sabato 27 dicembre 2025

Taraneh Alidoosti si racconta


 


Dopo un lungo silenzio pubblico, Taraneh Alidoosti riappare in un documentario di 50 minuti prodotto da BBC Persian e diretto da Pegah Ahangarani, un ritratto intimo intitolato semplicemente "Taraneh" in cui l’attrice di "About Elly" e "Leila e i suoi fratelli" ripercorre gli snodi più significativi, controversi e dolorosi della sua vita recente. 

I problemi mediatici iniziano nel 2016, quando alla conferenza stampa di Cannes per "Il cliente" un tatuaggio sull'avambraccio, intravisto per pochi secondi, scatena accuse di satanismo: un fraintendimento che lei liquida come assurdo, spiegando che si tratta di un simbolo femminista. La sua presa di posizione, paradossalmente, fa impennare su Google le ricerche in persiano della parola “femminismo”, segno di un’attenzione sotterranea che aspettava solo un pretesto per emergere. 


Il tatuaggio incriminato

 


Anni dopo, con le rivolte seguite alla morte di Mahsa Amini, qualcuno parlerà della prima rivoluzione femminista della storia. In quel clima incandescente, Alidoosti si mostra senza velo. Poco dopo iniziano anche le esecuzioni, tra cui quella di un uomo che non aveva commesso omicidi, Mohsen Shekari: è questo episodio a spingere Alidoosti a esporsi sui social, un gesto che le costa l’arresto. Nel documentario racconta nel dettaglio il fermo e il trasferimento nel carcere di Evin, dove sente l'affetto delle altre detenute, che la riconoscono.

Dopo la scarcerazione, vive di piccoli lavori – traduzioni, commissioni – una quotidianità modesta che accetta senza vittimismo. Il vero colpo inatteso, però, è la malattia rara che la colpisce: una reazione autoimmune ai farmaci che provoca il distacco della pelle, un’esperienza fisicamente devastante e psicologicamente disorientante.

Ripercorrendo la sua carriera, Alidoosti rivendica la coerenza delle sue scelte: ha sempre selezionato ruoli con una componente femminista, a partire dal debutto in "I’m Taraneh, 15" di Rasoul Sadrameli, dove interpretava una quindicenne incinta. Non è mai stata un’attrice prolifica, per scelta, e per questo l’assenza prolungata dal set non la turba: la selettività è sempre stata la sua forma di libertà. Parla anche del velo nel cinema iraniano, della sua intrinseca irrealtà, degli sforzi fatti negli anni per renderlo almeno credibile sullo schermo. Oggi, osserva, certe scene non si potrebbero più girare: il pubblico scoppierebbe a ridere, tanto è evidente la distanza tra finzione e vita reale. Nonostante tutto, è fiera di aver recitato per vent’anni nei film migliori che le condizioni del Paese permettessero, e guarda al futuro senza la necessità di restare legata al cinema, anche perché il Ministero della Cultura e della Guida Islamica l'ha messa al bando. 

Restare nascosta finora è stata una sua scelta, dice, ma ora ha deciso di non farlo più. Ciò che non chiarisce, tra le molte cose che lascia volutamente in sospeso, è se viva ancora in Iran e se intenda continuare a farlo.

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