Avevo
già recensito alcuni film della classifica
alternativa dei migliori film iraniani del nuovo secolo. Ad
esempio il n.7:
Inedito
in sala, transitato fugacemente per i festival italiani, vincitore
della ventunesima edizione di quello milanese dedicato al
cinema d'Africa,
Asia e America Latina, già nel catalogo dvd "Cineclub"
della Bim Distribuzione, dal maggio 2011 anche su Raitre nella
programmazione di Fuori Orario, l'esordio nel lungometraggio della
diciannovenne figlia
e sorella d'arte Hana Makhmalbaf è
un debutto senz'altro promettente per un talento grezzo che
successivamente confermerà le proprie doti nel raffazzonato "Green
Days", in attesa di ulteriori e più mature prove, si spera
supportate da una produzione degna di questo nome. Aperto e chiuso
dalle immagini di repertorio dei Buddha giganti di Bamiyan fatti
esplodere dai talebani nel 2001, il film si concentra sulla vergogna
(termine incluso nel titolo internazionale) quotidiana che si consuma
sotto le loro rovine, in un Afghanistan contemporaneo senza legge,
più che in balia di un'aggressione e della conseguente resistenza.
In poche sequenze molto lunghe, la breve pellicola affronta in
particolare due temi centrali, per quanto non nuovi, nel cinema di
quelle latitudini: l'educazione repressiva in famiglia e a scuola, la
cultura della guerra e della violenza che pervade la società.
Il
primo è argomento persino abusato dagli autori iraniani, specie
nella prospettiva dei bambini (che l'autrice sa dirigere benissimo),
adottata da un film al cento per cento sull'infanzia. Se il piccolo
Abbas viene addirittura legato per una caviglia (e i suoi coetanei
fanno lo stesso coi neonati) per impedire che si perda negli spazi
immensi a duemilacinquecento metri di altitudine tra le grotte
adibite ad abitazioni di pietra, una scuola che si rivelerà
altrettanto severa (affollate classi sovente all'aperto, divisione
per sesso, punizioni umilianti) è ambita da Bakhtay, invidiosa delle
capacità di lettura di Abbas e delle bambine a cui i genitori
comprano la cancelleria. Nella sequenza più tipicamente iraniana del
film Bakhtay cerca in tutti i modi l'attrezzatura per emularli, col
baratto e con il mercato, muovendosi tra adulti indifferenti (per lo
più fuori campo) se non dannosi (uno le fa cadere le uova che cerca
di vendere), reiterando azioni e richieste, svelando un mondo
primitivo (interi manzi macellati giacenti in terra in mezzo alla
polvere), ma al contempo universale per come avvengono le relazioni
tra gli uomini. Pare esplicita la citazione de "Il
pane e il vicolo",
ma altre opere di Kiarostami,
come "Dov'èla casa del mio amico" e "Il
viaggiatore",
nonché molti film recenti degli altri Makhmalbaf (non
a caso produzione, sceneggiatura e scenografie sono a conduzione
familiare), balzano alla memoria.
Il
salto di qualità si produce però quando "Sotto le rovine del
Buddha" si concentra sul secondo tema-chiave, sottolineando come
espressioni agghiaccianti quali "quando cresco vi uccido" e
"muori e sarai libera" appartengano al lessico ludico dei
futuri adulti afgani. Le sequenze in cui bambini organizzati in
squadre giocano alla guerra con i toni e i modi di chi la sta
combattendo sul serio, o la finta lapidazione di cui i giovani boia
assicurano la veridicità, sono peculiari di una durezza inaudita che
rende il film sanamente controverso e non per tutti i gusti,
nonostante una risaputa poetica degli oggetti (il rossetto è il più
significativo) e qualche schematismo di troppo. I fogli strappati dai
talebani in erba (va però sottolineato che anche gli americani
sono personificati dalle baby
gang:
più che la cultura talebana i bambini hanno introiettato il
linguaggio del conflitto) e trasformati in aerei da guerra di carta,
oppure Bakhtay (l'unica a mostrare segni di ribellione alla prassi
della guerra per divertimento) che salta nei cerchi di gesso
disegnati per confinarla sono quelle metafore - del diritto al gioco
e all'istruzione frustrati dalla situazione bellica - normalmente
odiate dalla critica. Qui però vengono trascese da un'insolita
crudezza, che ha pochi precedenti nelle filmografie degli autori
iraniani.
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