lunedì 10 settembre 2018

As I Lay Dying, Mostafa Sayari (2018)

Ancora un film iraniano a Venezia Orizzonti, ancora un indagine (non poliziesca) intorno a un cadavere: hanno qualcosa in comune il fortunato film del 2017 "Il dubbio - Un caso di coscienza", e "As I Lay Dying" (Hamchenan ke Mimordam), opera prima di Mostafa Sayari liberamente ispirata all'omonimo romanzo di William Faulkner.




Di un ottantenne appena deceduto sappiamo quanto ci raccontano i quattro figli Leila, Siamak, Ahmad e Majid, cioè che era odiato pressoché da tutti e che non si fidava di nessuno, tranne che dello stesso Majid, nato da madre diversa rispetto ai fratellastri; che negli ultimi tempi era impazzito e che nel testamento ha richiesto di essere sepolto in un paesino ignoto, raffigurato in una fotografia sbiadita. I quattro caricano il cadavere in auto e si avventurano in un viaggio verso questa meta indefinita; man mano lo spettatore e, parallelamente, il burbero Ahmad, raccolgono ciascuno elementi diversi per nutrire il fondato dubbio che sia tutta una macchinazione di Majid.

Come ormai di consueto per i film iraniani visibili all'estero, sono più le cose che si scoprono che quelle che accadono. Ma questo road movie crepuscolare, che ricorda il cinema dell'habitué del festival di Berlino Mani Haghighi ("Modest Reception", "A Dragon Arrives!") ha il pregio di non scoprire tutte le carte, mantenendo una tensione latente mai destinata a esplodere sul serio, e un preciso alone di mistero. I silenzi, i sussurri, le rievocazioni nostalgiche accennate soltanto e prive di retorica, celano un lato macabro, con il cadavere che gradualmente si decompone, inquadrato raramente e quando nessuno se lo aspetta.

Ci sarebbero poi antiche ruggini, ostracismi sociali, drammi familiari: rimangono però in superficie; banale è l'allucinazione di Majid che si rivede bambino, inconsistenti sono i personaggi di Siamak e Leila. La forza del film è solo nelle suggestioni che sa evocare. Ma è palpabile.











mercoledì 22 agosto 2018

24 Frames, Abbas Kiarostami (2017)

Risultati immagini per 24 frames kiarostami poster"Mi chiedo sempre fino a che punto l’artista intenda rappresentare la realtà di una scena. I pittori catturano solo un frammento di realtà e niente prima o dopo di esso.

 Per 24 Frames ho iniziato con quadri famosi ma poi ho deciso di usare fotografie che ho scattato nel corso degli anni. Ho incluso circa quattro minuti e mezzo di ciò che immaginavo potesse accadere prima o dopo ogni immagine che ho catturato” Didascalia iniziale del film







Negli ultimi anni della sua vita, Abbas Kiarostami è stato un artista inafferrabile; lo si poteva incontrare a Roma alle prese con uno spettacolo di teatro tradizionale persiano, allestire a Parigi un’opera lirica, a New York per una mostra fotografica o di videoarte. E il cinema? Almeno da “Five” (2003), Kiarostami ha lasciato ai margini il film narrativo lavorando a un’estetica della con-fusione - per dirla con Elio Ugenti - in cui, con l’ausilio del digitale, le discipline che da sempre ha praticato confluivano, in un unitario approccio multidisciplinare.

Opera postuma cui l’autore pensava da cinque anni e vi ha dedicato gli ultimi tre, portata a compimento dal figlio Ahmad, “24 Frames”, è l’ammirevole punto di arrivo di tale ricerca. Di circa quaranta ‘capitoli’ girati, Kiarostami padre ne aveva scartati dieci; al figlio è spettato il compito di uniformare le durate e di sceglierne ventiquattro. Il titolo gioca sul fatto che i film sonori in pellicola venivano proiettati a ventiquattro fotogrammi al secondo;  “frame”, inoltre, significa sia “cornice”, sia “fotogramma”. Le riprese, tutte a macchina fissa, tranne una (tipicamente kiarostamiana) carrellata dall’abitacolo di un’automobile, e quasi tutte frontali, ricordano le vedute dei primi esperimenti del cinematografo e del proto-cinema; non a caso il film doveva originariamente intitolarsi “24 Frames Before and After Lumiere”.

