venerdì 5 dicembre 2025

Panahi ancora condannato, ma deciso a rientrare in Iran

 


Lunedì 1 dicembre l’avvocato Mostafa Nili ha comunicato che «la sezione 26 del Tribunale Rivoluzionario Islamico di Teheran ha condannato in contumacia Jafar Panahi a un anno di reclusione e a due anni di divieto di espatrio, nonché al divieto di adesione a gruppi o associazioni politiche e sociali, per attività di propaganda contro il sistema. Nei termini di legge intraprenderemo le azioni necessarie per contestare questa sentenza».

Il regista ha parlato della condanna durante il Festival del Cinema di Marrakech, in Marocco, dichiarando di voler tornare nel suo paese non appena avrà concluso la campagna per l’Oscar di "Un semplice incidente"

«Ho un solo passaporto», ha detto Panahi. «È il passaporto del mio paese, e desidero conservarlo».

«Sebbene mi sia stata data l’opportunità, anche negli anni più difficili, non ho mai pensato di lasciare il mio paese e diventare un rifugiato altrove», ha detto Panahi, che vive ancora in Iran ma trascorre parte del tempo in Francia, paese che ha selezionato "Un semplice incidente" come candidato agli Oscar.

«Il proprio paese è il posto migliore in cui vivere, qualunque siano i problemi o le difficoltà», ha aggiunto. «Il mio paese è dove posso respirare, dove trovo la ragione di vivere e la forza di creare. I problemi che l’Iran sta affrontando oggi sono temporanei, come quelli che ogni società ha dovuto affrontare».

«Da oltre tre mesi lavoro giorno e notte a questa campagna per l’Oscar», ha detto. «La condanna è arrivata nel mezzo di questo percorso, ma porterò a termine la campagna e tornerò in Iran il prima possibile».

Concludendo la sua masterclass a Marrakech, Panahi ha offerto alcune parole di incoraggiamento ai giovani cineasti presenti: «Mi è stato detto che ci sono molti studenti di cinema qui. C’è una cosa che dovete avere chiara: esistono solo due tipi di registi. Quelli che corrono dietro al pubblico, estremamente sensibili ai bisogni, ai gusti e alle aspettative degli spettatori, per attrarli ai loro film. Sono il 95% dei registi nel mondo. E poi c’è un 5% che pensa: “Non mi importa del gusto del pubblico. Faccio il mio film, mi chiedo cosa voglio dire, e poi sarà il pubblico a venire a trovarmi”. Potete appartenere a un gruppo o all’altro, ma cercate di essere i migliori, qualunque sia la categoria in cui vi trovate».

Ha aggiunto: «Se avete deciso di far parte di quel 5% e di realizzare solo ciò che ritenete giusto, allora non potete sottomettervi a nessun potere. In quel caso sapete che c’è un prezzo da pagare. Questo prezzo può essere economico se vivete in un paese occidentale, oppure politico in un paese come il mio. Ma ne sono consapevole. Ho fatto questa scelta. So che i miei film non piacciono al governo. Ma questo non è un motivo per non tornare nel mio paese. Io tornerò».



 

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