giovedì 6 aprile 2017

Tehroun, Nader T. Homayoun (2009)

Pubblicato su Ondacinema il 21/09/2009







La causa è probabilmente la più prevedibile: una censura ormai soffocante. Fatto sta che ormai gran parte dei nuovi autori della sempre prolifica cinematografia persiana cresce artisticamente all'estero, contribuendo alla gigantesca fuga di cervelli che contraddistingue i settori di punta della cultura - e dell'economia - del suo Paese d'origine.

Nomi relativamente poco noti, poiché quella stessa cinematografia suscita meno interesse che in passato. Tuttavia, autori che, con le loro prime opere, ne lasciano intravvedere un futuro florido.

Babak Payami, Rafi Pitts, Babak Jalali, fresco debuttante a Locarno col più che interessante "Frontier Blues", per citarne alcuni; la videoartista Shirin Neshat e la graphic novelist Marjane Satrapi, prestate occasionalmente alla settima arte, tutta gente che ha studiato e che lavora negli Stati Uniti, in Gran Bretagna o in Francia. E' quest'ultima nazione a ospitare Nader T. Homayoun, tendendone a battesimo l'esordio nel lungometraggio di fiction.




"Tehroun" è innanzi tutto un solidissimo film di genere, un potente noir claustrofobico, una coinvolgente immersione nei bassifondi della metropoli, splendidamente fotografata in notturna. Un racconto dai ritmi serrati, teso e denso dall'inizio alla fine, che non annoia un solo istante e che sorprende per la padronanza del mezzo e la disinvoltura di un linguaggio facilmente decodificabile (da critica e pubblico occidentali) palesati dal giovane cineasta. Soprattutto per una narrazione che spiazza di continuo, con ribaltamenti e colpi di scena che disorientano e appassionano.

Se però la fluidità e la forza dell'opera segnano il primo impatto di "Tehroun" sullo spettatore, un secondo livello di lettura s'impone, specie per chi ha una minima conoscenza della società persiana, sin dalla prima sequenza, insinuandosi per tutto lo svolgimento di un film sempre in bilico tra intelligente passatempo e spietata radiografia politica.

Homayoun infatti demolisce la società che raffigura sin dalle fondamenta, cominciando dall'istituto della carità, cioè da uno dei cinque pilastri - probabilmente il più attaccabile, per sperare in una svista dei censori - di quella che è la religione di stato. Uno dei principi chiave, per estensione, della Repubblica islamica, colpito frontalmente poiché a servirsene è un impostore, che per tali scopi approfitta dell'innocenza di un neonato e che finirà (per contrappasso) per averne assoluta necessità. Ma anche i donatori sono avvolti dai dubbi, da un costante scetticismo, spesso vi adempiono per abitudine e svogliato senso del dovere, altre volte rifiutano di farlo. La critica si allarga all'avidità dei ricchi e arriva all'insensibilità affarista della finanza islamica, in una sequenza che si chiude significativamente con una fugace inquadratura sfocata del ritratto dell'imam Khomeini.




Non sono i bersagli più facili ad essere colpiti, dunque. Se è vero che ci è mostrato come una prostituta possa facilmente essere scambiata per una studentessa, non è certo il tema della condizione femminile a risultare prevalente; né la mancanza di libertà di espressione appare prioritaria, in una realtà stritolata da impellenti necessità materiali e insormontabili difficoltà relazionali. Cruciali risultano invece il problema dell'occupazione giovanile, così carente, precaria, sottopagata, sul filo dell'illegalità, al pari della delinquenza dilagante e della crisi dell'istituto del matrimonio: questione evidenziata in maniera drammatica per tutto il film, ma con ironia in almeno una sequenza, laddove una cerimonia nuziale è interrotta dalla telefonata di un lenone.

Il dedalo di avventure susseguitesi nell'arco di tutta l'opera sembra sciogliersi in un lieto fine, che lo spettatore si accinge a godere in maniera rilassata. Ma regista e sceneggiatore, pare dopo aver riflettuto parecchio su quale fosse la conclusione più efficace, optano per la tragedia, unica prospettiva di un Paese in cui, allo stato attuale, qualsiasi ottimismo è fuori luogo. L'ultimo colpo di teatro è mostrato in un piano-sequenza, in campo medio, con il fulcro dell'azione decentrato.

Sullo sfondo, ancora una volta l'immagine del grande padre della patria, l'ayatollah Ruhollah Khomeini.

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