La selezione di Ahmad, in ossequio all’evoluzione del progetto concepito dall’autore (vedi didascalia iniziale), ha escluso in particolare i quadri: di Van Gogh, Picasso, Millet, Wyeth. Resta il capitolo di apertura, un tableau vivant dei “Cacciatori nella neve” di Pieter Bruegel il Vecchio, cui seguono, 23 fotografie (a loro volta composte da frammenti eterogenei), per lo più in bianco e nero, musicate ma non commentate da voice over, animate con l’impiego della computer-generated imagery.    
.

Soggetto privilegiato sono gli animali in rapporto con la natura che li circonda, anzi spesso collocati in ambienti inusuali (cavalli che corrono sulla neve, mucche spiaggiate sul bagnasciuga di un mare mosso) o in condizioni atmosferiche avverse. La neve, amatissima dall’autore ma poco presente nel suo cinema (a differenza che nelle sue fotografie), la fa da padrona.

L'uomo partecipa, non visto, in lontananza (un aereo, un motoscafo, un motorino), o attraverso costruzioni (case, muretti) in cui è collocato il punto di osservazione. Talvolta non influenza la vita di piante e animali, ma altre volte interviene pesantemente, come quando, fuori campo, taglia un paio di alberi, o spara colpi di arma da fuoco. I principali spunti di meditazione offerti da “24 Frames” riguardano dunque l’impatto dell’uomo sull’ambiente, e l’influenza dell’artista figurativo sulla modalità di osservazione della realtà: sempre fuori campo, qualcuno abbassa un finestrino, un altro alza una tenda, modificando le visuali. Talvolta l’immagine è talmente manipolata (o “disturbata” dal sonoro) che risulta stravolta.

Le uniche presenze umane visibili dominano le due sequenze rispettivamente più straniante e più da dibattito. Nel frame n.15 uomini immobili, di spalle, guardano la Tour Eiffel, mentre dietro di loro (dunque davanti a noi) passanti camminano di fretta e una musicista di strada intona un tango. Parigi è uno dei pochi riferimenti geografici di un film non collocabile localmente; come di fatto apolide era, in tarda età, il suo artefice. Nel capitolo finale invece una ragazza, anche lei di spalle, si è addormentata davanti al computer in cui scorre l’happy ending de “I migliori anni della nostra vita”. Curiosamente un film hollywoodiano, curiosamente la sequenza di un bacio, che Kiarostami in Iran non avrebbe potuto filmare.

Le idee disseminate sono tali e tante da fare di “24 Frames” l’ennesima riflessione filosofica che travalica il piacere meramente audiovisivo e che, paradossalmente, nella frammentarietà e incompiutezza, si rivela più complessa e risolta delle altre sperimentazioni ultracinematografiche del Kiarostami del nuovo millennio.


Curiosità: Ahmad sostiene che ha lavorato al film una troupe ridottissima, e che i credits nei titoli di coda siano di persone inesistenti, semplici nomi e cognomi che suonano buffi in persiano.

lunedì 13 agosto 2018

Nargess, Rakhshan Banietemad (1992)

Il giovane ladro Adel chiede e ottiene la mano di Nargess, ragazza con una storia familiare complicata, senza metterla al corrente né della sua reale attività, né del precedente e mai sciolto matrimonio con Afagh, sua partner anche nel crimine. Finché la verità non viene a galla e Nargess prova a convincere Adel a cambiare vita.



Rakhshan Banietemad è una delle prime donne registe nel cinema iraniano post rivoluzionario, nonché una buona narratrice della società più povera e marginale e della condizione femminile. Elementi che le hanno portato una fama suggellata da appellativi quali "La regina del cinema iraniano", e forse una leggera sopravvalutazione critica. Ciò se si guarda al complesso della sua opera: merita di essere celebrato, invece, un film come "Nargess", straziante melodramma che, premiato per la regia al Fajr Film Festival di Teheran (prima volta per una donna regista di film di fiction), l'ha portata all'attenzione internazionale, fino al concorso principale e al premio per la miglior sceneggiatura alla Mostra di Venezia 2014, con "Tales".

