e non solo buffo - anzi - come quello di Akram.
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