sabato 5 gennaio 2019

Libro: Abbas Kiarostami - L'evidenza del film, Jean-Luc Nancy (2004)


Probabilmente dico troppo in una volta e troppo velocemente. Ma è così che funziona con un film. 
È la simultaneità di una successione: il paradosso del continuo. Jean-Luc Nancy




Un libro sul cinema scritto da un illustre filosofo non può che essere un evento. E così fu per "Abbas Kiarostami - L'evidenza del film" di Jean-Luc Nancy, studioso di questioni politico-sociali e dichiaratamente inesperto (o quasi) di cinema, che nel 2001, epoca in cui i libri su Abbas Kiarostami si moltiplicavano, si aggiunse ai tanti commentatori del più celebre regista persiano, per altro suo coetaneo. Uscito in Italia nel 2004, il testo si era già aggiudicato il Premio Filmcritica 'Umberto Barbaro', e da allora figura in quasi tutte le bibliografie sull'argomento.

Aperto da una nota di Edoardo Bruno e una prefazione di Alfonso Cariolato, il libro si struttura poi in quattro parti. Una riflessione su una dozzina di temi, che corrispondono ad altrettanti paragrafi, che il filosofo rileva nei film del cineasta, dal "Rispetto" a... "Che cosa rotola", dallo "Sguardo" al "Trasporto". Un mini saggio è dedicato a "E la vita continua", il film galeotto che ha suscitato l'interesse e l'entusiasmo di Nancy (come del resto dell'altro Jean-Luc: Godard). Segue una conversazione tra lo studioso e lo studiato, in cui si indagano ad esempio i rapporti di Kiarostami con l'arte tradizionale persiana. Chiudono il volume, in appendice, due interviste rispettivamente a Nancy e a Kiarostami, già comparse su Filmcritica.




Si tratta di un saggio così fondamentale? Probabilmente no, almeno per chi cerca analisi più aderenti al testo filmico, che si possono ritrovare in tanti libri su un cineasta studiatissimo. Lo sguardo eterodosso di un outsider di grande cultura extracinematografica, che sceglie Kiarostami come emblema di molto cinema contemporaneo, a cui ritiene di poter allargare la riflessione, produce alcune intuizioni argute, ma di rado illuminanti, alternate a lunghe elucubrazioni non tanto vacue, quanto piuttosto risapute (l'autore ne è consapevole e mette spesso le mani avanti). Se forse non ci eravamo accorti che, all'epoca, un regista così metacinematografico non aveva ambientato alcun film in una sala cinematografica, il fatto che nei dialoghi non impieghi il classico campo/controcampo non può certo suscitare la sorpresa del lettore. Figuriamoci di chi gli dedica un libro.

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