Film coraggioso e controverso, nonostante un finale eticamente corretto, "Nargess" suscita clamore non tanto per il triangolo amoroso - la poligamia è tradizionalmente praticata - quanto per la messa in mostra di una donna dedita al furto (Afagh è interpretata dall'attrice che svetta all'interno del cast: l'intensa Farimah Farjami). Ma è soprattutto una una storia di sentimenti lancinanti, raccontata con una passione amplificata dall'uso espressionista delle musiche, in uno stile diretto, dinamico e realistico nei limiti del consentito. 

Il personaggio di Nargess ritornerà in "The May Lady" (1998), secondo un'usanza cara all'autrice.

giovedì 9 agosto 2018

Indice - Tutti i post del blog

RECENSIONI

Per titolo

20 Fingers   Akbari, Mania
24 Frames   Kiarostami, Abbas
A Cube of Sugar    Mirkarimi, Reza
A Fire    Golestan, Ebrahim
A Girl Walks Home Alone At Night    Amirpour, Ana Lily
A Playground for Babousch    Noureddin Zarrinkelk
About Elly    Farhadi, Asghar
Acqua, vento e sabbia    Naderi, Amir
Act, Harekat     Karimi, Keywan
Acrid - Storie di donne   Kiarash Asadizadeh
Anxiety    Khachikian, Samuel
As I Lay Dying   Sayari Mostafa
Association of Ideas    Noureddin Zarrinkelk
Atal Matal    Noureddin Zarrinkelk
Bahador    Alimorad, Abdollah
Botox   Mazaheri, Kaveh
Broken Border     Karimi, Keywan
Captain Khorshid    Taghvai, Naser
Che   Hakamikia, Ebrahim
Close-Up    Kiarostami, Abbas
Coalition    Sadeghi, Ali Akbar, e Kavianrad, Alireza 
Collision   Alvand, Sirus
Companion    Zadeh, Asghar
Copia conforme    Kiarostami, Abbas
Crossroad of Events    Khachikian, Samuel
Desiderium - Sooteh-Delan   Hatami, Ali
Dieci    Kiarostami, Abbas
Disappearance    Asgari, Ali
Divorzio all'iraniana   Longinotto, Kim Mir-Hosseini Ziba
Djomeh   Yektapanah, Hassan
Dov'è la casa del mio amico    Kiarostami, Abbas
Due soluzioni per un problema    Kiarostami, Abbas
Duty first    Noureddin Zarrinkelk
E la vita continua    Kiarostami, Abbas
Facing Mirrors    Azarbayjani, Negar
Farmer Duck    Mir Fakhrayi, Aviz
Fish & Cat   Mokri, Shahram
Flower Storm    Sadeghi, Ali Akbar 
Ghiesar   Kimiai, Masoud
Golnar   Partovi, Kambuzia
Hajji Washington    Hatami, Ali
I bambini del cielo    Majidi, Majid
I gatti persiani    Ghobadi, Bahman
Identity    Noureddin Zarrinkelk
Il cerchio    Panahi, Jafar
Il cliente    Farhadi, Asghar
Il corridore   Naderi, Amir
Il dubbio - Un caso di coscienza    Jalilvand, Vahid
Il palloncino bianco   Panahi, Jafar
Il pane e il vicolo    Kiarostami, Abbas
Il passato    Farhadi, Asghar
Il sapore della ciliegia    Kiarostami, Abbas
Il silenzio    Makhmalbaf, Mohsen
Il tempo dei cavalli ubriachi    Ghobadi, Bahman
Il viaggiatore   Kiarostami, Abbas
Il voto è segreto    Payami, Babak
Just 6.5   Roustayi, Saeed
Killing Mad Dogs    Beizai, Bahram
L'ambulante   Makhmalbaf, Mohsen
La mela    Makhmalbaf, Samira
La ricreazione    Kiarostami, Abbas
Lavagne    Makhmalbaf, Samira
L'isola di ferro   Rasoulof, Mohammad
Lumière and Company    Kiarostami, Abbas
Mad Mad World    Noureddin Zarrinkelk
Kiarostami, Abbas   Sotto gli ulivi
Kiarostami, Abbas   Il viaggiatore
Kiarostami, Abbas   24 Frames
Kiarostami, Abbas    Qualcuno da amare
Kiarostami, Abbas    Dieci
Kiarostami, Abbas    E la vita continua
Kiarostami, Abbas    Il sapore della ciliegia
Kiarostami, Abbas    Copia conforme
Kiarostami, Abbas    No
Kiarostami, Abbas    Il pane e il vicolo
Kiarostami, Abbas    La ricreazione
Kiarostami, Abbas    Venezia 70: future reloaded
Kiarostami, Abbas    Lumière and Company
Kiarostami, Abbas    Due soluzioni per un problema
Kiarostami, Abbas    Dov'è la casa del mio amico
Kiarostami, Abbas    Close-Up
Kimiai, Masoud   Gheisar
Kimiavi, Parviz    Ok Mister
Kimiavi, Parviz    Oh Guardian of Deer!
Longinotto, Kim Mir-Hosseini, Ziba   Divorzio all'iraniana
Majidi, Majid   Muhammad The Messenger Of God
Majidi, Majid    I bambini del cielo
Rasoulof, Mohammad   There Is No Evil 
Rasoulof, Mohammad   L'isola di ferro
Rasoulof, Mohammad    The White Meadows
Roustayi, Saeed   Just 6.5
Sadeghi, Ali Akbar     The Seven Cities
Sadeghi, Ali Akbar     Flower Storm
Sadeghi, Ali Akbar     The Rook
Sadeghi, Ali Akbar     The Sun King
Sadeghi, Ali Akbar     Zal and Simorgh
Sadeghi, Ali Akbar, e Kavianrad, Alireza     Coalition
Satrapi, Marjane e Paronnaud, Vincent    Persepolis
Sayari, Mostafa   As I Lay Dying
Shahid Saless, Sohrab   Un semplice evento
Shahid Saless, Sohrab    Still Life
Sheidayi, Mozafar e Seyed Romin    The Story of Apple
Shirdel, Kamran    The Night It Rained
Sinai, Khosrow,   Talking With A Shadow
Sinai, Khosrow   Viva…!
Soleymanzadeh, Mohammad Ali    The General and the Kite
Tabrizi, Kamal   Sly
Tabrizi, Kamal    The Lizard
Taghvai, Naser   O Iran
Taghvai, Naser    Captain Khorshid
Tavakoli, Bahram   The Shallow Yellow Sky
The House Is Black    Farrokhzad, Forough
Yektapanah, Hassan   Djomeh
Zadeh, Asghar    Companion


LIBRI
Rasoulof convocato in carcere, si appella al coronavirus
Il Fajr cancella la cerimonia di apertura, gli artisti si dividono
"Il grido soffocato..." I cineasti scrivono al governo
Famiglia Makhmalbaf, problemi anche nel Regno Unito
Artisti del cinema protestano contro censura, mancanza di protezione e denaro sospetto
Un oscuro leitmotiv: il suicidio nel cinema iraniano
Incontro con Amir Naderi al MIC
Raccolta mie registrazioni audio
Un dramma nella Rivoluzione: l'incendio del cinema Rex
Masterclass di Asghar Farhadi a Firenze aprile 2019. Estratti video
Proiezione Oro Rosso a Milano 1 aprile 2019  
Genova Film Festival con Babak Karimi
Il mondo del cinema contro le sanzioni Usa all'Iran
"Il dubbio" correrà per gli Oscar. Polemiche in patria
 Farhadi: "Per me è essenziale fare film in Iran
Panahi assente ma bene accolto a Cannes
Farhadi non scalda Cannes
Ingredienti per un film iraniano formato export
Nuovo film di Farhadi, ultimi aggiornamenti
Un'enciclopedia digitale del cinema iraniano
Tanto Iran a Berlino
Parla Rasoulof
Pirateria cinematografica tra copyright, censura e repressione
Un film iraniano plagiato a Bollywood?
Evento conferenza con F. Capezzuoli
Teheran noir: un bilancio
Introduzione al cinema di S. Khachikian
Quella volta di Kiarostami allo Ied
Una rassegna al Cineforum del Circolo
Una passione di vecchia data

mercoledì 8 agosto 2018

Still Life, Sohrab Shahid Saless (1974)

Da trentatré anni, l'anziano e analfabeta Mohamad Sardari, che ignora la propria età anagrafica, è addetto al passaggio a livello di una stazione ferroviaria desolata. Nella casupola adiacente, in cui abita, sua moglie passa il tempo al telaio, a realizzare tappeti che ormai nessuno è disposto a pagare più del costo di produzione. Un giorno una lettera, che egli non sa leggere, comunica a Mohamad che è giunto il tempo di andare in pensione.



Sohrab Shahid Saless canta l'elegia di una realtà che pare immutabile e fuori dal tempo, ma che è invece destinata a soccombere senza avere le forze per resistere al cambiamento. Con una fotografia dai colori tenui, e composizioni del quadro estremamente pittoriche e sempre variegate - pur nella staticità dell'insieme -, il film costringe lo spettatore ad adeguarsi ai ritmi del protagonista, alle sue fumate, ai suoi colpi di tosse. Costui, che trae linfa vitale dalla routine, non concepisce di aver maturato un meritato riposo; con struggimento ma senza rancore, si sente infine scaricato dalla società, inutile agli scopi di questa, ma incapace di vivere diversamente.
Il giovane che lo sostituisce (e lo sfratta) mostra ben altra grinta, la stessa del figlio di Mohamad, di una generazione che è pronta alle sfide della modernità, di qualunque epoca essa sia (i sottotitoli dicono che il film è ambientato nel 1960, non nell'anno di realizzazione).


Secondo lungometraggio dell'autore - ultimo in patria, prima di trasferirsi in Germania causa mancate autorizzazioni per il successivo -, girato in soli undici giorni, vincitore dell'Orso d'argento a Berlino, "Still Life" (Tabiate bijan) è uno dei film più austeri della storia del cinema, non solo persiano. Se il precedente "Un semplice evento" anticipava lo stile dei film iraniani post-rivoluzionari, questa poesia in immagini dialoga, senza subalternità ma con eloquio non retorico, col miglior cinema d'autore rigoroso e minimalista di tutto il mondo. Non solo con Kiarostami e Naderi.




martedì 7 agosto 2018

Nahid, Ida Panahandeh (2015)

Sotto un cielo perennemente nuvoloso sulle rive del Caspio, Nahid, giovane madre divorziata da un un marito disoccupato e sbandato, ha ottenuto la custodia del figlio di dieci anni a condizione di non risposarsi. L'affetto e i problemi economici la spingono tra le braccia del benestante Masoud.


Al primo lungometraggio per il grande schermo, Ida Panahandeh tratteggia un appassionato ritratto di donna che cerca di cavarsela con le proprie forze in una società ostile. Nulla di così nuovo, se non per il tema del matrimonio temporaneo, particolare istituto vigente in Iran che talvolta cela la prostituzione, che invece in questo caso serve alla protagonista per rendere accettabile agli occhi della comunità la nuova relazione sentimentale, malgrado il rischio di non vedere più il bambino.

Se non si cerca l'originalità a tutti i costi, è difficile non apprezzare uno dei film persiani più poetici degli ultimi anni, che sembra cucito su misura per il circuito dei festival (ha vinto tra gli altri un premio a Cannes, sezione Un certain regard) collocandosi lontano dalle pellicole chiassose più apprezzate in patria. Ma che, nella distanza stilistica, e a differenza di quanto possa sembrare, deve più di qualcosa alle caratterizzazioni di Asghar Farhadi: dalle colpe degli adulti che si riflettono sui bambini, all'arroganza autoritaria maschile, trasversale tra personaggi di diversa estrazione sociale, che giace sopita anche negli uomini più ragionevoli. 

Tra l'altro l'attrice protagonista, Sareh Bayat, era reduce da "Una separazione", dove interpretava la badante incinta. In "Nahid" offre una prova notevole, cosi come il sempre egregio Navid Mohammadzadeh (l'anno dopo sarà ne "Il dubbio"), nel ruolo dell'ex marito.


"Nahid" si è visto fugacemente nelle sale italiane, inserito dal distributore Academy Two nella serie di quattro film denominata "Nuovo cinema Teheran".

lunedì 30 luglio 2018

Hajji Washington, Ali Hatami (1982)



Nel 1889, l'epilettico Hajji Hossein-Gholi Noori parte in pompa magna dalla Persia per Washington come primo ambasciatore iraniano negli Stati Uniti. A destinazione però, confinato nella vuota e inoperosa ambasciata, soffre di solitudine e nostalgia, è vittima di tanti piccoli equivoci, ha difficoltà relazionali con gli americani. Quando, grazie alla bontà dei pistacchi che offre sempre a chiunque, conquista la simpatia del Presidente Grover Cleveland ("imperatore senza corona"), questi però ha concluso il proprio mandato. Inoltre, l'aver poi offerto asilo politico a un capo pellerossa non aiuta i rapporti diplomatici...

Con stile antinaturalistico, Ali Hatami, nome di punta della prima Nuovelle Vague iraniana nel decennio precedente, si affida sopratutto ai lunghi monologhi del grande attore Ezzatolah Entezami (che abbiamo già incontrato in "The Cow") per far metafora comica e grottesca da un lato delle tensioni tra Iran e Usa ("Hajji Washington"  è di poco successivo alla crisi degli ostaggi dell'ambasciata Usa a Teheran, e viene bloccato per tanto tempo dalla censura), dall'altro lato di una monarchia persiana già in piena decadenza novant'anni prima della sua fine. Un tentativo non del tutto convincente, ma senz'altro degno di nota.

Girato in Italia, conta diversi italiani tra cast e maestranze; in testa lo scenografo, futuro premio Oscar, Gianni Quaranta.

venerdì 20 luglio 2018

The White Meadows, Mohammad Rasoulof (2009)

L'atipico funzionario Rahmat naviga di isola in isola, in uno scenario caratterizzato da distese di sale, per raccogliere e custodire le lacrime delle persone. Che cosa ne faccia, è un mistero. Le trasforma in perle? Al primo approdo, sulla barca a remi sale di nascosto un ragazzo, in fuga alla ricerca di suo padre.


La forza di "The White Meadows" (Keshtzar haye sepid) risiede in due elementi: lo splendore dell'ambientazione, fotografata da un maestro come Ebrahim Ghafori, abituale collaboratore dei Makhmalbaf da "La mela" e "Il silenzio" in poi; la valenza di metafora sociopolitica, insistentemente cercata, non sempre di immediata interpretazione.

Raffigurando un mondo surreale, in preda alla tristezza diffusa e succube di riti superstiziosi ancestrali, che portano al sacrificio dei diversi - tra cui le donne troppo belle - e dei più deboli, il film ha l'ambizione di denunciare i crimini del fanatismo religioso, specie se assurto al potere politico, e di riflettere su repressione, espatrio, libertà dell'artista (in una sequenza, un pittore è costretto sotto tortura ad ammettere che il mare è blu, non rosso come lui lo vede e lo dipinge). Lo fa però con una struttura narrativa piuttosto fragile, il cui sviluppo non è favorito dall'uso parsimonioso dei dialoghi. Che ruolo ha la vicenda del ragazzo e che ne è di suo padre, per esempio, non è affatto chiaro.

Il film esce in concomitanza delle proteste contro la rielezione del Presidente Ahmadinejad. Il regista Mohammad Rasoulof, al terzo lungometraggio, lo accompagna nei festival agitando i vessilli dell'Onda verde. Di lì a poco cominceranno i guai giudiziari per lui e per il montatore di "The White Meadows": Jafar Panahi.

Rasoulof al Festival di San Sebastian



domenica 24 giugno 2018

Prince Ehtejab, Bahman Farmanara (1974)

Va annoverato tra i maggiori registi iraniani, ma è forse il meno noto in Occidente; di sicuro, ingiustamente, tra i meno celebrati. Nato nel 1942 a Isfahan, Bahman Farmanara studia a Londra e (cinema) in California, per tornare in Iran con un bagaglio tecnico notevole. Ha bisogno però di un appoggio letterario, che trova adattando l'omonimo romanzo dello scrittore dissidente Houshang Golshiri, per firmare un grande film come "Prince Ehtejab" (Shazdeh Ehtejab), sua opera seconda.

Locandina di F. Mesghali, autore anche dei titoli di testa

Il racconto è ambientato al crepuscolo della dinastia Qajar, tra la fine dell''800 e gli inizi del '900, ma assume connotati politici di denuncia di una monarchia agli sgoccioli, che ricorre alla repressione per tentare di preservarsi. 

Il vecchio servo Morad riporta a Ehtejab le notizie delle morti nell'ambiente di corte. Il principe, con  l'occasione, ripercorre le atrocità perpetrate dalla dinastia, a partire dal nonno. Un uomo soffocato con modalità lucidamente crudeli, un gruppo di manifestati sterminato a fucilate, un bambino sgozzato per l'inerzia del boia, che non si aspetta l'atipico ordine di non procedere...

Cresciuto in questo clima di violenza, l'inetto Ehtejab sfoga la propria impotenza sessuale e politica sulla moglie e sulla domestica. La psiche del protagonista, scomposta e deviata, genera un mix di compassione e ripugnanza nello spettatore; e simboleggia perfettamente un sistema dispotico al collasso, l'avvicinarsi della cui fine è scandito dal ticchettio di una miriade di orologi. Così, Morad può annunciare al principe ancora in vita la sua stessa morte per tisi, prima di far cadere con rabbia le fotografie degli antenati.




Il bianco e nero, tanto chiaroscurato quanto di sobria eleganza, accompagna una regia avvolgente e la frammentata e labirintica struttura temporale a flashback, per un piacere estetico che va al di là della complessità del narrato e che parte dagli splendidi titoli di testa, a cura dell'illustratore e animatore Farshid Mesghali. Per modernità e temi (e modalità di affrontarli), "Prince Ehtejab" svetta nel panorama del cinema iraniano dell'epoca, se non di tutti i tempi. In ogni caso, è un capolavoro da recuperare.


giovedì 31 maggio 2018

Killing Mad Dogs, Bahram Beizai (2001)

A dieci anni dai problemi censori che avevano coinvolto il precedente, straordinario "The Travellers", il factotum Bahram Beizai ottiene i permessi governativi e i finanziatori privati per riesumare una sua vecchia sceneggiatura e produrre, montare, dirigere un nuovo lungometraggio: "Killing Mad Dogs" (Sagkoshi).



Teheran, passato prossimo. La scrittrice Golrokh Kamali torna in città dopo tanto tempo per provare a saldare i debiti del marito, apparentemente causati da un socio dedito al riciclaggio internazionale. In un'odissea tra pericolosi malavitosi (più o meno occulti) riuscirà nella missione, scoprendo però una dolorosa realtà diversa dalle apparenze. Materiale buono per concludere il suo ultimo romanzo, "Uccidere cani rabbiosi".

Metafore autobiografiche (anche nei tempi di ambientazione del racconto) sull'artista costretto ad affilare gli artigli per rivendicare il proprio orgoglio e vendicare i torti subiti; ma declinate al femminile. Assumendo sempre più il ruolo di protagonista unica della vicenda, Golrokh Kamali emerge, sgomitando, con l'astuzia e con le maniere forti, in un mondo in cui le questioni finanziarie sono, ben più che le altre, esclusivo appannaggio maschile. Un mondo morso dalla piaga del debito e dal denaro che tutto corrompe.


Rispetto ad altre opere del regista, il piano realistico domina per lunghi tratti, in un film dalla durata anomala nel contesto della produzione nazionale (oltre 135 minuti). Suggestioni differenti emergono soprattutto nel finale. Il risultato è riuscito, ma meno sorprendente del solito. La cornice di genere, che ricorda i film in voga nel paese negli anni settanta, facilita la fruizione e l'accoglienza, conducendo a quattro premi al Fajr di Teheran.

Prolisso e a volte un po' frenetico, "Killing Mad Dogs" ha momenti fortemente scenografici, come la sequenza nel cantiere edile, ma vanta soprattutto un cast da applausi capitanato dalla protagonista Mozhdeh Shamsai, che tratteggia un personaggio in crescendo per consapevolezza e forza.

Per una spiegazione del sistema creditizio iraniano, si veda la recensione di Michela Manetti.